Cass. Pen., sez. VI, sent. 11.9.2012 n° 34562
E' sufficiente una lettera del marito alla moglie per provare la giusta causa dell’allontanamento definitivo dalla casa coniugale. E' quanto ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 11 settembre 2012, n. 34562.
Il caso vedeva un marito essere condannato, ai sensi dell’art. 570 c.p., per essersi allontanato dalla casa coniugale, sottraendosi agli obblighi di assistenza inerenti la potestà genitoriale e la qualità di coniuge.
I giudici di primo e di secondo grado gli avevano inflitta una pena pecuniaria non ritenendo “giusta causa” il disagio del marito manifestato alla moglie con una lettera di addio.
L'art. 570 c.p. riconduce l'abbandono del domicilio domestico a una delle possibili condotte contrarie all'ordine o alla morale delle famiglie, richiedendo che la condotta di allontanamento si connoti di disvalore etico sociale, rendendo punibile non l'allontanamento in sé, ma quello privo di una giusta causa.
Di conseguenza, secondo il giudice nomofilattico, "il giudice non può esaurire il proprio compito nell'accertamento del fatto storico dell'abbandono, ma deve ricostruire la situazione in cui esso s'è verificato, onde valutare la presenza di cause di giustificazione, per impossibilità, intollerabilità o estrema penosità della convivenza".
Tornando al caso di specie, dopo aver dato atto che l'imputato non ha fatto venire meno i mezzi di sussistenza ai figli minori, i giudici territoriali ritengono ingiustificato l'abbandono del domicilio domestico, senza prendere in alcuna considerazione la lettera lasciata alla moglie, in cui il marito giustifica la sua scelta con riferimento ad una situazione di intenso disagio nei rapporti con il proprio coniuge. In presenza di questo elemento, che sembra deporre per l'esistenza di una situazione di intollerabilità della vita coniugale, i giudici di merito avrebbero dovuto accertare la presenza di una giusta causa.
(Da Altalex dell’1.10.2012. Nota di Simone Marani)