Lavoratore spaccia? No al licenziamento
se fatto estraneo alla prestazione
Cass. Civ. sez. lavoro, sent. 24.1.2013 n° 1698
L’insegnamento della giurisprudenza di legittimità in materia di giusta causa di licenziamento, sostenuto da un maggioritario coro dottrinario, può dirsi, in linea di massima, assestato sull’idea che i fatti o i comportamenti esterni alla prestazione lavorativa, attinenti alla vita privata del lavoratore subordinato, sono da considerarsi normalmente irrilevanti, a meno che non siano in grado di incidere obiettivamente sulla aspettativa e sulla probabilità di un esatto adempimento, per il futuro, dell’obbligazione lavorativa, scuotendo il vincolo fiduciario che lega datore di lavoro e lavoratore a tal punto da far ritenere la prosecuzione del rapporto di lavoro pregiudizievole per gli scopi aziendali.
Linee guida da cui non si discosta la sentenza 24 gennaio 2013, n. 1698 della Corte di Cassazione - Sezione Lavoro - emessa in esito ad un lungo percorso giudiziario che ha visto protagonista un lavoratore subordinato a cui era stato intimato un licenziamento in tronco per essersi reso reo della cessione di sostanze stupefacenti in luogo diverso dal posto di lavoro, soccombente in primo grado ma le cui istanze venivano accolte, con declaratoria di illegittimità del licenziamento, nei due gradi successivi di giudizio.
Il giudice di ultima istanza, invero, ha ritenuto di non censurare, perché esauriente, privo di contraddizioni oltre che di errori di diritto, il solco interpretativo seguito dalla corte territoriale competente a cui la questione era stata rinviata affinché si valutasse l’incidenza dei fatti accertati sul vincolo fiduciario.
Nella specie la Corte d’Appello territorialmente competente, nel ricostruire le circostanze di fatto della vicenda attenendosi all’ormai consolidato principio di “concretizzazione” della giusta causa di licenziamento - in base al quale non esistono qualità del fatto o del comportamento del lavoratore in grado di determinare automaticamente la non idoneità di quest’ultimo alla prosecuzione (anche temporanea) del rapporto ma, al contrario, esistono, secondo tale impostazione, degli indici empirici di gravità del fatto e della sua rilevanza nel contesto lavorativo che devono essere necessariamente presi in considerazione dal giudice - aveva escluso che i fatti addebitati al dipendente potessero in qualche modo avere riflessi sull’attività lavorativa ovvero sulla sfera datoriale, in primo luogo per il fatto che l’attività illecita ebbe luogo non nei locali aziendali bensì in una via pubblica e al di fuori dell’orario di lavoro, ed in secondo perché le vicende immediatamente seguenti all’arresto (concessione degli arresti domiciliari e richiesta di patteggiamento), unitamente alla mancanza di precedenti disciplinari, non potevano che deporre per un giudizio prognostico positivo circa la futura regolare esecuzione della prestazione lavorativa.
La rottura del vincolo fiduciario veniva, altresì, esclusa dal giudice di merito con riguardo alle mansioni svolte in concreto dal ricorrente (addetto al lavaggio e alla pulizia di vagoni ferroviari), la cui analisi denotava una scarsa delicatezza delle funzioni, l’assenza di un elevato grado di autonomia e/o di responsabilità gestionale e, dunque, la non sussistenza di un ampio margine di fiducia.
Nessun rilievo, inoltre, assumeva nella ricostruzione della vicenda la circostanza che in un armadietto in uso al lavoratore dipendente fossero stati rinvenuti una modesta quantità di droga ed alcuni “attrezzi del mestiere”, in quanto dal quadro circostanziale operato non emergevano sufficienti elementi idonei a far ritenere che il lavoratore dipendente utilizzasse i locali aziendali quale base operativa per l’attività di consumo personale ovvero di cessione della sostanza stupefacente (aspetto che probabilmente meritava una diversa attenzione).
Incensurabile, dunque, conclude la Corte Suprema, l’operato del giudice di merito che, nella corretta valutazione complessiva di tutti gli elementi della fattispecie concreta, è giunta ad escludere, nelle sue conclusioni, che i fatti addebitati al lavoratore potessero aver una qualche rilevanza nell’ambito lavorativo tale da incidere non solo sull’affidamento in un comportamento corretto quale riposto sul lavoratore al momento dell’assunzione (fiducia in senso soggettivo) ma altresì sull’aspettativa di una regolare futura esecuzione del rapporto di lavoro (fiducia in senso oggettivo, correlata con la natura continuativa della prestazione).
(Da Altalex dell’8.2.2013. Nota di Maria Spataro)