Cass. Civ., sez. I, sent. 3.1.2013 n° 40
Nell’attesa che venga definita la questione dell’affidamento dei figli e dell’assegnazione della casa coniugale discusse in sede di appello, è possibile ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
E’ quanto ha statuito la Cassazione con la sentenza 3 gennaio 2013, n. 40.
Mentre era pendente presso la Corte di Appello il procedimento di riesame volto a definire le condizioni della separazione personale di due coniugi, a seguito dell’impugnazione della moglie, il marito chiede e ottiene dal Tribunale di Roma una sentenza che statuisce solo sul capo relativo al divorzio e rimanda la decisione sulle altre questioni. La moglie impugna anche la sentenza di divorzio sostenendo che la sentenza che ha pronunciato la separazione personale, in quanto appellata, non era passata in giudicato.
La moglie ricorre allora in Cassazione deducendo in primo luogo l’inammissibilità e l’improcedibilità della domanda di divorzio per violazione dell’art. 3 comma 2 della legge su divorzio.
La recente sentenza della prima sezione civile n. 9614 del 2010 specifica che anche la previsione contenuta nella legge sul divorzio di cui all’art. 4, comma 12 – che contempla l’emissione di sentenza non definitiva sullo scioglimento del matrimonio - è stata introdotta dal legislatore per fornire uno strumento di accelerazione dello svolgimento del processo, perché prevedendo contro questa sentenza solo l’appello immediato, favorisce la formazione in tempi brevi del giudicato sulla pronuncia di divorzio (e di separazione).
La norma speciale contenuta nella legge sul divorzio è in realtà un’applicazione del principio generale di cui all'art. 277 c.p.c., comma 2, con la differenza che la norma generale richiede il presupposto dell’istanza di parte e l’esistenza di un apprezzabile interesse alla veloce definizione della domanda.
Pertanto, il tribunale, qualora la causa sia matura per la decisione sul divorzio, anche d'ufficio non può, ma "deve", senza alcun potere discrezionale in merito, pronunciare sentenza non definitiva sul divorzio.
Ancor più recente una sentenza della stessa sezione della Cassazione, la quale ha confermato che l'impugnazione proposta con esclusivo riferimento all'addebito pronunciato in sentenza, implica il passaggio in giudicato del capo sulla separazione, rendendo esperibile l'azione di divorzio pur in pendenza impugnazione (Cass. Civ. n. 24442/2011).
Infine, la sentenza passa ad esaminare un altro motivo di ricorso dedotto dalla ricorrente, ossia la violazione di costituzionalità della norma di cui all’art. 2 della legge sul divorzio per contrasto con gli articoli 3,7,8 e 29 della Costituzione, nella parte in cui prevede per il matrimonio religioso la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Sostiene la ricorrente che ciò è irragionevolmente e pregiudizievole per i cittadini che hanno in precedenza esercitato una libera scelta in favore del matrimonio celebrato con rito religioso.
Con riguardo a quest’ultimo rilievo, in passato la Corte Costituzionale aveva evidenziato però che la scelta del matrimonio concordatario non implica la rinuncia ad avvalersi del diritto di far cessare gli effetti civili del matrimonio, essendo quest’ultimo un diritto personale e inviolabile e quindi indisponibile.
Al contrario, il diritto all'indissolubilità del vincolo matrimoniale non rientra nei diritti costituzionalmente garantiti. L'indissolubilità costituisce un requisito del matrimonio religioso previsto unicamente nell'ordine morale cattolico e nell'ambito dell'ordinamento canonico, che non è stato recepito nell'ordinamento italiano. Di conseguenza, quel vincolo non può avere alcuna incidenza sugli effetti civili del matrimonio concordatario, ne può precludere il diritto strettamente personale e irrinunciabile, riconosciuto ai coniugi dall'ordinamento italiano di far cessare gli stessi effetti civili (C. Cost. n. 11860/1993 e n. 7990/1996).
Anche questo motivo di ricorso dunque viene respinto dalla Cassazione, unitamente al ricorso in via incidentale presentato dal marito, che probabilmente stanco del battibecco giudiziario, aveva chiesto la condanna della moglie ai sensi dell’art. 96 c.p.c. per aver insistito nella pretesa di revisione della sentenza di divorzio, pur in presenza di normativa e giurisprudenza palesemente contrarie.
(Da Altalex del 29.1.2013. Nota di Giuseppina Vassallo)