Cass. Civ., sez. lavoro, sent. 4.2.2013 n° 2510
È sproporzionato il licenziamento irrogato in relazione ad alcuni episodi di mancata emissione degli scontrini fiscali, in presenza di circostanze impeditive della corretta prestazione lavorativa (quali una giornaliera considerevole affluenza di clienti, un elevato numero di scontrini emessi ogni giorno, etc.) e senza la prova dell’appropriazione indebita.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 4 febbraio 2013, n. 2510.
Il caso vedeva coinvolto un barista licenziato per giusta causa a seguito della contestazione di alcuni episodi di vendite senza l’emanazione dello scontrino fiscale.
Il Tribunale, avanti al quale veniva impugnato il provvedimento espulsivo, ritenuta sproporzionata la sanzione del licenziamento rispetto alla contestazione, disponeva la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro con condanna del datore di lavoro al risarcimento corrispondente alla perdita delle retribuzioni dal licenziamento alla effettiva reintegrazione.
Avverso tale decisione ricorreva la società datrice di lavoro. Sia in appello che in cassazione è stato però confermato il giudizio di sproporzione espresso dal Tribunale.
In particolare, la Suprema Corte , nella sentenza in commento, ha precisato che il lavoratore non ha negato la mancata emissione degli scontrini, bensì ha imputato l'accaduto alla presenza di circostanze impeditive della corretta prestazione lavorativa, quali una giornaliera considerevole affluenza di clienti, un elevato numero di scontrini emessi ogni giorno (circa 5.000), un sistema di vendita che consentiva ai clienti di prelevare la merce dal frigo bar e presentarsi alla cassa per il pagamento.
La società, dal canto suo, non ha contestato, in punto di fatto, le condizioni di lavoro cosi’ come descritte dal ricorrente, ma si è limitata ad eccepirne la valenza quali elementi di giustificazione, con la conseguenza che le stesse possono essere considerate incontroverse e non richiedono una specifica dimostrazione.
Inoltre, la società non ha fornito la prova delle modalità di consegna dell'incasso giornaliero e delle modalità di riscontro tra scontrini emessi, merci esitate e contanti consegnati e, dunque, la prova dell'affidamento in via esclusiva al lavoratore licenziato del controllo giornaliero delle operazioni e degli incassi.
La società non ha, poi, provato l’ipotizzata, ma non formalmente contestata, appropriazione di denaro da parte del barista, posto che chiunque poteva essere entrato in contatto con le somme incassate.
In questo caso, la valutazione della gravità del comportamento operata dal giudice del merito è stata parametrata rispetto al solo fatto attribuito al lavoratore, ovvero la mancata emissione degli scontrini fiscali, in un contesto lavorativo peraltro non agevole, tenuto altresì conto del riconoscimento da parte del barista della veridicità dei rilievi che gli erano stati mossi.
Inoltre, correttamente il giudice del merito ha utilizzato la normativa contrattuale per integrare la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c. (giusta causa di licenziamento), poiché l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la fattispecie si colloca. In tal senso, la previsione pattizia del licenziamento in tronco in relazione a condotte "dolose" o comunque causative di "danni oggettivamente gravi" costituisce un giusto parametro di riferimento per ritenere che, nella specie, in ragione della concreta modalità dell’episodio contestato e “della circostanza che vi fosse stata solo una esposizione a pericolo di danno per i riflessi fiscali delle irregolarità riscontrate”, non sia stata integrata alcuna irrimediabile lesione del vincolo fiduciario.
(Da Altalex dell’11.2.2013. Nota di Giuseppina Mattiello)