Cass. Pen., sez. VI , sent. 15.5.2012 n° 18477
Risponde di corruzione il funzionario che compie un atto contrario ai doveri d'ufficio se su tale atto possa esercitare una qualsiasi forma di ingerenza, anche di mero fatto.
E' quanto ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza del 15 maggio 2012, n. 18477, con la quale conferma decisione di condanna per corruzione impartita, a carico di un funzionario dell’Agenzia delle entrate, dopo che lo stesso aveva provveduto, illegittimamente, ad accelerare delle posizioni di rimborsi Iva, nonostante le pratiche "agevolate" non rientrassero direttamente nelle sue mansioni e competenze.
Secondo i giudici di merito, gli atti contrari ai doveri dell'ufficio, compiuti o promessi, descritti nell'imputazione, pur non specificamente precisati, erano di competenza del ricorrente, posto che, se era vero che la definizione delle pratiche di rimborso i.v.a erano di pertinenza del Centro operativo di Pescara, il prevenuto, addetto all'Area controlli dell'Agenzia delle entrate di Milano, provvedeva - su delega di quel Centro - ad effettuare i c.d. "controlli brevi", ed altri controlli "esterni", preliminari rispetto al momento del rimborso, curando pratiche che potevano comunque accelerare e facilitare l'erogazione dei rimborsi in favore delle società curate.
Secondo la Suprema corte, ai fini della configurabilità del reato di corruzione, sia propria che impropria, non è determinante il fatto che l'atto d'ufficio o contrario ai doveri d'ufficio sia ricompreso nell'ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, essendo “necessario e sufficiente” che si tratti di un atto rientrante nelle competenze dell'ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto.
(Da Altalex del 4.1.2013. Nota di Simone Marani)