Le controversie in materia di usucapione non sono soggette alla mediazione obbligatoria ex art. 5 d.lgs. 28/2010, pena il rischio di una applicazione automatica della norma che conduca a risultati interpretativi incostituzionali (Trib. Varese, ordinanza 20.12.2011)
L’art. 5, comma I, d.lgs. 28/2010 sottopone al tentativo obbligatorio di mediazione le controversie in materia di «diritti reali» e, quindi, di fatto anche l’azione per la declaratoria di usucapione. In tal caso, il verbale di conciliazione non può offrire all’attore un risultato equivalente a quello della sentenza. La conciliazione, infatti, non può determinare in favore dell’attore l’acquisto a titolo originario potendogli solo far conseguire eventualmente il bene immobile a titolo derivativo. Insomma, a ben vedere l’accordo, in questo caso, non si surroga alla sentenza e la composizione amichevole della lite volge inevitabilmente al fallimento perché l’attore non può rinunciare alla “garanzia” dell’accertamento giudiziale.
Ne consegue che, nei casi in esame “quelli in cui l’accordo non può comporre la lite evitando che la sentenza si configuri come indefettibile” secondo un’interpretazione teleologica della disposizione che conformi l’articolato al criterio costituzionale della ragionevolezza, non è richiesta la condizione di procedibilità ex art. 5, comma I, dlgs 28/2010, pena il rischio di una applicazione automatica dell’art. 5, comma I cit. che conduca a risultati interpretativi palesemente incostituzionali. Difatti, i litiganti accedendo alla mediazione non potranno comunque pervenire ad un accordo conciliativo con gli effetti della sentenza di accertamento, venendo così frustrata la stessa ratio dell’istituto: operare come un filtro per evitare il processo; ma se il processo non è evitabile, l’istituto è una appendice formale imposta alle parti con irragionevolezza.
Mariella Barbara (da 101mediatori.it del 13.1.2012)