Una coppia divorzia ed è solo l'inizio dell'ormai consueto tira e molla su assegnazione della casa coniugale e sull'ammontare dell'assegno divorzile. Nel caso in esame, la Corte d'Appello di Palermo attribuisce all'ex moglie una “casa coniugale”. Contro tale sentenza l'ex marito propone ricorso in Cassazione sulla base di alcuni motivi, in particolare: l’alloggio assegnato non era quello familiare. Questo punto è interessante perché la stessa Cassazione riconosce come l'assegnazione di un immobile in sede di separazione o divorzio debba effettuarsi solo con riferimento alla casa coniugale, da intendersi come quella di fatto abitata dalla famiglia in modo continuativo, e non di una che la famiglia non abbia mai abitato o dove abbia soggiornato solo saltuariamente. D'altro canto, nel caso di specie, la sentenza impugnata chiarisce come la casa assegnata fosse per l'appunto quella coniugale, quando i coniugi convivevano, e ha continuato a essere abitata, sostanzialmente, senza soluzione di continuità, da parte della donna insieme con il figlio. In un certo periodo il bambino è stato ospite dei nonni materni in altra località, ma tornava sempre a casa dei genitori per trascorrere con loro i fine settimana.
Dal 2003 madre e figlio, allora divenuto maggiorenne ma non autosufficiente economicamente, abitano nuovamente a tempo pieno la casa in questione. A nulla vale nemmeno la richiesta dell'ex marito che chiedeva gli fosse assegnata almeno una parte della casa. "La suddivisione in due unità abitative, trasformando l'immobile, sconvolgerebbe l'ambiente domestico in cui il giovane figlio delle parti è vissuto, senza contare la conflittualità esistente tra il ricorrente e la moglie nonché la pessima influenza della vicinanza del padre, desumibile dal provvedimento di decadenza dalla potestà, tale da costituire una sicura e continua minaccia alla serenità e salubrità dell'ambiente di vita del figlio". Il tutto ovviamente nell'interesse del figlio.
Alberta Perolo (da famigliacristiana.it del 18.1.2012)