Cass. Pen. Sez. V – Sent. 20.12.2011, n.47081
"Ai fini dell'applicazione degli alticoli 473 e 474 Codice Penale, la contraffazione penalmente sanzionabile è solo quella che attiene al marchio nella sua funzione distintiva. E' legittima, invece, nei casi e con i limiti indicati in sentenza, la riproduzione dei marchi con funzione estetico-descrittiva", e ha disposto l'annullamento dell'ordinanza del Tribunale di Brindisi che, annullando l'ordinanza di revoca del Gip, ha ripristinato il sequestro, basandosi su un'interpretazione della norma penale in contrasto con il principio sopra affermato. Per effetto dell'annullamento dell'ordinanza del Tribunale di Brindisi, rivive l'ordinanza del Gip di revoca dell'originario decreto di sequestro, ragion per cui non è necessario assumere alcun ulteriore provvedimento di revoca; al fine di far cessare il vincolo del sequestro, è però necessario che l'ufficio di Procura curi l'esecuzione del provvedimento del Gip del 30.3.2011, disponendo il ripristino dei sitl internet in sequestro.
Il caso di specie è molto interessante e ricorrente in Internet: pubblicizzazione e commercializzazione di copricerchioni provenienti da produttori indipendenti. In sostanza, secondo la Corte non integra il delitto di commercio di prodotti con segni falsi il soggetto che pone in vendita ricambi per auto non originali sui quali sia stato riprodotto, quale elemento estetico presente sul componente originale, il marchio del costruttore del veicolo.
Leggiamo i passaggi salienti della pronuncia.
"Si deve, dunque, concludere che il marchio riprodotto sulle componenti dell'automobile assume una duplice portata: ha una funzione identificativa per quanto riguarda il bene complesso, mentre svolge una funzione solamente estetico-descrittiva con riferimento al ricambio; ne consegue che, per poter essere penalmente sanzionabile, l'uso del marchio altrui deve essere idoneo ad ingenerare errore in relazione all'oggetto che il marchio identifica. Si veda, in proposito, una non recente sentenza della suprema Corte (Cass. Civ. Sez. I, Sentenza n. 2692 del 29/05/1978, Rv. 392078): "A configurare l'ipotesi di una contraffazione di marchio è necessario che essa investa quegli elementi, costitutlvl e caratteristici, che adempiono alla specifica funzione di identificare il prodotto contrassegnato nella sua consistenza merceologica e nella sua provenienza imprenditoriale".
Perciò, sarebbe penalmente sanzionabile l'imprenditore che apponesse sulle proprie automobili il marchio di un altro costruttore, perché così farebbe credere ai terzi che quel bene proviene da un altro produttore. Analogamente, tornando al settore dei copri cerchioni, sarebbe sanzionabile la riproduzione di prodotti alternativi creati da terzi, ove diversi da quelli originali e provvisti del marchio del produttore indipendente. Qui non siamo più propriamente nell'ambito dei ricambi, quanto degli accessori after market, per cui non valgono più le relative deroghe alle privative di carattere industriale o commerciale; in questo caso, nei confronti del produttore indipendente, il copri cerchione non è ricambio ma un prodotto finito, per cui l'apposizione del marchio diverso da quello del costruttore dell'automobile serve anche ad identificare la provenienza di quel bene, che si distingue dalle altri componenti scelte e prodotte (o fatte produrre a terzi su commissione) dal costruttore stesso. Il terzo che riproduce il copri cerchione non originale - che costituisca una scelta creativa ed originale e che rechi il marchio del produttore indipendente del solo cerchione - integrerebbe certamente il reato di contraffazione del marchio identificativo, perché a quel punto vi sarebbe concreta confusione sulla provenienza del componente specifico.
Ma quando il copri cerchione è quello originariamente montato dal costruttore, l'eventuale presenza del marchio svolge la sua funzione distintiva con riferimento al bene nel suo complesso, posto che tutte le componenti dell'auto hanno geneticamente la medesima provenienza. Quindi la riproduzione del marchio può essere penalmente sanzionata solo con riferimento al bene identificato dal marchio stesso (cioè l'automobile) e non con riferimento al singolo ricambio (nei confronti del quale, lo si ripete, la raffigurazione del marchio è necessitata dalla esigenza di riprodurre fedelmente l'originale e svolge quindi una funzione meramente estetica).
Qui si pone un altro problema, che è stato sollevato dal provvedimento impugnato, e cioè quello della riconoscibilità della provenienza del ricambio; posto che non vi sono indicazioni del produttore sulla parte visibile del componente - dice il Tribunale di Brindisi - il consumatore e la generalità dei consociati possono comunque essere tratti in errore sulla sua provenienza che, in mancanza di diversa indicazione, potrebbe essere attribuita al costruttore del bene complesso.
Il discorso è suggestivo e non privo di ragionevolezza, sotto un profilo astratto, ma non si deve dimenticare che sarebbe del tutto svuotata di significato la norma che autorizza la riproduzione del ricambio uguale all'originale se poi si chiedesse al ricamblsta di evidenziare in modo ben visibile sul prodotto il proprio marchio o le indicazioni sulla reale provenienza industriale del bene; questo perché i prodotti in cui riveste un'importanza fondamentale l'immagine non tollerano, per evidenti motivi commerciali, l'inserimento di elementi estranei, che ne rovinerebbero l'aspetto estetico.
La funzione distintiva del singolo ricambio è, allora, assicurata tramite modalità differenti. In fase commerciale si deve operare sia sulla pubblicità, sia sulla confezione del prodotto; in entrambi i casi può essere messo bene in evidenza che il ricambio non è originale e che proviene da un certo produttore, senza che ciò incida su una piena utilizzazione finale. Quanto al momento dell'uso, l'identificazione non può che avvenire, come normalmente avviene, tramite una stamplgliatura interna (se fosse visibile all'esterno, infatti, ne pregiudicherebbe irreparabilmente l'estetica).
La identificabilità del produttore reale del bene viene assicurata con queste modalità, non potendosi anche pretendere che la stessa sia immediatamente percepibile su un semplice ricambio; d'altronde, è notorio che vi sono plurlmi ricambisti che riproducono le singole componenti delle auto e ciò è anche ritenuto legittimo, come si è visto, dalla legge e dalla giurisprudenza, per cui chi vede passare un'automobile sa già che il copri cerchione può essere un prodotto non originale e deve sapere che l'indicazione della sua provenienza non risiede nel marchio del costruttore eventualmente riprodotto, bensì nelle indicazioni stampigliate sulla faccia non visibile del prodotto.
A questo punto, considerato che nel caso in esame non viene in discussione la mancata indicazione di provenienza in sede di commercializzazione - dato che è pacifico che sui siti internet oggetto di sequestro era ben evidenziato che si trattava di prodotti non originali - né vi sono questioni sull'esistenza del marchio del produttore sulla faccia interna del copriruota (circostanza pacifica), tenuto conto di quanto affermato in punto di diritto, non si può che concludere per la piena legittimità, quantomeno ai fini penalistlci, della condotta dell'indagato".
(Da filodiritto.com del 22.1.2012)