Il redditometro si fonda su una presunzione legale relativa.
Così hanno precisato i giudici della Cassazione nella sezione tributaria con la sentenza 19 dicembre 2011, n. 27545.
Le risultanze derivanti dai coefficienti ministeriali (relativi, appunto, al c.d. redditometro) rappresentano presunzioni legali, per cui si avranno questi effetti, ossia:
da un lato il contribuente non potrà impugnare il coefficiente di redditività oggettivamente considerato;
dall’altro lato, il giudice non potrà togliere, sua sponte, la capacità contributiva presunta dai decreti, ma solamente valutare la prova contraria come indicata dal contribuente (ossia il possesso dei redditi esenti, soggetti a imposizione alla fonte).
Con la sentenza che qui si annota la Corte ha fatto un “passo indietro” rispetto al precedente orientamento (Cass. civ. 13289/2011) secondo cui la difesa contro gli accertamenti da redditometro poteva essere strutturata come se le risultanze dei coefficienti fossero una presunzione semplice.
Da ciò ne conseguiva che la capacità contributiva presunta non poteva che formarsi nel contraddittorio tra le parti.
E’ opportuno specificare che fino al 2010, la giurisprudenza ha sempre affermato che l’accertamento da redditometro (applicabile fino al periodo di imposta 2008) si basava su una presunzione legale relativa con inversione dell’onere probatorio, addossato sul contribuente.
Restando fermo il fatto che gli studi di settore individuano i ricavi presunti ed il redditometro il reddito complessivo presunto, questo “dietro front” della giurisprudenza “costringe” il contribuente a fornire prova della provenienza reddituale o meno delle somme necessarie al fine di mantenere i beni individuati dal redditometro.
Non resta, quindi, che attendere, allo stato attuale, il giudizio delle Sezioni Unite, visto che la Corte è tornata indietro riaffermando la natura di presunzione legale dei coefficienti.
(Da Altalex del 30.12.2011. Nota di Manuela Rinaldi)