Una delle ragioni sulle quali si fonda la opposizione è rappresentata dalla applicazione dell’art. 130 T.U. n.115/02 così riducendo della metà gli onorari e i diritti esposti nei rispettivi valori medi, mentre l’art. 143 t.u. cit. stabilisce la misura del compenso richiamando la norma generale dell’art. 82 t.u. cit. senza richiamare altre norme applicabili come l’art. 130 t.u., applicabile alla materia civile, amministrativa, tributaria e contabile e volontaria giurisdizione e che viene espressamente richiamato dall’art. 141 t.u. che riguarda in modo specifico il processo tributario.
La Corte ritiene che il mancato riferimento nella fattispecie in esame all’art. 130 t.u. costituisca una circostanza non significativa in quanto tale disposizione è di carattere generale e riguardante appunto i processi civili, amministrativi, contabili e tributari.
L’opponente sostiene che la collocazione autonoma dell’art. 143 t.u. ed il semplice rimando all’art. 82 t.u. per la liquidazione del compenso, possono far ritenere che il legislatore abbia voluto regolare tali processi alla stessa stregua del processo penale che, appunto, non prevede il dimezzamento del compenso come avviene nella materia civile, amministrativa, contabile, tributaria e di volontaria giurisdizione.
La materia riguardante l’art. 143 t.u., quindi, assurgerebbe al medesimo rango della materia penale potendo far leva sulle stesse argomentazioni che la Corte Costituzionale ha utilizzato per giustificare il privilegio riconosciuto alla sede penale rispetto alle altre (ordinanza n. 350/2005).
La Corte non accoglie tale interpretazione e precisa che la ragione per la quale l’art. 141 t.u. per i processo tributari rimanda espressamente all’art. 130 t.u., risiede nella esigenza di far comprendere nella schiera dei destinatari delle liquidazioni anche le figure professionali ivi previste distinte dall’avvocato.
Nicola Ianniello (da diritto.it del 2.6.2011)