Dalla Corte di Cassazione arriva un preciso monito per tutti i proprietari un pò "distratti" e poco attenti alla cura ed alla sorte dei nostri amici a quattro zampe. Un cacciatore del Leccese è stato condannato in via definitiva dagli "Ermellini" per il reato di abbandono di animali, previsto e punito dall'art. 727 del codice penale. Dato il dilagante malcostume, ancor più marcato nella stagione estiva, non ci sarebbe da stupirsi più di tanto se non per la particolare motivazione con cui il malcapitato è stato sanzionato.
Ed infatti, l'importante principio di diritto, enunciato dai Giudici della Terza Sezione Penale della Cassazione nella sentenza n. 18892/2011, afferma che omettere le ricerche dell'animale che si è smarrito equivale ad abbandonarlo.
Ricostruiamo brevemente il fatto. Il cane in questione veniva rinvenuto da un veterinario nei pressi della propria abitazione in condizioni di totale denutrizione e malato. Grazie alla presenza del microchip veniva individuato il proprietario, prontamente denunziato all'Autorità giudiziaria, tenuto conto della mancata presentazione da parte di quest'ultimo della denuncia di smarrimento. Seguiva quindi il processo penale, conclusosi con la condanna definitiva del proprietario.
L'importanza del principio affermato dalla Cassazione stà tutto nell'ampliamento della condotta integrante il reato di abbandono di animali, includendovi anche la colpa intesa come indifferenza o inerzia nella ricerca immediata dell’animale.
Colpa che non ricorre, per la punibilità dell’agente, soltanto con la volontarietà dell’abbandono ma anche con l’attuazione di comportamenti inerti incompatibili con la volontà di tenere con sé il proprio animale.
Tale indifferenza, in controtendenza con l’accresciuto senso di rispetto verso l’animale in genere, è avvertita nella coscienza sociale come una ulteriore manifestazione della condotta di "abbandono". Termine, quest'ultimo che va, dunque, interpretato in senso molto ampio e non rigidamente letterale in ossequio al significato etimologico del termine.
Significato che non è unidirezionale, scrivono i Giudici, non potendosi quindi condividere la tesi di circoscrivere il significato della parola "abbandono" al concetto di distacco totale e definitivo della persona da un’altra persona o da una cosa, ben potendo, nel comune sentire, qualificarsi l’abbandono come senso di trascuratezza o disinteresse verso qualcuno o qualcosa; o, anche, mancanza di attenzione.
Del resto – sia pure con connotati diversi – il concetto penalistico di abbandono è ripreso anche dall’art. 591 c.p. in tema di abbandono di persone incapaci. E anche in tali casi per abbandono va inteso non solo il mero distacco ma anche l’omesso adempimento, da parte dell’agente, dei propri doveri di custodia e cura, ovvero la consapevolezza di lasciare il soggetto passivo in una situazione di incapacità di provvedere a sé stesso.
In definitiva, anche nella ipotesi dell’abbandono di animali – contemplata dal comma 1 dell’art. 727 c.p. – viene delineata in modi non dissimili la nozione di abbandono, da intendersi quindi non solo come precisa volontà di abbandonare (o lasciare) definitivamente l’animale, ma di non prendersene più cura ben consapevole della incapacità dell’animale di non poter più provvedere a sé stesso come quando era affidato alle cure del proprio padrone.
Il concetto della trascuratezza, intesa come vera e propria indifferenza verso l’altrui sorte, evoca quindi l’elemento della colpa che, al pari del dolo, rientra tra gli elementi costitutivi del reato contestato.
Marco Martini (da tiscali.it del 23.6.2011)