Arbitro e consulente: condannato
al risarcimento danni del cliente
l’avvocato che non ha rispettato
l’incompatibilità dei due ruoli
È quanto stabilito dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n. 20379 del 5 settembre 2013, confermando quanto sostenuto in precedenza dalla Corte di appello.
Questa, in parziale riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Roma, ha accolto la domanda di risarcimento dei danni per responsabilità professionale proposta da un Comune contro un avvocato (per il quale si sono, tra l’altro, costituiti gi eredi). Nella fattispecie, la condanna era stata emessa per il fatto che l’avvocato, difensore del predetto Comune in relazione ad alcune importanti controversie, aveva successivamente assunto la carica di arbitro (nominato dal Comune) in relazione ad una vertenza per la quale aveva in precedenza svolto attività difensiva in favore del Comune stesso, redigendo un parere scritto.
La Corte di appello aveva osservato che il legale avrebbe dovuto conoscere la causa di incompatibilità a suo carico, comunicarla al cliente ed astenersi, di conseguenza, dall’assumere l’incarico.
I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto infondati i motivi posti, dagli eredi dell’avvocato, a fondamento del ricorso per cassazione.
“La distinzione che la ricorrente vorrebbe introdurre – si legge nell’ordinanza – tra responsabilità come avvocato e responsabilità come arbitro è artificiosa ed irrilevante, poiché non mutano i comportamenti dedotti a fondamento del giudizio di responsabilità, né i criteri in base ai quali va individuata la colpa. (…). Il fatto che il Comune fosse a conoscenza della pregressa consulenza professionale prestatagli dall’avvocato non significa, poi, che esso fosse anche consapevole della rilevanza di un tale comportamento in ordine alla validità della nomina dell’arbitro, trattandosi di questioni che non sono di immediata evidenza per un soggetto non esperto in materia giuridica. Non solo, ma il fatto di avere avuto il beneplacito del suo avvocato autorizzava il Comune a fare affidamento sulla correttezza del suo comportamento, quand’anche avesse potuto nutrire dei dubbi in proposito. La responsabilità del difensore assume carattere assorbente rispetto all’ipotetica responsabilità del cliente, in relazione ai comportamenti che quest’ultimo abbia tenuto su consiglio o comunque con l’assistenza del difensore medesimo, ove si tratti di comportamenti la cui illiceità non sia di immediata evidenza, per un soggetto non esperto in materie giuridiche. È compito del difensore indirizzare le scelte del cliente in senso conforme alla legge, se del caso astenendosi dalla difesa ove gli siano richiesti comportamenti non ortodossi”.
Biancamaria Consales (da diritto.it del 9.9.2013)