Mancano ancora 11 provvedimenti, 7 sono
in itinere
Seppur
in ritardo rispetto alla tabella di marcia, l’attuazione della legge di riforma
della professione di avvocato sta andando avanti e negli ultimi mesi ha accelerato
il passo.
La
settimana scorsa sono arrivati in Gazzetta due regolamenti ministeriali ed in
itinere ce ne sono altri sette. Il delicato tema della disciplina delle società
professionali, cui avrebbe dovuto essere dedicato un apposito Dlgs, è inoltre
confluito nel disegno di legge sulla concorrenza attualmente all’esame della
Camera dei deputati.
Il
punto di partenza è la legge 247/2012 (in vigore dal 2 febbraio 2013) che,
oltre a dettare regole direttamente operative, prevedeva quasi trenta
provvedimenti di attuazione, per la maggior parte assegnati al ministero della
Giustizia e che, stando alla legge, avrebbero dovuto vedere la luce entro il 2
febbraio 2015. Altri regolamenti (fra cui la predisposizione del nuovo Codice
deontologico) spettavano invece al Consiglio forense che li ha varati nel
biennio 2013-2014.
Tutti
i tasselli del complesso mosaico della riforma forense stanno quindi, anche se
con lentezza, andando al loro posto.
Gli
ultimi regolamenti
Come
ottenere il titolo di specialista e la pubblicità delle procedure relative
all’esame di Stato sono le materie disciplinate dagli ultimi due decreti
ministeriali usciti in Gazzetta il 15 settembre scorso. Il regolamento che
disciplina le modalità per diventare specialista entrerà in vigore il 14 novembre.
Individua due percorsi alternativi: frequentazione di corsi biennali o
comprovata esperienza nel settore. Le aree di specializzazione elencate dal
decreto sono diciotto e vanno dal diritto dell’ambiente a quello dell’Unione
europea (ma l’avvocato non può sceglierne più di due).
In
dirittura d’arrivo
Altri
sette decreti sono in via di approvazione. Hanno infatti cominciato l’iter che
prevede i pareri del Consiglio nazionale forense, del Consiglio di Stato e del
Parlamento.
All’esame
delle Camere c’è ad esempio, uno dei provvedimenti più attesi, quello che detta
i requisiti che un avvocato deve rispettare per rimanere iscritto all’Albo.
L’obiettivo è la verifica dell’esercizio «effettivo, abituale e prevalente»
della professione. Il testo inviato alle commissioni parlamentari individua sei
condizioni che, come specifica la relazione illustrativa, «devono ricorrere
congiuntamente»: titolarità di una partita Iva attiva (anche intestata a una
società o associazione di cui il professionista fa parte); disponibilità di
locali adibiti a studio professionale e di un’utenza telefonica; trattamento di
almeno cinque «affari» annui (la voce comprende sia gli incarichi giudiziali
che quelli stragiudiziali come consulenze e pareri), anche quando il mandato
arriva da un altro professionista ; possesso di un indirizzo di posta
elettronica certificata; assolvimento dell’obbligo di aggiornamento
professionale; polizza assicurativa.
Le
società fra professionisti
Fra
i tasselli mancanti c’è la disciplina dell’esercizio della professione forense
in forma societaria previsto dalla legge 247. L’articolo 5 rinviava, infatti,
la disciplina di questa materia a un decreto legislativo che avrebbe dovuto
essere varato entro il 2 agosto 2013 e fissava, di conseguenza, i principi e i
criteri direttivi cui il Governo avrebbe dovuto attenersi. Questo Dlgs non ha
mai visto la luce e ora il disegno di legge sulla concorrenza (attualmente
all’esame della Camera dei deputati) interviene sull’argomento con l’obiettivo
di «assicurare una maggiore concorrenza» e prevede quindi l’abrogazione
dell’articolo 5 della legge 247.
Botta
e risposta
Non
tutto quel che c’è scritto nei regolamenti attuativi piace al Consiglio di
Stato. Tra Palazzo Spada, chiamato a esprimere il parere sui testi, e il
ministero della Giustizia è un continuo botta e risposta. Si prendano, per
esempio, gli ultimi due regolamenti, quello sui criteri da rispettare per
rimanere iscritti all’Albo e l’altro sullo svolgimento dell’esame di Stato. In
entrambi i casi i regolamenti hanno richiesto un doppio passaggio perché il del
Consiglio di Stato aveva chiesto al ministero di apportare correzioni. Invece,
via Arenula ha deciso di tirare dritto per la propria strada.
Riguardo
alla permanenza nell’Albo Palazzo Spada aveva chiesto, in linea con il Cnf, di
introdurre una sorta di sanatoria, così da permettere all’avvocato in difetto
dei requisiti di mettersi al passo, spiegando che il rifiuto del ministero
appariva «poco convincente». Niente da fare: anche il testo arrivato in
Parlamento non tiene conto di quei suggerimenti.
Ancora
più “accorato” l’invito sull’altro regolamento. Lì c’è una norma che impone al
commissario che abbandoni l’aula della prova di non potervi rientrare, così da
evitare fughe di notizie. Allo stesso tempo, però, si affida ai commissari il
compito di trasferire dalla sede della Corte d’appello a un altro ufficio del
distretto gli elaborati scritti. Scelte che - scrive Palazzo Spada - appaiono
«poco funzionali e contraddittorie». «Non si può condividere - aggiungono i giudici
- la risolutezza, certamente degna di miglior causa», con la quale il ministero
ha continuato a disattendere tali indicazioni. Si tratterà di vedere se ci sarà
un ripensamento nel testo da inviare alle Camere. Anche perché - avverte il
Consiglio di Stato - è pur vero che il parere può essere ignorato, ma con
motivazioni «oltre che giuridicamente corrette», anche «legittimamente coerenti
con l’interesse generale».
Antonello Cherchi
Bianca Lucia Mazzei (da Il Sole 24 Ore
del 21.9.2015)