Il disegno di legge sulla revisione
del processo penale
regola il diritto alla riparazione
Reati
non più «cancellati» nel casellario giudiziario, se chi li ha commessi ha
superato gli 80 anni. E fari accesi sulla «ingiusta detenzione», perché ci sarà
una relazione (annuale) in parlamento sulle sentenze di riconoscimento del
diritto alla riparazione, dopo una carcerazione illecita. È proseguito ieri
l'esame, in aula alla camera, del disegno di legge di revisione del processo
penale (2798-A e Abb.); martedì 22 settembre verranno vagliate, fra le altre,
le modifiche delle norme sull'uso delle intercettazioni, contestate soprattutto
dal M5s, mentre il voto conclusivo, secondo quanto stabilito dalla conferenza
dei capigruppo di Montecitorio, si terrà la mattina successiva.
Dopo
essere stata messa a punto in commissione giustizia, è passata la correzione
che farà salire a un anno, dalla conclusione delle indagini, il tempo che il
pubblico ministero avrà a disposizione per esercitare l'azione penale (oppure
per chiedere l'archiviazione) per i reati di mafia e terrorismo; la nuova norma
prevede ora un termine ordinario di 3 mesi, prorogabile di altri 3 mesi per
inchieste di particolare complessità, e un termine di 12 mesi per mafia e
terrorismo, e il via libera a un subemendamento di Francesco Paolo Sisto (Fi)
ha specificato che, in caso di rinvio di 3 mesi, dovrà esserne informato il
procuratore della Repubblica (si veda ItaliaOggi del 16/09/2015).
E,
ha puntualizzato la presidente dell'organismo parlamentare Donatella Ferranti
(Pd), «non è che le indagini, in caso di mancato rispetto di tali tempi,
finiranno al macero, ma saranno avocate dal procuratore generale, che deciderà
se chiedere il rinvio a giudizio, o l'archiviazione».
I
deputati hanno poi aggiornato una «vecchia» norma del casellario giudiziario,
non più «compatibile», ha sottolineato Sofia Amoddio (Pd), con «l'allungamento
della vita»: il compimento degli 80 anni, o la morte, non comporteranno la
cancellazione delle condanne dal casellario giudiziario; l'emendamento, prima
firmataria Giulia Sarti (M5s), è stato approntato per recepire «la segnalazione
del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti», che aveva denunciato in
commissione come, in virtù di questa «arcaica previsione», oggi i boss di «Cosa
nostra» Bernardo Provenzano e Totò Riina risultino «incensurati». A scomparire,
inoltre, la cosiddetta «rescissione del giudicato», ossia la possibilità per il
condannato o il sottoposto a misura di sicurezza con sentenza passata in
giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata
del processo, di chiedere l'annullamento del verdetto, «qualora provi che
l'assenza è stata dovuta a un'incolpevole mancata conoscenza della celebrazione
del processo»; a subire così un colpo di spugna è l'articolo 625-ter del codice
di procedura penale, in base al quale, se accoglie la richiesta, la Corte di cassazione revoca
la sentenza e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado.
A
conquistare, inoltre, le luci della ribalta, un fenomeno «trascurato, troppo
esteso, e per nulla fisiologico nel sistema processuale», come l'ha definito il
viceministro della giustizia, Enrico Costa: l'ingiusta detenzione, «che dal 1992 a oggi è toccata ad
almeno 24.000 persone (quelle che hanno richiesto e ottenuto la riparazione) ed
è costata allo stato 600 milioni di euro». La norma, votata da tutti i gruppi
parlamentari, dispone un rendiconto ogni anno in parlamento sulle «situazioni
di iniqua permanenza dietro le sbarre, che nei primi 7 mesi del 2015, con 772
indennizzi per un totale di 20.891.603,5 euro, fa addirittura registrare una
tendenza all'aumento di episodi e di pagamenti», ha concluso il numero due di
via Arenula.
Simona D'Alessio (da
Italia Oggi del 18.9.2015)