Per le Sez. Unite Civili il professionista così viola
i doveri di dignità, probità, decoro e tolleranza
Cass. Sez. Unite Civili, sent. n.
18075/2015
Appare
legittima la sanzione dell'avvertimento comminata all'avvocato che invia alla
collega una comunicazione imputandole una serie di negligenze professionali
nell'attività difensiva svolta, senza il doveroso e preventivo accertamento del
ruolo rivestito da costei nella relativa vicenda giudiziaria ed utilizzando
toni minacciosi ed intimidatori.
Così
facendo, l'avvocato viene meno ai doveri di dignità, probità, decoro e
tolleranza.
Hanno
cosi stabilito i Giudici delle Sezioni Unite Civili con la sentenza n. 18075/15
sul ricorso proposto da un procuratore sottoposto alla sanzione disciplinare
dell'avvertimento da parte del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di
appartenenza, misura poi confermata dal Consiglio Nazionale Forense.
La
valutazione disciplinare è originata da una lettera dai toni e contenuti
"sopra le righe" inviata ad una collega, riguardante l'attività
difensiva da lei svolta (insieme ad altro collega) nei confronti di due coniugi
dei quali il professionista/ricorrente avrebbe poi assunto la difesa in un secondo
momento.
L'avvocato
lamenta che il CNF, come già il COA, non avesse fatto applicazione delle norme
deontologiche riguardanti il principio di autonomia dell'avvocato nella propria
attività professionale, nonché la violazione dell'art. 6 del codice
deontologico forense secondo cui l'avvocato che propone azioni giudiziarie non
è sanzionabile se non per malafede e colpa grave (ritenute da lui insussistenti
nel caso di specie).
Non
è così per i giudici della Suprema Corte che reputano inammissibili le censure
sollevate dall'avvocato, le quali non colgono la ratio decidenti a monte
dell'azione disciplinare.
L'incolpazione
di cui si discute, infatti, non pone in discussione l'autonomia dell'avvocato
nell'esercizio della propria attività professionale ne la proposizione di
un'azione giudiziaria nei confronti di una collega e neppure la fondatezza o
meno di tale azione.
Ciò
che si ascrive al professionista sono i toni, modi e contenuti della missiva,
tali da far ritenere che l'autore sia venuto meno ai propri doveri di dignità,
probità, decoro, nonché ai doveri di correttezza e lealtà che dovrebbero
caratterizzare il rapporto di colleganza.
Le
accuse rivolte alla collega appaiono, in aggiunta, dubbie ed avventate in
quanto costei non aveva curato l'intera pratica dei coniugi per la quale il
ricorrente lamenta la paventata negligenza.
Gli
stessi giudici disciplinari avevano circoscritto alla sola analisi della
lettera le ragioni dell'azione disciplinare, relegando il merito delle suddette
vicende sullo sfondo.
La Corte rigetta il ricorso.
Lucia Izzo (da
studiocataldi.it del 16.9.2015)