Niente menzogne ma solo evocazione del vissuto. La definizione di «ex picchiatore fascista» non è un'offesa alla reputazione se in passato il querelante ha realmente aderito a tale schieramento politico scendendo in piazza a manifestare. Insomma, non si configura nessuna violazione della verità perché è solo un'evocazione del vissuto. Lo ha sancito la Corte di cassazione con la sentenza 745 dell'8 gennaio 2013.
La quinta sezione penale ha ribaltato la decisione della Corte d'appello di Roma che ha condannato un giornalista per aver offeso la reputazione di un altro giornalista nel proprio blog, a 400 euro di multa e al risarcimento dei danni. Piazza Cavour ha ritenuto che il fatto non costituisce reato e che non può essere accolta l'istanza punitiva «per esercizio antigiuridico del diritto/dovere di informare nei confronti dell'imputato: questi non ha illecitamente violato la verità, negando e disconoscendo l'evoluzione culturale e politica del querelante, rispetto alla passata adesione a uno schieramento caratterizzato da innegabili modalità di esternazione, diffusione e promozione della concezione della dialettica politica. L'imputato, sia pure con espressioni non attualmente gratificanti per il destinatario ma pienamente correlate e proporzionate al tema e al livello della polemica, rinvenibili a monte della vicenda, ha rievocato un passato rispetto a cui l'ironia del suo protagonista può volgere una rassicurante garanzia di non ritorno ma non la funzione di strumentale obliterazione».
Dunque, la sintesi critica del vissuto pubblico del querelante, inquadrata nella sua biografia e nella storia italiana del secolo scorso, esprime la sua identità personale e politica in maniera innegabilmente conforme ai fatti rievocati della sua vita, i quali, pur collocati nel suo passato, non possono essere cancellati nel loro oggettivo significato da successivi "ripensamenti individuali". Per questo, la sentenza va quindi annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
Vanessa Ranucci (da cassazione.net)