È ammissibile l’istanza di sequestro contenuta nell’atto di citazione e non in separato ricorso come prescrive l’art. 669 bis c.p.c.: si tratta di irregolarità formale, idonea comunque al raggiungimento dello scopo suo proprio, posto che sull’istanza cautelare è competente a decidere il giudice del merito.
Così ha deciso il Tribunale di Lamezia Terme, con ordinanza 6 novembre 2012.
Nel caso in esame l’attrice aveva chiesto, nell’atto di citazione, il sequestro giudiziario del 50% delle quote intestate al marito (con il quale pendeva una causa di separazione giudiziale) di due società costituite in costanza di matrimonio e l’accertamento della comproprietà delle predette quote.
Quanto al fumus boni iuris, l’istante asseriva che le predette quote rientrassero nella comunione ordinaria, cosi’ come stabilito nella convenzione con la quale i coniugi avevano optato per il regime di separazione dei beni, nella quale era espressamente previsto che i beni acquistati in precedenza rimanessero in comunione ordinaria.
Quanto al periculum in mora, l’attrice allegava alcuni comportamenti concludenti del convenuto, indici della sua volontà di ledere gli interessi della stessa e tali da rendere fondato il timore di una diminuzione del valore delle quote nel tempo necessario alla definizione del giudizio di merito.
Resisteva il marito affermando, in ordine all’istanza di sequestro, che la stessa non era stata ritualmente introdotta perché contenuta nell’atto di citazione e non in separato ricorso cosi’ come prescrive l’art. 669 bis c.p.c.
Ad avviso del giudice, tuttavia, “competente a decidere sull’istanza cautelare spiegata in corso di causa è, infatti, indefettibilmente, il giudice della causa di merito, sicché da questo punto di vista nessun vizio è riconducibile alla scelta della M di includere l’istanza nel medesimo atto introduttivo del giudizio di merito, trattandosi di modalità al più inficiata da mera irregolarità formale, ma del tutto idonea al raggiungimento dello scopo suo proprio (vale a dire l’instaurazione del contraddittorio con le controparti)”. Nell’ordinanza in commento, il giudice ha, quindi, applicato i principi di ordine generale di cui all’art. 156 c.p.c., sulla “rilevanza della nullità”, in particolare il comma 3 per cui
”la nullità non puo' mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.
In ordine al fumus boni iuris, parte resistente sosteneva che le quote dovessero ritenersi in comunione de residuo ex art. 178 c.c. e non in comunione legale. Tuttavia, secondo il giudice, le quote societarie sono assimilabili ai beni mobili quanto al loro regime giuridico generale (in tal senso, Cass. 2569/2009 cit.), e, pertanto, le quote acquistate dal singolo coniuge in regime di comunione legale ricadono nella comunione immediata di cui all'art. 177 comma 1 lett. a) c.c., che parla genericamente di acquisti compiuti in costanza di matrimonio. Ciò, peraltro, è conforme alla "ratio" delle norme sulla comunione, che è quella di realizzare pienamente, anche sul piano dei rapporti patrimoniali, la dimensione comunitaria della vita familiare.
Inoltre, anche se si aderisse all’impostazione di parte resistente (per cui le quote ricadono in comunione differita ex art. 178 c.c. in quanto beni strumentali all’esercizio di un’attività di impresa), ciò non escluderebbe, almeno a livello di delibazione sommaria, un diritto dell’attrice alla contitolarità delle quote medesime. Infatti, ai sensi dell’art. 178 c.c. l’esistenza di tale diritto deve essere verificata non al momento (futuro) dello scioglimento della società, bensì al momento (passato) dello scioglimento della comunione legale.
In conclusione, sussistendo il periculum in mora per l’elevata conflittualità tra i coniugi, il giudice ha nominato il marito custode delle quote, obbligandolo alla rendicontazione e a chiedere la previa autorizzazione del Tribunale per l'adozione di tutte le decisioni eccedenti l’ordinaria amministrazione.
(Da Altalex del 15.1.2013. Nota di Giuseppina Mattiello)