Tribunale Verona, sez. IV civ., sent. 22.11.2012
L’azione giudiziaria diretta ad ottenere la risoluzione di un contratto è improcedibile, se nel suddetto accordo era prevista la clausola compromissoria in virtù della quale le parti si sarebbero dovute rivolgere ad un collegio arbitrale per risolvere eventuali controversie. Tutto ciò con conseguente responsabilità processuale aggravata per lite temeraria a carico dell’attore.
E’ quanto deciso dal Giudice Unico del Tribunale di Verona, Sezione IV Civile, nella sentenza 22 novembre 2012.
Nel caso in esame, un grafico era stato convenuto in giudizio per grave inadempimento del contratto, intercorso con l’attore, avente ad oggetto la realizzazione da parte del convenuto di un sito informatico con determinate caratteristiche, poi non rispettate nell’opera finale.
Costituitosi in giudizio, il convenuto in via pregiudiziale di rito, aveva eccepito l’improponibilità della domanda di controparte per la presenza della clausola compromissoria contenuta nell’art. 5 del contratto, secondo cui era previsto che le parti si rivolgessero ad un collegio arbitrale per redimere “ogni eventuale controversia concernente l’interpretazione e l’esecuzione del contratto”.
Avverso tale eccezione, l’attore aveva sostenuto l’inapplicabilità di tale clausola in quanto la stessa sarebbe stata travolta dall’intervenuta risoluzione del contratto.
Il Giudice adito ha respinto tale obiezione, per due motivi: innanzitutto non era stata ancora pronunciata la risoluzione del contratto, tant’è che lo stesso attore aveva proposto domanda giudiziale a tal fine, ed inoltre, il caso de quo rientrava tra quelli devoluti agli arbitri in virtù dell’accordo in oggetto. Tra l’altro il lamentato inadempimento del convenuto comportava l’accertamento della corretta esecuzione delle obbligazioni assunte con quel contratto.
E’ stato anche respinto l’ulteriore assunto dell’attore di incompatibilità della clausola compromissoria con la proposizione della domanda riconvenzionale del convenuto, in quanto ciò sarebbe la palese rinuncia di quest’ultimo di avvalersi della clausola arbitrale. A tal riguardo, occorre riportare il consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo cui: “La contestuale proposizione dell’eccezione di devoluzione della controversia in arbitri e della domanda riconvenzionale nella comparsa di risposta non implica peraltro la necessità di subordinare espressamente la seconda al rigetto della prima, onde evitare che essa sia ritenuta rinunciata, in quanto l'esame della domanda riconvenzionale è ontologicamente condizionato al mancato accoglimento dell'eccezione di compromesso, essendo la fondatezza di quest'ultima incompatibile con l'esame della prima” (Cassazione civile, sez. I, 30/05/2007, n. 12684).
Il Giudicante ha invece valutato degna di accoglimento la domanda formulata dal convenuto ex art. 96, terzo comma c.p.c., di condanna dell’attore al pagamento di una somma equitativamente determinata, in quanto questi avrebbe agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, secondo i requisiti soggettivi di cui all’art. 96 c.p.c.
In effetti, nel caso in esame, parte attrice ha continuato ad insistere sostenendo la proponibilità della domanda sulla scorta di argomenti pretestuosi e contraddetti da un orientamento giurisprudenziale consolidato, tanto da indurre a ritenere la sua difesa caratterizzata da evidente malafede.
Alla luce delle suddette argomentazioni, il Giudice Unico del Tribunale di Verona, ha dichiarato improponibili le domande dell’attore, condannandolo alla rifusione delle spese di lite, nonché, visto l’art. 96, comma terzo, c.p.c. al pagamento di un’ulteriore somma in favore del convenuto.
(Da Altalex del 5.12.2012. Nota di Maria Elena Bagnato)