Consiglio di Stato, parere 22.1.2013 n° 161
Ma perché?
Occorre innanzitutto chiedersi il perché dopo appena quattro mesi circa dalla sua entrata in vigore il Ministero della giustizia abbia approvato uno schema – e non è l’unico considerato l’ulteriore bozza messa a punto di concerto tra i ministeri della Giustizia e delle Infrastrutture in tema di compensi da porre a base delle gare di progettazione – di decreto ministeriale modificativo del precedente decreto 20 luglio 2012, n. 140 concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Il c.d. (odiato) decreto parametri, insomma.
Se la risposta è, e non può che essere questa, perchè il primo era stato fatto a capocchia sarebbe interessante comprendere chi abbia studiato e redatto il testo del primo decreto perché pensare che esso sia “uscito” dal Ministero della giustizia (vieppiù di un Governo tecnico) non può che far crollare ogni speranza che il sistema Giustizia in Italia possa migliorare.
Fin dall’inizio, infatti, il vituperato decreto ha denotato un’approssimazione, imprecisione ed iniquità tali da far sospettare che non potesse essere stato partorito dal Ministero della giustizia che dovrebbe, invece, essere perfettamente a conoscenza della materia e del settore e saper opportunamente regolare quanto demandatogli.
Eppure la giustificazione addotta dal Ministero a sostegno dell’opportunità del decretino correttivo è stata quella di dover superare alcune criticità emerse dal confronto con gli ordini professionali, con particolare riferimento all’ordine forense.
Si sarà trattato di confronti ex post, posto che non mi risulta ce ne siano stati prima della sua approvazione…
Mi viene da dire che se il confronto fosse stato cercato prima del blitz operato inizialmente dal Governo col succitato decreto legge (che ha abrogato le vecchie tariffe professionali e lo stesso sistema che portava alla loro approvazione) e poi col D.M. 140/2012 le criticità sarebbero state evitate poiché l’avvocatura le avrebbe certamente segnalate all’amministrazione competente.
Il “furore” verso le c.d. liberalizzazioni (di facciata) e i vari provvedimenti dai nomi positivi-evocativi-incitativi-punitivi-impositivi del tipo: “Salva Italia”, “Cresci Italia”, ecc… ha tuttavia forse impedito che ciò accadesse ed ora si corre frettolosamente ai ripari.
Lo stesso Consiglio di Stato non risparmia critiche al Ministero nella parte del suo parere in cui considera che:
Le ragioni di un nuovo intervento normativo a così breve distanza dall’entrata in vigore del D.M. non risultano del tutto chiare, anche perché nulla viene precisato con riferimento alle modalità con cui è avvenuto (o sta avvenendo) il confronto con gli ordini professionali, e in base a quali dati o elementi sono emerse le richiamate criticità.
Il Consiglio di Stato del resto aveva il dente avvelenato con l’ufficio legislativo del Ministero reo (come espressamente in più punti del parere evidenziato) di non aver recepito, nell’adottare il D.M. 20 luglio 2012 n. 140, diverse osservazioni del Consiglio di Stato senza nemmeno indicarne le ragioni.
Il Dicastero della giustizia insomma non ha interpellato gli avvocati (e forse nemmeno le altre categorie professionali regolamentate nel sistema ordinistico), non ha dato retta al Consiglio di Stato, ha tirato dritto per la sua strada e oggi è costretto a fare marcia indietro. Direi sia una gran brutta figura.
La cosa triste, che aggrava ulteriormente le critiche, è che stiamo parlando della mera regolamentazione delle tariffe degli avvocati, non dei massimi sistemi del diritto, ché allora potrebbe, al limite, avere tutto più senso.
Ma tant’è.
Lo schema di regolamentino modificativo si compone di tre articoli e due allegati: l’art. 1 contiene le modifiche al D.M. n. 140/2012; l’art. 2 richiama gli allegati che modificano le tabelle A e B relative agli avvocati, del citato decreto; l’art. 3 prevede una clausola sulla sua entrata in vigore.
La proposta modifica delle spese forfetarie (generali)
La prima modifica proposta col decretino riguarda l'art. 1, comma 2, del D.M. 140/2012 in materia di spese, attraverso la previsione che al compenso sia aggiunto un importo per quelle c.d. “spese forfettarie” che il professionista “inevitabilmente sopporta ma che, per la natura delle stesse, non può documentare o comunque provare precisamente (secondo la relazione, si tratta, tipicamente, delle spese relative alla gestione complessiva dello studio professionale)”.
Si tratta delle vecchie spese generali ex artt. 14 tabella A, 8 tabella B, 12 tabella C dell’abrogata tariffa (D.M. 127/2004).
Per tale voce sarebbe stato previsto dal Ministero un incremento del compenso liquidato, in misura compresa tra il 10 e il 20 per cento.
Da notare che la modifica riguarderebbe tutte le professioni, come risulta anche dalla sua collocazione sistematica, e non solo l’avvocatura.
Secondo il Consiglio di Stato la modifica proposta cozzerebbe col concetto di compenso omnicomprensivo previsto dall’art. 9, comma 4 penultimo periodo, del D.L. 1/2012 in base al quale la misura del compenso deve essere: “pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi”.
Il Consiglio di Stato, benché rimasto sul punto inascoltato dal Ministero, aveva già suggerito, nell’ambito della sua funzione consultiva, di modificare il comma 2 dell’art. 1 del D.M. 140/12 nel senso che il compenso è unitario e omnicomprensivo e comprende anche le spese, ferma restando la possibilità di indicarle in modo distinto come componente del compenso stesso.
Tenuto conto dell’indicato principio di onnicomprensività del compenso anche nel nuovo parere sul decretino viene mantenuto fermo tale punto di vista.
Non viene, infatti, ritenuto coerente con la richiamata norma primaria: “introdurre il rimborso delle spese forfettarie, che si aggiungono a quelle documentate, considerato anche che le spese relative alla gestione complessiva dello studio professionale, richiamate dall’Amministrazione nella relazione, devono ritenersi già incluse nel compenso e prese in considerazione ai fini della liquidazione dello stesso”.
Vieppiù in quanto la segnalata criticità si aggraverebbe: “con la proposta modifica, introducendo un livello di spese forfettarie in misura peraltro rilevante (di regola, tra il 10 e il 20 % del corrispettivo)”.
La proposta modifica del compenso per l’attività stragiudiziale
Per l'attività stragiudiziale degli avvocati il decretino prevedrebbe due modifiche.
La prima stabilisce che il compenso possa essere quantificato in una percentuale calcolata tra il 5 e il 20% del valore dell'affare, mentre ora, come noto, il D.M. 140/2012 stabilisce all’art. 3, commi 1 e 2, che si debba genericamente tener conto: “del valore e della natura dell'affare, del numero e dell'importanza delle questioni trattate, del pregio dell'opera prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell'eventuale urgenza della prestazione e delle ore complessive impiegate per la prestazione, valutate anche secondo il valore di mercato attribuito alle stesse”.
Secondo il Ministero la modifica proposta consentirebbe di evitare il ricorso al criterio del compenso orario, che non sarebbe risultato ancorabile (che gran scoperta! bastava rifletterci prima) a un parametro di riferimento sufficientemente certo in sede di vaglio giudiziale.
A tale proposta il Consiglio di Stato pur condividendo la ratio della modifica, oppone l’esigenza di non prevedere un minimo per il compenso, ma solo una misura massima, rilevando tuttavia come quella proposta appaia elevata.
La seconda modifica, che interesserebbe l'attività stragiudiziale, riguarda la mediazione di cui al decreto legislativo 28/2010 (proprio ora che quella obbligatoria è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza 272/2012!).
Grazie al decreto correttivo il compenso potrebbe infatti essere aumentato fino ad un terzo in favore dell'avvocato che assista una parte nel relativo procedimento.
A prescindere dall’esito dunque, mentre ora il comma 3 dell’art. 3 si limita a prevedere che: “Quando l'affare si conclude con una conciliazione, il compenso è aumentato fino al 40 per cento rispetto a quello altrimenti liquidabile a norma dei commi che precedono”.
E la maggiorazione è dunque attualmente ancorata al “successo” del tentativo di mediazione.
Secondo il Ministero la modifica proposta avrebbe la finalità di incentivare in modo significativo il ricorso assistito alla procedura di mediazione e, quindi, in un'ottica deflattiva, di ridurre l'instaurazione di procedimenti davanti all'organo giurisdizionale.
Il Consiglio di Stato nel suo parere obietta giustamente che sarebbe allora preferibile non far conseguire l’aumento del compenso solo in ragione dell’assistenza nel procedimento di mediazione, ma di farlo derivare dall’esito positivo del procedimento e dal contenuto dell’attività svolta dall’avvocato al fine di favorirlo (specie, se si vuole incentivare la finalità deflativa dell’istituto). Ciò al fine di premiare non l’assistenza ad una qualsiasi attività di mediazione, ma l’ausilio ad una mediazione coronata da buon esito, o comunque svolta dal professionista con proposte idonee a favorire il buon esito.
Il Consiglio suggerisce poi addirittura una sorte di penalizzazione per l’avvocato (sotto forma di diminuzione del compenso) in caso di assistenza nel procedimento di mediazione non rispondente a tali principi, anche ad es. con riguardo alla mancata accettazione di proposte, poi risultate coerenti con l’esito del giudizio.
La proposta introduzione della fase di studio per la fase esecutiva
Il Consiglio esprime parere negativo in ordine all’introduzione, nel settore civile, della voce “studio” per la fase esecutiva sia mobiliare sia immobiliare con valori corrispondenti al 35-50 per cento degli importi previsti nel D.M. 140/12.
Viene infatti sostenuto che siccome la fase esecutiva deve essere vista come un completamento per la realizzazione del bene della vita perseguito nel settore civile, amministrativo (comprensivo del contenzioso contabile) e tributario, e quale segmento terminale nel penale non vi sarebbe alcuna ragione per inserire all’interno di tale (unica) fase una voce “studio” che finirebbe per costituire una duplicazione della fase di studio già prevista con dignità autonoma.
È noto infatti che tra le varie fasi dell'attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria previste dall’art. 4 del D.M. 140/2012, prima di quelle d’introduzione del procedimento, istruttoria, decisoria ed esecutiva, vi sia quella di studio della controversia.
Le proposte di modifica dei compensi per decreti ingiuntivi e precetti
Il Consiglio di Stato boccia l’incremento (in misura oscillante tra il 30% e il 50%, in modo logicamente regressivo) – proposto dal Ministero onde riferire anche a tali attività la componente di “studio” – dei valori “parametrici” previsti per il procedimento di ingiunzione e per il precetto.
Sostiene infatti, senza troppo motivare, che non vi siano le dedotte ragioni per aumentare i parametri numerici dei compensi per l’ingiunzione monitoria e per il precetto.
E dire che quanto ai precetti fin da subito era apparsa evidente l’assoluta inadeguatezza e iniquità degli importi previsti unita alla difficoltà di valorizzare in precetto alcune attività (richiesta copia titolo esecutivo, ritiro detto, ecc…) il cui compenso era stato dal contestato D.M. incluso solo nella (eventuale) fase esecutiva…
Le proposte di modifica condivise per l’attività giudiziale civile
Il Consiglio di Stato ha invece espresso parere favorevole ad alcune delle proposte di modifiche del decreto parametri.
La prima è quella avente ad oggetto la previsione di un aumento fino al triplo (in sostituzione dell’attuale doppio) del compenso spettante all'avvocato che difenda più persone con la medesima posizione processuale al fine di evitare l'incentivazione dell’instaurazione di più giudizi aventi identici petita e causae petendi per conseguire un maggior compenso sommando la liquidazione prevista per ciascun procedimento.
La seconda consiste nella “restaurazione” della differenza (difficilmente comprensibile) tra la difesa in ambito civile e quella ambito penale introdotta dal DPR n. 115/2002 (dove i compensi per la difesa nel procedimento civile dei soggetti sopra citati sono ridotti alla metà) in un'asserita ottica di “recupero della funzione sociale dello Stato, che si fa carico per intero di delicate difese di soggetti con insufficienti mezzi economici”.
In pratica viene approvata la proposta soppressione della possibile riduzione a metà del compenso (prevista dall'articolo 9 del D.M. n. 140/2012 - cause per l'indennizzo da irragionevole durata del processo e patrocinio a spese dello Stato) spettante all'avvocato che presti la sua assistenza nel procedimento penale in favore di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato nonché a soggetti a questi equiparati dal DPR n. 115/2002.
La terza proposta di modifica viene approvata benchè se ne suggerisca una modifica. Il nuovo comma 6 bis dell’art. 4 del D.M. disciplina la così detta “soccombenza qualificata” che prevede un significativo aumento del compenso liquidato a carico della parte soccombente quando le difese della parte vittoriosa siano risultate manifestamente fondate con lo scopo, non solo di scoraggiare pretestuose resistenze processuali, ma di premiare anche l'abilità tecnica dell'avvocato che sia riuscito a far emergere che la prestazione del suo assistito era chiaramente e pienamente fondata nonostante le difese avversarie.
Secondo il Consiglio di Stato tale previsione dovrà trovare applicazione in tutti i giudizi e non appare opportuno limitarla (come proposto dal Ministero) solo a quelli non contumaciali.
La quarta proposta concerne la soppressione del comma 9, dell’art. 1, del D.M. n. 140/2012, che richiamava l'applicazione dei criteri generali di cui all'art. 4, commi da 2 a 5, per la determinazione del compenso nelle controversie il cui valore supera euro 1.500.000 e l’introduzione di due ulteriori scaglioni: uno da euro 1.500.001 a euro 5.000.000, l'altro oltre euro 5.000.000.
Il Consiglio di Stato, pur concordando che la modifica rende più obiettivi i parametri di liquidazione dei compensi nelle controversie il cui valore supera euro 1.500.000, suggerisce di contenere nel quantum i parametri per i due nuovi scaglioni in ragione “delle esigenze di contenere la misura dei parametri di liquidazione”, già segnalate nel precedente parere allo schema del D.M. 140/2012, e poste in relazione alla crisi finanziaria in atto nel Paese.
In pratica gli avvocati dovrebbero essere chiamati a far la loro parte di sacrifici in nome della crisi… si sconosce, tuttavia, il fondamento giuridico e comunque logico di una tale valutazione.
Le proposte di modifica condivise per l’attività giudiziale penale
Anche per l’attività giudiziale penale il Consiglio di Stato approva alcune proposte di modifica.
La prima ad essere valutata positivamente è quella che consiste nella soppressione della possibilità di riduzione alla metà del compenso dell'avvocato che assista d'ufficio nei giudizi penali un minorenne (art. 12 comma 5 D.M. 140/12). Si ritiene infatti che ciò consenta di evitare che la difesa di soggetti deboli sia considerata di minore dignità, determini un minor impegno e non le sia attribuito quel riconoscimento che le è invece dovuto per la delicatezza dell’incarico.
La seconda è quella avente ad oggetto l’aggiunta alle altre di una nuova fase: quella dell’investigazione.
E ciò in quanto tale nuova autonoma fase valorizzerebbe: “un’attività particolarmente impegnativa e delicata, come quella investigativa appunto, che è stata introdotta al fine di porre su un piano paritario accusa e difesa nel giudizio penale”.
Osservazioni finali
Gli articoli 13, comma 6 e 1, comma 3 della L. 31 dicembre 2012, n. 247 (nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) prevedono che entro due anni dalla sua entrata in vigore (ed in seguito a cadenza biennale), con decreto del Ministro della giustizia, su proposta del Consiglio nazionale forense, dovranno essere approvati per gli avvocati dei nuovi parametri per la determinazione dei loro compensi.
L'odioso decreto parametri (fortunatamente) a prescindere dall’esito che avrà il decretino correttivo in commento è quindi destinato ad essere superato da un nuovo regolamento dei compensi professionali caratterizzato da un diverso procedimento d’adozione (consultazione del CNF).
I compensi degli avvocati torneranno, tra l’altro, ad essere regolamentati con un decreto ad hoc a differenza di quanto oggi previsto col vituperato D.M. 140/12 che è norma “condivisa” con altri professionisti liberali.
A tal fine prevede il comma 7 della nuova legge professionale forense che tra gli specifici criteri che devono guidare la formulazione dei nuovi parametri vi siano la trasparenza, l’unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali.
In attesa che il nostro CNF si faccia promotore dell’approvazione dei nuovi parametri per la determinazione del compenso degli avvocati ci auguriamo che ci si ricordi di aggiungere a tali criteri anche quello dell’adeguatezza della determinanda retribuzione all’importanza dell’incarico e al decoro della professione (art. 2233 c.c.).
Non paiono affatto valori superati, vieppiù in un’ottica di effettiva tutela del valore costituzionale del ruolo svolto dall’avvocatura (artt. 2, 3, 24-28, 111 Cost.) che non può e non deve più tollerare attacchi basati su infondate esigenze di liberalizzazione e rilancio dell’economia che paiono costituire meri e vuoti alibi per introdurre norme penalizzanti per un’intera categoria a vantaggio dei soliti noti...che peraltro non ne hanno affatto bisogno.
(Da Altalex del 23.1.2013. Nota di Andrea Bulgarelli)