Recesso lecito se il riaffiorare della patologia è dovuto all'imprudenza del lavoratore
Ognuno è libero di trascorrere le vacanze dove vuole, anche in capo al mondo. Le ferie, tuttavia, servono al lavoratore per ritemprare le sue energie: al termine del periodo di assenza dal servizio il datore vanta una legittima aspettativa al normale svolgimento della prestazione da parte del dipendente. Non può quindi dolersi del licenziamento per giusta causa il lavoratore che, dopo la malattia tropicale contratta nei suoi frequenti viaggi in Africa, chiede un periodo di ferie adducendo motivi familiari e, come già in passato, resta di nuovo a lungo lontano dal lavoro per la ricaduta nella patologia che lo affligge. È quanto emerge dalla sentenza n. 1699 del 25 gennaio 2011 della sezione lavoro della Cassazione.
È vero: l'articolo 2110 Cc pone a carico del datore, sia pure entro precisi limiti, il rischio che la prestazione del lavoratore risulti momentaneamente impossibile per malattia. Ma non bisogna dimenticare che il contratto di lavoro va interpretato all'insegna dei principi correttezza e buona fede da entrambe le parti. Deve dunque essere confermato il licenziamento irrogato al dipendente: il riaffiorare della patologia va addebitato all'imprudenza del lavoratore che torna nel Paese estero dove ha contratto la malattia endemica esponendosi alla «altissima probabilità» di una ricaduta. Insomma: il dipendente viene meno al dovere di «diligente correttezza» cui deve essere ispirata la sua condotta anche durante le ferie.
(Da cassazione.net del 27.1.2011)