Cassazione civile, sez. III, sent. 18.11.2010 n° 23259
La perdita dalla capacità lavorativa generica della parte lesa dal sinistro va liquidata come componente del danno biologico.
E’ quanto ha stabilito la Terza Sezione Civile della Cassazione, con la sentenza 18 novembre 2010, n. 23259. In caso di danno non patrimoniale derivante da incidente stradale la vittima ha diritto ad ottenere un risarcimento unico che tenga conto di tutti gli aspetti del pregiudizio di carattere non patrimoniale, subito dalla vittima.
Come è risaputo, il danno non patrimoniale consiste nella lesione di interessi non economici, ovvero di interessi che, secondo la coscienza comune, sono insuscettibili di valutazione economica. Il nostro codice civile, in tema di danno non patrimoniale, all’art. 2059 c.c. fissa la regola della loro risarcibilità nei soli casi determinati dalla legge i quali, tradizionalmente, venivano ricondotti nei danni derivanti da reato.
Senonché la lettura costituzionalmente orientata di tale norma, effettuata dalla Suprema Corte già nel 2003, con le sentenze nn. 8827 e 8828, impone di considerare risarcibile anche il danno non patrimoniale relativo ad un diritto anche indirettamente previsto e tutelato dalla Costituzione, fonte sovraordinata rispetto alla legge ordinaria, e quindi anche rispetto all’art. 2059 c.c..
Ciò brevemente premesso, è bene ricordare come, accanto ad un sistema risarcitorio “tripolare”, basato sulle figure del danno biologico (inteso come lesione al bene salute), danno morale soggettivo (inteso come sofferenza transeunte patita dalla vittima in conseguenza del reato) e danno patrimoniale, l’orientamento oggi dominante individui un sistema “bipolare”, incentrato unicamente sulla distinzione tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, intendendo quest’ultimo come comprensivo del danno morale soggettivo, del danno biologico e del danno esistenziale (ovvero il danno conseguente alla lesione di altri interessi inerenti alla persona).
Proprio le Sezioni Unite, con la sentenza n. 26972/2008, hanno affermato come il danno non patrimoniale costituisca una categoria ampia ed onnicomprensiva all’interno della quale è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie ma solo a fini descrittivi. Il danno non patrimoniale va risarcito integralmente, senza duplicazioni, essendo necessario effettuare una valutazione complessiva e congiunta del danno esistenziale e del danno morale nella più ampia categoria di danno biologico.
Gli ermellini ribadiscono il principio, già affermato dalle Sezioni Unite Civili secondo cui il risarcimento ex articolo 2059 c.c. deve essere liquidato in un’unica somma, al fine di evitare duplicazioni inutili ma che “nella definizione complessa del danno biologico è inclusa anche la posta del danno per la perdita della capacità generica”.
Viene, dunque, ribadita la necessità di personalizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale, che tenga nella dovuta considerazione il tipo di pregiudizio creato dall’incidente e le condizioni soggettive dalla vittima.
(Da Altalex del 10.12.2010. Nota di Simone Marani)