L'annullamento del matrimonio da parte del Tribunale ecclesiastico per mancata consumazione non comporta l'addebito a carico dell'ex. Assegno di divorzio negato anche sulla base delle buone condizioni economiche del coniuge debole
Il coniuge debole, ma in buone condizioni economiche, non ha diritto all'assegno divorzile e non può porre a carico dell'altro l'addebito della separazione se il matrimonio è finito per mancata consumazione, accertata dal Tribunale ecclesiastico. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza 14196 del 5 giugno 2013, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una ex moglie contro la decisione della Corte d'appello di Salerno che ha confermato cessati gli effetti del matrimonio concordatario contratto dalle parti per non consumazione dello stesso, bocciandole la domanda di assegno, e quella di addebito e assegnazione degli arredi della casa coniugale proposta, invece, dal marito.
La prima sezione civile, in linea con la Corte salernitana, ha ritenuto la non consumazione del matrimonio, emersa dalle dichiarazioni dei coniugi, dalla dispensa ecclesiastica (e successiva autorizzazione a contrarre nuovo matrimonio), nonché dagli accertamenti eseguiti nel procedimento ecclesiastico. Inoltre, circa l'assegno divorzile preteso dalla moglie, secondo la Suprema corte questo deve essere negato in considerazione delle buone condizioni economiche degli ex coniugi, in particolare del coniuge debole. E ancora, che nel giudizio di divorzio non è prevista la pronuncia di addebito né di restituzione degli arredi domestici. Insomma, per lo scioglimento del matrimonio la legge non prevede l'istituto dell'addebito e ha escluso il diritto della ricorrente all'assegno valutando le sue buone condizioni economiche. Pertanto, alla ricorrente non resta che pagare più di 2 mila euro di spese.
(Da telediritto.it del 10.6.2013)