L’Avvocatura ha più
volte denunciato la illegittimità costituzionale del filtro in appello
che viola gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione laddove limita il
diritto di difesa e attribuisce al giudice di appello una scelta
arbitraria per dichiarare la inammissibilità del gravame. Secondo
l'Associazione nazionale avvocati italiani, il nuovo istituto
processuale confonde la fondatezza con l’inammissibilità e prevede
addirittura che si possa ulteriormente procedere “per saltus” in
cassazione contro la decisione di primo grado. L'argomento è tornato
alle cronache dopo la decisione della Corte di Appello di Palermo che ha
dichiarato appunto l'inammissibilità per aver sempre rigettato le
impugnazioni in casi analoghi. “Il giudice (persona umana e fallibile) –
ha dichiarato il presidente Anai Maurizio De Tilla -
deve interpretare il significato semantico dell’appello e stabilire se
vi è “ragionevole probabilità di rigetto” e, in tal caso, ne dichiara la
inammissibilità, senza procedere all’esame obiettivo ed approfondito
delle questioni sottoposte al suo esame. Ma vi è di più. Il
provvedimento del giudice deve essere motivato con il “riferimento a
precedenti conformi”. Molti giudici hanno capito ben poco della portata
della normativa sul filtro in appello ed attendono, questa volta
ragionevolmente, una pronuncia della Corte di Cassazione per una
“direttiva interpretativa”. Altri giudici (in minoranza) si riportano ad
un solo precedente, magari dello stesso ufficio giudiziario. Così è
accaduto presso la Corte di Appello di Palermo che ha dichiarato
inammissibile l’appello perché “in casi analoghi” aveva “sempre
rigettato le impugnazioni per la loro infondatezza”. Siamo al paradosso!
La infondatezza che un giudice ha ritenuto di affermare decidendo
precedenti casi si trasforma in “inammissibilità” e viene a precludere
l’esame di circostanze e censure di gravame che potrebbero condurre ad
una decisione diversa. E poi, con l’impostazione data dalla Corte
palermitana quale spazio può più avere l’autonomia dell’interpretazione
giurisprudenziale che può anche cambiare in relazione a fattispecie cd.
analoghe”. L’Anai insiste, quindi, nella richiesta di formulare nei
giudizi civili eccezioni di incostituzionalità della indicata normativa
procedurale e, comunque, di procedere al più presto all’abrogazione
legislativa del “filtro in appello”, che altro non è che un sistema
arbitrario per “demolire” proditoriamente i diritti dei cittadini, con
il connesso diritto di difesa (art. 24 cost.) e l’esplicazione del
giusto processo (art. 111 Cost.).
(Da Mondoprofessionisti del 29.5.2013)