Trib. Verona, sez. III civ., sent. 24.4.2013
Nella vicenda in esame la società attrice aveva acquistato l’usufrutto di un immobile, costituito da una casa padronale del XVII sec., in pessimo stato, con l’intenzione di restaurarlo.
Pertanto, aveva presentato al comune competente una domanda di permesso di costruzione con contestuale istanza di suo inoltro alla Soprintendenza per i beni culturali.
Decorsi ampiamente i termini di cui all’art. 22 del D.Lgs. 42/04, la Sopraintendenza , per il tramite di propri funzionari, comunicava il proprio diniego.
Nelle more, però, l’attrice aveva avviato un intervento di ripristino sull’immobile (al fine di evitarne l’irrimediabile deperimento) in relazione al quale la Procura della Repubblica competente aveva promosso un’indagine ritenendolo eseguito in assenza della preventiva autorizzazione della Sopraintendenza.
Seguivano nuove richieste di autorizzazione non riscontrate. Uno dei funzionari predetti si limitava a comunicare a voce che le istanze sopra citate non sarebbero state prese in considerazione perchè il nudo proprietario non avrebbe mai espresso il suo assenso agli interventi di manutenzione e restauro.
L’attore conveniva pertanto in giudizio i funzionari coinvolti chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali patiti, quali il deprezzamento del valore di mercato del proprio diritto di usufrutto, i costi di progettazione sostenuti e il pregiudizio conseguente al silenzio sulle proprie istanze.
I due architetti convenuti in via pregiudiziale eccepivano il difetto di giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda risarcitoria avverso i pubblici dipendenti.
Tale eccezione è stata ritenuta dal Tribunale di Verona infondata: infatti, in materia esiste un consolidato orientamento della giurisprudenza delle Sezioni Unite, secondo il quale in questi casi non sussiste giurisdizione del giudice amministrativo poiché la domanda non è proposta nei confronti di soggetti titolari di poteri amministrativi ed è quindi fondata sulla deduzione di un fatto illecito extracontrattuale intercorrente tra privati, (si veda Cass. S.u. 22494/2004, 2560/2005, 7800/2005).
In particolare, sostiene la Suprema poiché “l'azione risarcitoria è proposta nei confronti del funzionario in proprio, e, quindi, nei confronti di un soggetto privato, distinto dall'amministrazione, con la quale, al più, può risultare solidalmente obbligato (art. 28 Cost.)…la questione di giurisdizione …va risolta esclusivamente sulla base dell'art. 103 Cost., che non consente di ritenere che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie di cui non sia parte una pubblica amministrazione, o soggetti ad essa equiparati”.
Tali conclusioni sono compatibili con le norme del codice del processo amministrativo “atteso che esse hanno definito i casi di giurisdizione del giudice amministrativo, anche rispetto alle domande risarcitorie per lesione di interessi legittimi, ma sempre sul presupposto che il titolo di esse sia una attività, commissiva od omissiva, della pubblica amministrazione”.
È invece fondata l’eccezione preliminare di improcedibilità della domanda attorea perchè non preceduta dalla diffida di cui all’art. 25, comma primo, del D.P.R. 3/1957.
Infatti, la norma, finalizzata a far constare in modo formale l’omissione di atti o di operazioni al cui compimento l'impiegato sia tenuto per legge o per regolamento, che stabilisce che la domanda giudiziale nei confronti del dipendente pubblico vada proposta, una volta decorsi trenta giorni dalla notifica, a mezzo di ufficiale giudiziario, mediante diffida allo stesso e alla pubblica amministrazione alle cui dipendenze egli opera, si applica proprio alle domande risarcitorie quale quella in esame, come si evince chiaramente dall’ultimo comma di tale norma.
(Da Altalex del 24.5.2013. Nota di Giuseppina Mattiello)