Una donna, per le sue condotte aggressive nei confronti dell'ex marito, si è vista tramutare la misura cautelare del divieto di avvicinamento in arresti domiciliari.
Anche se incensurata e sottoposta a cure mediche, non può escludersi un'eventuale reiterazione del reato: la modifica della misura è legittima. La conferma di quanto già disposto dal Tribunale è arrivata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 15230/11, del 14 aprile.
La fattispecie
Nel maggio 2010, per la contestazione provvisoria del reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) in danno all'ex marito, una donna veniva sottoposta alla misura del divieto di avvicinamento a quest'ultimo.
Successivamente, il Gip accoglieva la richiesta del PM di sostituzione della misura con quella degli arresti domiciliari, essendosi evidenziate più gravi esigenze cautelari.
Nello specifico, la donna aveva mandato messaggi offensivi col cellulare di un collega all'ex coniuge e diffuso documenti con accuse calunniose in merito a un presunto traffico di sostanze stupefacenti da parte dell'uomo e della sua famiglia.
La terapia ancora in corso non dà garanzie sulla cessazione delle condotte aggressive
Dalla certificazione sanitaria, rilasciata dal Centro di salute mentale, l'indagata risultava affetta da una patologia di tipo paranoideo che, da un lato, rappresentava una probabile chiave di lettura degli eventi e, dall'altro, non era ritenuta del tutto risolta a causa della recente instaurazione della terapia. Il tribunale, rendendo una valutazione del tutto «razionale e plausibile», ha argomentato che la terapia (volontaria), essendo ancora in corso, non dava garanzia sulla cessazione delle condotte aggressive.
Tali circostanze rendono infondate, tra le altre, anche le doglianze sulla mancata applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, visto il pericolo di reiterazione.
La Corte di Cassazione, perciò, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese giudiziali.
(Da avvocati.it del 22.4.2011)