VALUTAZIONI DELL’OUA SUL DISEGNO DI LEGGE N. 2612
PRESENTATO DAL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
DI CONCERTO CON IL MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
SULLA ROTTAMAZIONE NEL PROCESSO CIVILE
1) Articoli 1 e 2 del disegno di legge – Gestione contenzioso civile pendente
Il carico pendente deve smaltirsi realizzando l’Ufficio del Giudice che consenta al Magistrato giudicante di potersi avvalere della collaborazione di figure meritevoli con laurea in giurisprudenza che desiderano svolgere formazione professionale negli uffici giudiziari o giovani avvocati che non esercitano nella stessa circoscrizione di Tribunale.
In ogni caso la sentenza deve comunque sempre essere valutata dal Giudice altrimenti vi sarebbe contrasto con l’art. 102 della Costituzione.
Se non ci sono fondi per finanziare questo impegno da parte dei collaboratori, si potrebbero attribuire ai più meritevoli titoli o punteggi utilizzabili in concorsi pubblici.
Appare opportuno l’affidamento ai COA del compito di selezionare i collaboratori del Giudice in base a criteri di trasparenza e merito.
Sarebbe anche utile valorizzare la figura del Giudice laico attraverso una razionalizzazione delle competenze e degli uffici.
2) Articolo 4 del disegno di legge – Onere presentazione istanza per evitare la perenzione del processo
Qualsiasi intervento diretto a sfoltire l’arretrato attraverso nuovi adempimenti da parte degli avvocati e delle parti, come la formulazione di nuove istanze per evitare la perenzione dei processi, non risponde a criteri di correttezza considerato che le parti sono assolutamente incolpevoli delle lungaggini dei giudizi, conseguentemente non si comprende perché le stesse debbano essere gravate di un onere mortificante ed offensivo; considerato che il processo, anche in Cassazione, offre già le norme che ne consentono l’uscita ove ciò si voglia.
Peraltro non deve sfuggire che le parti ormai pagano in modo considerevole l’accesso alla giustizia, attraverso il sempre più esoso contributo unificato.
3) Articolo 5 del disegno di legge – Sentenza con motivazione breve
Decisa contrarietà alla sentenza con motivazione breve con onere da parte della difesa di chiedere la motivazione a pagamento entro quindici giorni dalla pronuncia ove voglia impugnarla.
La stessa terminologia usata dal proponente “sentenza con motivazione breve” è un non senso atteso che la motivazione per sua natura non deve essere breve, né lunga: deve essere motivazione e basta così da porre il destinatario nelle condizioni di seguire il ragionamento logico e deduttivo, essendo rimessa poi l’esposizione sintetica alla capacità naturale del relatore.
E’ evidente allora che la norma intende accelerare i tempi della giustizia svilendo la natura del provvedimento decisorio, creando in quanto a tempi, modalità e costo un sistema che solo apparentemente consente di porre fine alla controversia con nocumento per i cittadini, per i legali e per gli stessi Giudici che, ove compulsati, dovrebbero con grande sforzo di memoria ripercorrere il ragionamento che li ha condotti alla sentenza con motivazione breve.
Deve osservarsi, ancora, che il sistema, come architettato, determina un allungamento dei tempi di pubblicazione della sentenza.
Dagli odierni 60 giorni assegnati al Giudice, si rischia di passare a complessivi 75 (30+15+30).
Si tratta di una norma sganciata da qualsiasi razionalità ed utilità e mira a degradare la sentenza rendendola meno rilevante ed importante di un qualsiasi atto amministrativo per il quale è previsto un termine di giorni 60 per l’eventuale impugnazione.
Infatti con la riforma proposta dal governo in realtà si mira soltanto a scoraggiare l’appello, concedendosi quindici giorni per impugnare e, sottoponendo tale possibilità, al pagamento anticipato del contributo unificato.
Mortificare la consolidata tradizione del sistema processuale italiano che si è sempre basato sui tre gradi del giudizio è un autentico vulnus al sistema giustizia, non a caso proposto contestualmente all’introduzione della media – conciliazione con l’evidente fine di privatizzare la giustizia delegandola ai poteri forti.
Appare evidente che ancora una volta si rischierebbe una violazione degli artt. 24 e 111 della Cost., sia perché l’accesso alla giustizia sarebbe ancora una volta condizionato da un pagamento (che questa volta sarebbe doppio, perché si pagherebbe un doppio contributo unificato per il giudizio di primo grado, essendo del tutto ipotetica la promozione del giudizio di appello), sia perché il comma sesto dell’art. 111 impone che tutti i provvedimenti giurisdizionali debbano essere motivati, mentre in questo caso la completa motivazione sarebbe condizionata dal versamento di una somma di denaro.
Tra l’altro, l’unico termine previsto a pena di decadenza è quello, veramente strangolatorio, di 15 giorni, con conseguenti rischi di responsabilità per l’avvocato, che dovrà: a) leggere la motivazione succinta; b) contattare il proprio cliente, che per ipotesi, potrebbe essere difficilmente reperibile (sarebbe sufficiente un viaggio dello stesso all’estero per motivi di lavoro o persino di svago per far saltare la possibilità di impugnare la sentenza in secondo grado); c) valutare con lo stesso l’opportunità di chiedere la motivazione integrale; d) pagare il contributo unificato; e) depositare l’istanza.
E’ verosimile pensare che un avvocato che per qualsiasi ragione non sia stato in grado di conferire con il proprio assistito, si veda costretto a versare di sua tasca il contributo unificato, pur di non pregiudicare la possibilità del suo assistito di impugnare la sentenza.
Il che, d’altro canto, equivale a dire anche che il cittadino, semmai male assistito in primo grado, dopo aver pagato il contributo unificato soltanto per ottenere la motivazione della sentenza, con istanza che sarà sottoscritta verosimilmente dal suo difensore di primo grado (visto il brevissimo spatium deliberandi), ben difficilmente avrà la possibilità di sganciarsi dal precedente difensore.
Senza contare che la decadenza di cui sopra andrebbe a collidere con i casi disciplinati dagli artt. 326, 327 c.p.c., infatti quest’ultimo articolo prevede che le disposizioni di decadenza non si applicano quando la parte contumace dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità di citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all’art. 292 c.p.c.
Inoltre il termine breve, previsto a pena di decadenza per richiedere ed ottenere la motivazione della sentenza in forma integrale, mal si concilierebbe con l’istituto della revocazione prevista dagli artt. 395, 396, 397 c.p.c. che consentono alle parti di impugnare la sentenza entro determinati termini che sono incompatibili con quelli stabiliti nel disegno di legge che si contesta..
Il Giudice, viceversa, non avrebbe alcuna conseguenza, se non quella meramente ipotetica, di ordine disciplinare, se, come già avviene molto spesso, depositasse la motivazione integrale fuori dai termini indicati dal codice.
Se veramente il governo avesse a cuore la volontà di velocizzare il processo, anziché distruggerlo e rendere inaccessibile la giustizia soprattutto ai meno dotati economicamente, potrebbe limitarsi a proporre l’estensione ad ogni giudizio di primo e secondo grado della norma prevista dall’art. 281 – sexies. c.p.c. non intaccando assolutamente le norme sull’impugnazione, che sono a garanzia del cittadino e proporre inoltre un seminario di studi tra magistrati operativi ed avvocati perché suggeriscano con un documento congiunto le soluzioni per contenere il processo civile nei limiti temporali accettabili senza spese aggiuntive.
Inoltre, sarebbe necessario tentare di codificare, semmai in forma di regolamento, senza porre mano ulteriormente al codice di rito, già troppe volte modificato negli ultimi 15 anni, le buone pratiche di gestione delle udienze e del contenzioso che diversi Tribunali, a partire da quelli di Torino (vedi circolari Barbuto) e Bolzano, hanno messo in opera.
Si potrebbero potenziare i sistemi di conciliazione endoprocessuale, valorizzando l’art. 185 c.p.c., prevedendo ulteriori incentivi di ordine fiscale e non soltanto in tema di tasse di registro a favore delle parti che conciliano, e prevedendo, altresì, incentivi a favore dei Magistrati che riuscissero a portare a definizione, con mezzi alternativi alla sentenza, il maggior numero di processi.
Un’accelerazione del processo potrebbe venire pure dalla unificazione dei riti con l’introduzione del solo rito del lavoro per tutte le controversie.
4) Art. 7 del disegno di legge- Spese di giustizia
Gli oneri a cui il cittadino è sottoposto per l’accesso alla giustizia sono ormai enormi e quindi ogni ulteriore aumento mira soltanto a comprimere il diritto di accesso alla giustizia. Sul punto si consideri anche il costo eccessivo, indipendente dal risultato, previsto per la mediazione obbligatoria.
E’ innegabile che il disegno di legge mira a scoraggiare sempre di più il cittadino a fare ricorso alla giustizia che finirà per diventare un lusso riservato ai più dotati economicamente.
5) Art.8 del disegno di legge – Giudici ausiliari
Decisa contrarietà all’ingresso dei così denominati “Giudici Ausiliari” da nominare nel numero massimo di seicento tra gli avvocati dello Stato a riposo e magistrati ordinari, contabili e amministrativi a riposo che non abbiano superato i 75 anni di età.
E’ sufficiente dividere il numero dei giudizi che il Ministero indica da smaltire nella misura di circa cinquemilioni tra i seicento giudici ausiliari per rendersi conto che, dovendo ciascuno di essi smaltire circa ottomila giudizi, si tratta di una misura inutile e demagogica con costi che si intendono finanziare attraverso l’aumento delle già esose spese di giustizia.
Non si vede come persone ormai in pensione possano avere le capacità e gli stimoli per decidere con professionalità migliaia di cause anche di rilevante importanza.
L’unica certezza è che andrebbe ad aumentare a dismisura il numero delle sentenze impugnate.
(Da oua.it del 22.4.2011)