Cass. Pen. Sez. VI, Sent. 27.2.2015, n.
8937
La Corte di Cassazione ha stabilito che integra la
fattispecie di reato di omessa denuncia la condotta del medico che, venuto a
conoscenza in concomitanza o in ragione delle funzioni svolte, di una
situazione che presenti gli elementi essenziali di un fatto costituente reato,
non la comunichi alle Autorità competenti.
In
particolare, nel caso in oggetto, l’imputata, esercente la professione
sanitaria, era accusata dei reati previsti agli articoli 362 (“Omessa denuncia
da parte di un incaricato di pubblico servizio”) e 378 (“Favoreggiamento
personale”) del Codice Penale perché, venuta a conoscenza per ragioni di
servizio di una presunta violenza sessuale ai danni della sua paziente, minore
di anni diciotto e affetta da una grave patologia psichica, ometteva di
informare le Autorità competenti, aiutando nel contempo l’autore della violenza
a eludere le investigazioni dell’autorità.
Ritenuta
colpevole dal Tribunale e, dunque, condannata per i reati sopracitati,
ricorreva in appello ma anche il giudice di seconda istanza riteneva
sussistente la responsabilità penale del medico e confermava la sentenza
impugnata.
Avverso
tale ultima sentenza, il medico proponeva ricorso in Cassazione, lamentando
vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge in relazione agli
articoli del Codice Penale citati, per aver la Corte d’appello confermato il giudizio di penale
responsabilità, nonostante l’assoluzione dall’accusa di abuso sessuale ai danni
della minore.
I
giudici della Suprema Corte hanno vagliato i motivi di gravame per entrambi i
capi di accusa.
Tralasciamo
le argomentazioni della Corte con riferimento al reato di favoreggiamento
personale ex articolo 378 del Codice Penale, ritenuto non sussistente in
seguito all’accertamento della insussistenza obiettiva del reato presupposto
(la violenza sessuale), e passiamo alle argomentazioni circa la sussistenza del
primo capo d’imputazione, l’omessa denuncia.
Con
riferimento al reato previsto dall’articolo 362 (omessa denuncia), la Corte di legittimità ha
rilevato che “affinché possa ritenersi integrata l’omissione di denuncia, è
richiesto che l’esercente il pubblico ufficio venga a conoscenza, in
concomitanza o a cagione delle funzioni espletate, di una situazione che
presenti gli elementi essenziali di un fatto costituente reato: deve trattarsi
di elementi che appaiono sufficientemente affidabili e capaci di indurre una
persona ragionevole a concludere che vi sono apprezzabili probabilità che un
reato sia stato commesso”.
Dunque,
“è necessario e sufficiente – continua la Corte – che l’esercente un pubblico servizio
ometta di denunciare un fatto di cui sia venuto a conoscenza che presenti le
linee essenziali di un reato, mentre non è indispensabile che la notizia si
riveli anche fondata. Il che si correla strettamente alla natura di reato di
pericolo della incriminazione, dovendosi garantire che la notitia criminis
pervenga comunque all’autorità giudiziaria, unica competente ad operare le
valutazioni e ad assumere le decisioni in ordine all’ulteriore corso del
procedimento penale”.
I
giudici di merito hanno correttamente ritenuto irrilevante ai fini della
sussistenza del reato di omessa denuncia la circostanza che l’autrice del
presunto reato di violenza sessuale ai danni della paziente del medico fosse stata
assolta.
Da
tale pronuncia si evince il seguente principio di diritto: ai fini
dell’integrazione del reato di omissione di denuncia rileva soltanto se,
all’epoca dei fatti, l’imputato avesse contezza degli estremi di un reato e,
nonostante ciò, abbia contravvenuto all’obbligo di rapporto cui era tenuto in
quanto esercente un pubblico servizio.
Ciò
nonostante, pur ritenendo sussistente una condotta criminosa dell’imputata, ha
accolto il ricorso, essendo il reato estintosi per prescrizione.
Lorenzo Pispero (da
filodiritto.com del 20.3.2015)