Cass. Sez. III Civ., Ord.
Interlocutoria 23.2.2015, n. 3569
La Corte di Cassazione, con Sentenza del 23 febbraio, ha
rimesso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle
Sezioni Unite, le questioni relative al danno da nascita indesiderata per
mancata informazione sull’esistenza di malformazioni congenite del feto, nonché
alla legittimazione, o meno, del nato a pretendere il risarcimento del danno.
Nel
caso in esame, una coppia conveniva in giudizio il primario di Ostetricia e
Ginecologia presso l’ospedale di Barga e il Direttore del Laboratorio di
Analisi dello stesso presidio, nonché l’Azienda U.S.L. di Lucca al fine di
ottenere il risarcimento dei danni conseguiti alla nascita della figlia,
affetta da sindrome di Down.
Secondo
i ricorrenti il danno doveva essere risarcito dai medici che avevano avviato la
donna al parto, senza che fossero stati disposti approfondimenti, benché i
risultati degli esami ematochimici effettuati alla sedicesima settimana
avessero fornito valori non rassicuranti.
Dopo
la Sentenza
del Tribunale di Lucca, che aveva rigettato la domanda della coppia, e la
conferma da parte della Corte di Appello di Firenze, che aveva ritenuto che la
donna non avesse dato alcuna prova della condizione di pericolo per la sua
salute fisica o psichica, che avrebbe rappresentato condizione legittimante il
ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza dopo il novantesimo giorno, i
coniugi hanno proposto ricorso per Cassazione, cui hanno resistito tutti gli
intimati.
La
coppia lamentava davanti alla Corte l’impossibilità di fornire tale prova,
poiché la condizione di pericolo per la salute si ingenera a fronte di un
completo quadro informativo, di cui la donna non ne era conoscenza.
Quanto
alla domanda risarcitoria avanzata dai genitori in nome e per conto della
figlia, i giudici di merito avevano sostenuto la non esistenza, nel nostro
ordinamento, di un diritto a non nascere o a non nascere se non sano. Secondo i
ricorrenti, il risarcimento non è volto a coprire una nascita indesiderata,
bensì un’esistenza difficile da portarsi dietro tutta la vita e da vivere in
ragione delle proprie limitazioni psicofisiche.
Secondo
la Corte, il
ricorso è incentrato su due questioni che meritano di essere sottoposte al
vaglio delle Sezioni Unite, vale a dire quella relativa all’onere probatorio in
relazione alla correlazione causale fra inadempimento dei sanitari e mancato
ricorso all’aborto e quella concernente la legittimazione del nato alla
richiesta risarcitoria.
Al
riguardo si sono affermati due orientamenti contrastanti. Un primo orientamento
ritiene che corrisponde a regolarità causale che la gestante interrompa la
gravidanza se informata delle gravi malformazioni del feto. Si è affermato,
infatti, che è sufficiente che la donna alleghi che si sarebbe avvalsa di
quella facoltà se fosse stata informata della grave malformazione del feto.
Tale orientamento è stato criticato da alcune pronunce della Corte (Cassazione
Civile n. 16754/2012) che ha evidenziato come in mancanza di una preventiva,
inequivocabile ed espressa dichiarazione di volontà da parte della donna di
interrompere la gravidanza in caso di malattia genetica, il giudice è chiamato
ad una valutazione caso per caso, e la parte attrice dovrà quindi fornire
ulteriori elementi, non la mera dichiarazione di volontà.
Per
quanto riguarda la questione della legittimazione del nato a pretendere un
risarcimento a carico del medico che, col suo inadempimento, ha privato la
gestante della possibilità di accedere all’interruzione della gravidanza, anche
su questo punto, afferma la
Cassazione, si hanno diversi orientamenti giurisprudenziali.
Innanzitutto l’orientamento prevalente esclude che sia configurabile un diritto
a non a non nascere o a non nascere se non sano. Ma, è stato recentemente
affermato che una volta venuto ad esistenza, il nascituro ha diritto ad essere
risarcito da parte del sanitario con riguardo al danno consistente nell’essere
nato non sano, e rappresentato dell’interesse ad alleviare la propria
condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità
(Cassazione Civile n. 16754/2012).
Pertanto,
la Corte
rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso
alle Sezioni Unite.
Francesca Russo (da
filodiritto.com del 16.3.2015)