Cassazione civile, sez. II, sent. 25.10.2010 n° 21841
E’ sempre necessario visionare il regolamento di condominio (che nel rogito notarile si da per già conosciuto) al momento della compravendita di una unità immobiliare sita in un condominio, in quanto lo stesso potrebbe contenere limitazioni anche gravi dei diritti dominicali sulle porzioni di piano di proprietà esclusiva.
Curare l’osservanza del regolamento di condominio è un compito precipuo affidato dall'art. 1130 c.c. all'amministratore, che è, quindi, abilitato ad agire e resistere nei pertinenti giudizi senza che a tal fine “occorra quell’apposita autorizzazione richiesta dalla legge (art. 1136, quarto comma, c.c.) soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell'amministratore stesso”.
Così i giudici della Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza 25 ottobre 2010, n. 21841 hanno sentenziato in tema, appunto, di condominio e regolamento condominiale.
Il nodo centrale della sentenza in commento concerne il fatto che il regolamento di condominio, che specifica quali siano gli usi consentiti delle unità immobiliari site nello stesso, non deve indicare puntualmente quelli vietati se tale cosa può, altresì, essere desunta dalla interpretazione complessiva.
Il tutto nasceva dall’accoglimento da parte del Tribunale della domanda proposta da un condominio, in persona dell’amministratore pro tempore, tesa all’accertamento della illegittimità e di conseguenza a sentire ordinata la cessazione dell’uso (quale bar e ristorante) di un locale sito al piano terra dello stesso condominio.
Secondo quanto precisato dai giudici di primo grado lo statuto del condominio era chiaro nel fatto di limitare l’uso delle unità immobiliari site al piano terra dello stesso, a negozi, uffici, depositi e magazzini anche di vendita; tale pronuncia anche in Corte d’appello venne confermata.
La questione si spostava, quindi, dinanzi l’attenzione dei giudici della Cassazione in seguito al ricorso del conduttore dell’unità immobiliare e del proprietario della stessa.
I giudici della Corte hanno anzitutto ristretto l’oggetto in campo del proprio intervento, in quanto, secondo quanto precisato nella sentenza de qua “si verte nel campo dell’interpretazione di un atto negoziale che non può formare oggetto di censura in sede di legittimità se non sotto i profili della violazione o falsa applicazione delle regole di ermeneutica contrattuale”.
(Da Altalex del 2211. Nota di Manuela Rinaldi)