martedì 30 novembre 2010

Al congresso forense hanno vinto gli avvocati

di Ester Perifano (Segretario Generale dell'Associazione nazionale forense)

Il XXX Congresso forense si è concluso e, anche se con modalità che a qualcuno possono essere sembrate eccessive, gli Avvocati sono riusciti ad esprimere le loro opinioni attraverso il metodo più democratico che si conosce, ossia votando.
A Genova hanno vinto gli Avvocati che hanno fatto sentire forte la loro voce, soprattutto su conciliazione e specializzazioni. Anche la politica deve capire che è il Congresso il luogo delle decisioni.
L’Anf ha molto apprezzato le parole del Presidente Alpa quando ha detto di aver compreso il disagio provocato tra gli Avvocati dal regolamento sulle specializzazioni e di essere pronto all'ascolto e alla riapertura di un confronto effettivo, anche alla luce delle norme approvate sul punto dal Senato.
Per Anf è motivo di soddisfazione l'approvazione della mozione che chiede al Cnf di ritirare il regolamento: "Lo avevamo chiesto con un formale deliberato da molti giorni, e se vi fosse stato un ritiro spontaneo, attuato con senso di responsabilità da parte della nostra massima istituzione, ciò avrebbe certo contribuito a rasserenare gli animi - continua Perifano - ed evitato il reciproco irrigidimento delle parti che si confrontavano e che ha portato alle ultime, convulse fasi del Congresso. Quelle sì davvero spiacevoli. Il confronto è sempre utile, così come è utile la chiarezza, che può giocare un ruolo, positivo e propositivo, per i rapporti futuri".

(Da Mondoprofessionisti del 30.11.2010)

Maltrattamenti familiari, una condanna esemplare


Corte di Cassazione, V Sez. Pen. Sent. n. 41142 del 22.11.2010

Gli Ermellini hanno inflitto – con sentenza 41142 depositata il 22 novembre - una condanna esemplare, per violenza verso la convivente e i figli della coppia, a carico di un uomo che davanti ai bambini aggrediva verbalmente e fisicamente la loro mamma - configurandosi il reato di cui all’art. 572 del codice penale. Tale condotta aveva indotto nel figlio maschio il rifiuto di andare a scuola nel timore  che durante la sua assenza la genitrice fosse oggetto di violenza senza che lui potesse fare nulla per difenderla, mentre nella figlia aveva generato uno stato di bulimia. Per tali conseguenze nefaste, frutto di maltrattamenti, ne tiene conto  la parte motiva della sentenza : “lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche da un clima generalmente instaurato all'interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi, i quali ne siano tutti consapevoli, a prescindere dall'entità numerica degli atti vessatori e dalla loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi”. Nel caso in questione il ricorrente era andato addirittura oltre minacciando la madre di ucciderle i figli. Tutto ciò al cospetto dei figli.
Il nostro diritto penale prevede il reato di “Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli”, che è così definito dall’articolo 572 del codice penale: “Chiunque, (...) maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni 14, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.
La pena è aggravata se dal fatto derivano lesioni personali o la morte.
Il diritto internazionale dei diritti umani prevede che tutti i governi hanno la responsabilità di prevenire, indagare e punire gli atti di violenza sulle donne in qualsiasi luogo si verifichino: tra le mura domestiche, sul posto di lavoro, nella comunità o nella società, durante i conflitti armati.
Per incorrere nel reato è necessaria la manifestazione di fatti eclatanti e molto gravi rispetto al semplice disturbo od alla molestia personale.
La circostanza ove si consuma il reato è:
a) l’arrecare un perdurante e grave stato di ansia e di paura;
b) l’ingenerare una razionale paura per l’incolumità personale propria o di un prossimo congiunto o di una persona cui si è legati emotivamente;
c) alterazione le proprie abitudini/consuetudini di vita.
Protezione contro gli abusi familiari, art. 342 bis c.c.
Nel momento in cui il comportamento del coniuge o convivente crea un  grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ossia alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice, [quando l’evento non si materializza in reato perseguibile d’ufficio]  su richiesta di parte, può applicare mediante decreto i vari commi dell'articolo 342-ter
Ordini di protezione, art. 342 ter c.c.
Nell’applicazione dell'articolo 342-bis il giudice intima al coniuge o convivente, che attuato una condotta pregiudizievole, la cessazione dello stesso comportamento e ordina l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha contravvenuto diffidandolo, qualora  ricorrano gli estremi, ad osservare una distanza dai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, soprattutto al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ossia ai luoghi di domicilio di altri parenti o di amici nonché nei dintorni degli istituti di istruzione dei figli della coppia, ad eccezione se il motivo dell’aggirarsi è dettato da motivi di lavoro.
Il giudice ha facoltà di far intervenire i servizi sociali del Comune o di un centro di mediazione familiare, oppure le associazioni che perseguono il sostegno e l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattamenti;statuisce un assegno periodico a favore delle persone conviventi (eccezione) che, causa l’allontanamento dal nucleo, sono private di mezzi di sopravvivenza, stabilendo il come ed il quando effettuare il versamento e vietando il versamento diretto all’avente diritto della somma oppure stabilisce che la stessa somma sia versata dal datore di lavoro che poi la detrae al lavoratore.
Il Giudice nello stesso atto, nei casi previsti, precisa per quanto tempo debba essere l'ordine di protezione, che ha decorrenza dall’esecuzione dello stesso. L’ordine di protezione ha validità di sei mesi, prorogabili - su richiesta di parte -, quando sopravvengono gravi motivi e solo per il tempo indispensabile.
Quanto detto va rivisitato alla luce delle norme contemplate nella legge nr. 149 del 2001 che, con gli art. 330 e 333 c.c.  prevedono l’allontanamento dalla casa familiare del genitore o del convivente.
Distinzione tra stalking e reato di maltrattamenti.
I Giudice del riesame osservano che quello che caratterizza il reato di stalking da quello di maltrattamenti è la circostanza che le condotte del denunciato, sono reiterate e ingenerano un fondato timore da parte della vittima di un male più grave, “ pur senza arrivare ad integrare i reati di lesioni o maltrattamenti”.
Le reiterate minacce e la promessa di “fargliela pagare” non appena fuori dal carcere, gli appostamenti, le ricorrenti telefonate, minacce e atti vandalici agli oggetti di proprietà della vittima, devono essere letti come azioni persecutorie tali da “ingenerare nelle vittime uno stato di continua paura per sé stesse e da doversi continuamente guardare alle spalle così modificando le proprie normali abitudini di vita”.

Dott. Mariagabriella Corbi  (da Overlex del 30.11.2010)

Sì alla pubblicità dell'avvocato ma senza suggestioni. Il caso ALT


Cassazione civile, SS.UU., sentenza 28.11.2010 n° 23287

Le Sezioni Unite sanzionano la pubblicità dello studio legale nella ipotesi in cui non sia conforme al decoro e alla correttezza.
Pubblicità dell’Avvocato senza suggestioni ed equivoci, quindi censurata anche dal CNF la pubblicità ritenuta “troppo commerciale” che può ledere il decoro della categoria professionale.
Il caso è stato esaminato dai giudici di legittimità nella sentenza 18 novembre 2010, n. 23287.
Quale è stata la vicenda che ha scaturito la decisione in commento?
Tale vicenda aveva avuto inizio con la irrogazione da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Brescia di una sanzione disciplinare, ex art. 38, comma 1, RDL n. 1578/1933, ad un legale il quale aveva utilizzato l’acronimo ALT, ovvero Assistenza Legale per Tutti, con lo scopo di pubblicizzare la propria attività.
Il Consiglio nazionale forense aveva confermato la misura sopra menzionata.
La norma sanzionatoria che è stata applicata dal Consiglio dell’Ordine è una norma generale sugli illeciti disciplinari degli avvocati.
La c.d. liberalizzazione della pubblicità (ex decreto Bersani 2006) non ha, quindi, effetto sul tipo di propaganda che gli avvocati possono fare; di conseguenza i Consigli degli Ordini possono ancora intervenire, nel caso, con l’irrogazione di sanzioni disciplinari.
Nella sentenza che qui si commenta, nello specifico, si legge che …”è vero infatti, che l'art. 2 del dl n. 223/2006, ha abrogato le disposizioni legislative che prevedevano, per le attività libero-professionali, divieti anche parziali di svolgere pubblicità informativa» ma «diversa questione dal diritto a poter fare pubblicità informativa della propria attività professionale è quella che le modalità ed il contenuto di tale pubblicità non possono ledere la dignità e al decoro professionale, in quanto i fatti lesivi di tali valori integrano l'illecito disciplinare di cui all'art. 38, c. 1, rdl n. 1578/1933”.
I giudici di legittimità, in sostanza, pur riconoscendo il fatto che la legge Bersani ha abrogato le disposizioni legislative che prevedevano il divieto di svolgere pubblicità informativa (per le attività libero – professionali) ha, altresì, sottolineato che, nella fattispecie, quello che veniva contestato agli avvocati erano le modalità ed il contenuto della pubblicità posta in essere e giudicata troppo suggestiva.
Secondo la Corte, infatti, appare illegittimo e sanzionabile disciplinarmente l’utilizzo da parte degli avvocati di “forme di pubblicità comparative attuate con messaggi di suggestione che inducono a ritenere, in modo emotivo e riflessivo, che valga la pena di visitare quello che appare uno studio legale aperto e accessibile, senza le formalità tipiche dello studio legale”.

(Da Altalex, 30.11.2010. Nota di Manuela Rinaldi)

Opposizione agli atti esecutivi: anche il giudice sbaglia

Cassazione civile, sez. III, ordinanza 9.11.2010 n° 22767

Le procedure di opposizione in materia esecutiva costituiscono, da sempre, uno degli argomenti più affascinanti e misteriosi della procedura civile, rectius, forse il loro fascino discende direttamente dal mistero che li circonda.
Dello stesso avviso è certamente il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che ha visto impugnata con ricorso straordinario in Cassazione, l’ordinanza che, nel rigettare il ricorso in opposizione agli atti esecutivi, compensava le spese tra le parti.
Questi i fatti: la MM srl proponeva ricorso ex art. 617 c.p.c, con contestuale istanza sospensiva, avverso il decreto di trasferimento immobiliare emesso in favore dell’aggiudicatario a conclusione della procedura di espropriazione immobiliare promossa da Equitalia.
Il Giudice dell’esecuzione, rigettata la sospensiva inaudita altera parte, all’udienza fissata ex art. 618 c.p.c. rigettava il ricorso pronunciando sulle spese, senza né assumere  i provvedimenti indilazionabili, né fissare il termine per l’iscrizione al ruolo della causa di merito così come previsto dall’art. 618 c.p.c..
Avverso detta ordinanza di rigetto la MM srl propone ricorso straordinario per Cassazione.
Resistono le controparti argomentando in ordine alla non impugnabilità del provvedimento.
La Corte accoglie il ricorso sulla base delle seguenti argomentazioni:
    * il procedimento di opposizione agli atti esecutivi ha struttura bifasica eventuale;
    * la prima fase ha termine con l’adozione di un provvedimento non impugnabile che, per sua natura, ha funzione squisitamente ordinatoria, in quanto funzionale all’adozione, da un lato, degli eventuali provvedimenti non rinviabili o dell’istanza sospensiva e, dall’altro, alla fissazione di termine per l’instaurazione del giudizio di merito;
    * la mancata indicazione del termine perentorio per l’iscrizione a ruolo non determina un vizio del provvedimento, potendo, la stessa, essere facilmente colmata o mediante idonea istanza di parte ex art. 289 c.p.c., o mediante diretta iscrizione a ruolo del procedimento;
    * se il provvedimento di chiusura della prima fase del giudizio contiene una statuizione sulle spese, perde il carattere ordinatorio e si colora di definitività perché “palesa l’intenzione del Giudice di precludere qualsiasi svolgimento ulteriore”;
    * in questo caso, la mancata previsione di un termine per l’iscrizione a ruolo della causa di merito non è più colmabile da nessuna iniziativa delle parti che si trovano di fronte ad una sentenza in senso sostanziale;
    * in quanto tale, ed in carenza di un idoneo strumento di impugnazione, detta sentenza è ricorribile ex art. 111, comma 7, Costituzione.
Ma che tipo di vizio affligge il provvedimento impugnato?
La Corte risponde anche a questo quesito:
“Poiché lo svolgimento della cognizione piena integra una garanzia di cui le parti, a tutela del loro diritto di azione e difesa, debbono poter fruire, la negazione di tale svolgimento e la definizione del giudizio senza che ad esso si sia dato determina la nullità dell’ordinanza-sentenza, in quanto il procedere seguito dal Tribunale ha determinato l’inosservanza della norma dell’art. 618 c.p.c. comma 2 e la conseguente negazione dello scopo per cui essa è prevista”.
Ne deriva che l’ordinanza di chiusura della fase sommaria del processo di opposizione agli atti esecutivi che pronuncia sulle spese è un tipico esempio di atto processuale che non raggiunge il suo scopo (ovvero dare impulso alla fase di merito) e che, pertanto, è nullo ai sensi e per gli effetti dell’art. 156 c.p.c..
In applicazione di ciò, la Cassazione ha cassato il provvedimento con rinvio al Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere per la rinnovazione dell’atto dichiarato nullo ex art. 162 c.p.c..
Si potrebbe commentare che, in fondo, non c’è nulla di eccezionale in questa pronuncia, perché la Corte si è semplicemente limitata ad applicare la Costituzione ed il Codice di Procedura Civile: beh, è dite poco?

(Da Altalex, 30.11.2010. Nota di Marta Buffoni)

Lunedì 6 Dicembre giornata in memoria delle "morti bianche"

Lunedì 6 dicembre 2010 si svolgerà a Giarre la cerimonia di istituzionalizzazione della giornata in memoria dei caduti sul lavoro.
Alle ore 9,30, nel parco Jungo di corso Europa, sarà inaugurato un monumento che ricordi le vittime delle “morti bianche”; alle 10,30, nella sala Romeo del Palazzo delle Culture (non più al liceo scientifico, come annunciato in precedenza), avrà luogo un convegno sul tema della sicurezza sui luoghi di lavoro.

Conclusi i lavori del XXX congresso del CNF


Domenica si è chiusa a Genova la quattro giorni relativa al XXX Congresso del Consiglio Nazionale Forense.
Tra le novità più rilevanti c’è la richiesta da parte dell’assemblea, del ritiro del regolamento sulle specializzazioni. Passa all’unanimità la mozione sulla mediazione. Gli avvocati chiedono infatti la cancellazione dell’obbligatorietà.
Entrano a far parte dello statuto del Congresso soltanto due delle quattro associazioni che avevano chiesto di essere inserite. Si tratta  dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia,e l’Unione nazionale delle camere minorili.
Il Ministro della Giustizia Angelino Alfano è stato contestato nel corso del suo intervento a favore della mediazione, i delegati chiedono inoltre al ministro l’immediata cancellazione del decreto Bersani.
Attraverso un video messaggio, il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha proposto di individuare nuovi modi di protezione e di diversificare le prestazioni al di là di quelle previdenziali.

(Da Avvocati.it del 30.11.2010)

L’Avv. Rosario Pizzino delegato all’OUA

L’Avvocato Rosario Pizzino di Catania è stato eletto delegato all’Organismo Unitario dell’Avvocatura, in rappresentanza del distretto di Corte d’Appello etneo.
Al carissimo collega le nostre vive congratulazioni.

lunedì 29 novembre 2010

Giustizia, il Cdm rinvia la riforma: se ne parla dopo la votazione sulla fiducia

Niente 'pacchetto Giustizia' del Governo domani in Consiglio dei Ministri, a differenza di quanto annunciato la scorsa settimana dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, al termine della riunione dell'esecutivo che aveva dato il via libera al 'Piano per il Sud'. E con molta probabilità il via libera all'ultimo dei 'cinque punti' su cui Berlusconi impegnò il suo Governo nella verifica parlamentare di settembre non arriverà prima del voto decisivo del Parlamento il prossimo 14 Dicembre sulla permanenza o meno del rapporto fiduciario con il Berlusconi quarto. Anche se, su quest'ultimo rinvio suggerito al Premier dalle 'colombe' del Pdl quali il Sottosegretario Gianni Letta e lo stesso Guardasigilli Angelino Alfano per recuperare compattezza nel centrodestra, diverse fonti di maggioranza invitano alla prudenza, sottolineando che al momento il Premier non ha ancora deciso. Avendo accettato sì di rinunciare a varare la riforma della giustizia proprio domani in Consiglio dei Ministri, cioè poche ore prima delle votazioni finali alla Camera sul contestato ddl Gelmini le cui sorti sono appese al voto dei finiani. Ma non avendo ancora deciso se 'congelarla' del tutto fino alla verifica parlamentare di metà dicembre, prima della quale il Governo dovrebbe tornare a riunirsi ancora una volta.
"Molto dipenderà - fanno osservare fonti del Pdl che non danno già per scontata la decisione finale del Premier sul pacchetto Giustizia - da cosa succederà nel centrodestra nei prossimi dieci giorni in Parlamento". Quando, cioè, le votazioni in sequenza su riforma Gelmini, mozioni Rai, revoca delle deleghe a Caldaroli e sfiducia al ministro Bondi, potranno dare un quadro un po' meno incerto sui numeri della maggioranza alla Camera. "Siamo in presenza - commenta il rinvio dell'apporodo della riforma in Consiglio dei ministri il finiano Nino Lo Presti - dell'ennesimo effetto annuncio. Il mancato approdo domani non è una sorpresa: quale testo la maggioranza pensa di poter portare sul tavolo del governo senza aver prima raggiunto un'intesa con Futuro e libertà?". E, assicura Lo Presti, per quanto "meritevoli sforzi" siano stati fatti dal ministro Alfano, sul contenuto della riforma l'accordo nella maggioranza non è stato ancora trovat: "non siamo ancora riuscitia varare un programma organico di riforma che riguardi non tanto i codici, quanto l'organizzazione stessa del settore, vero nodo da sciogliere", dice.
Inoltre, sottolinea l'esponente di Fli, "una più efficace gestione delle risorse umane e di implementazione delle strutture" della Giustizia potrebbe essere ottenuta "attraverso l' impiego di fondi che oggi si possono prelevare dagli ingenti capitali sottratti alla mafia, come - ha affermato anche il ministro Roberto Maroni, annunciando che nelle casse dello Stato dovrebbero esserci circa 2 miliardi provenienti, appunto, dalle confische dei beni dei boss. Li vogliamo spendere questi soldi - domanda il parlamentare Fli- o aspettiamo che il ministro Tremonti ce li soffi per garantire la stabilità dei conti pubblici?"
Il rinvio dell'esame in Consoglio dei Ministri della riforma della Giustizia scatena le ironie dal fronte delle opposizioni. I ruggiti di Berlusconi ed Alfano si sono gia' trasformati in miagolii", commenta la capogruppo del Pd in commissione Giustizia Donatella Ferranti. "Sara' il timore di aprire nuovi fronti in vista del voto di fiducia - aggiunge- o sarà la paura di condizionare negativamente quello che i finiani hanno definito un vero e proprio shopping parlamentare, o forse, è il goffo tentativo di mettere una sordina su tutto quello che riguarda la giustizia prima della decisione della Corte costituzionale. Fatto sta che a neanche un mese da quando Berlusconi lanciava il suo aut aut (o riforma o discorso pubblico contro la magistratura) i toni sono molto cambiati: i ruggiti si sono trasformati in miagolii, rivelando tutta l'inconsistenza di una riforma che viene agitata ora per addolcire ora per intimidire gli interlocutori di turno"
"La decisione di rinviare la riforma della giustizia non sorprende. Nonostante i soliti annunci spot del premier, non esiste infatti alcun testo: ci sono solo i desiderata di Berlusconi", fa eco da Idv Luigi De Magistris.
"Il ministro Alfano, ridotto ad avvocato del presidente del Consiglio - argomenta il responsabile giustizia dei dipietristi- ha soltanto messo nero su bianco i desideri del Premier: ma un piano di riforma da presentare pubblicamente è altra cosa. Anche per chi vuole distruggere la giustizia. Le prossime sfide politiche non consentono a Berlusconi di tirare la corda: il 14 dicembre è infatti una spada di Damocle che gli oscilla sulla testa e deve cercare di raccattare voti in Parlamento con ogni mezzo, anche la compravendita ovviamente". Il Pdl, con il capogruppo in commissione Giustizia alla Camera Enrico Costa, sottolinea il senso di responsabilità della scelta del Governo di non approvare già domani il pacchetto di riforme sulla Giustizia, accusando le opposizioni di sapere "solo pregiudizialmente strumentalizzare".
"La riforma della giustizia - afferma Costa - è parte del programma elettorale del centrodestra che i cittadini hanno votato: abbiamo pertanto apprezzato la coerenza, la tenacia e l`impegno del ministro Alfano per predisporre un testo che fosse espressione diretta del suffragio ottenuto nel 2008. Il ministro, con grande garbo istituzionale e politico, ha ascolto le forze politiche, informato le più alte cariche dello Stato e lavorato ad un testo di alto profilo. È logico che in un momento delicato come quello attuale, occorra evitare che tanto impegno venga dato in pasto ai professionisti della strumentalizzazione (non me ne voglionano l`on. Ferranti e l'on. De Magistris che ancora oggi hanno dato il meglio sotto questo profilo) che non mirano ad avere una giustizia moderna ma a demolire pregiudizialmente ogni iniziativa del governo".

(Da tiscalinotizie del 29.11.2010)

Mozione sulla giustizia civile al XXX congresso nazionale forense


Il Congresso Nazionale Forense, riunito in Genova
premesso
che da ormai molti anni la Giustizia Civile presenta uno stato di complessiva inaccettabilità sia per i tempi che per la qualità dei provvedimenti decisori, tanto che lo Stato Italiano viene ormai costantemente condannato in sede comunitaria per la violazione dei principi del giusto processo e che, il medesimo Stato deve pagare ogni anno somme rilevanti ai cittadini, che influiscono negativamente sul bilancio dello Stato, per la corresponsione delle indennità conseguenti alla violazione dei termini ragionevoli della durata del processo;
che inoltre tale stato di cose produce anche danni all’economia nazionale ed alla competitività delle nostre imprese, come risulta dai rapporti recentemente pubblicati, fra cui quello di Bankitalia;
che, peraltro, i principi del “giusto processo” di cui all’art. 111 Cost. e art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo non impongono solo il rispetto della definizione del processo in termini ragionevoli, ma altresì il rispetto della pienezza del contradditorio e di una elevata qualità del procedimento e della decisione, che soli possono garantire l’equità del giudizio;
che non appaiono quindi accettabili provvedimenti che, per l’invocato scopo di “deflazionare” il contenzioso, pongano limiti e ostacoli all’accesso alla giustizia del cittadino e ne riducano le garanzie difensive;
ritenuto
che gli Uffici Giudiziari presentano una situazione molto differenziata di funzionamento, sia per quanto riguarda i tempi che per quanto riguarda la qualità, essendovi Uffici Giudiziari, anche di rilevanti dimensioni, che garantiscono la definizione dei procedimenti civili in termini ragionevoli ed una ragionevole qualità di tali giudizi, mentre ci sono altri Uffici i cui tempi di definizione del giudizio sono ormai assolutamente inaccettabili, trasformandosi in vera e propria denegata giustizia ed anche la qualità dei provvedimenti e delle decisioni non appare conforme ai dettami del “giusto processo”;
che il Ministro della Giustizia, richiamandosi ai dati diffusi dal medesimo Ministero, ha recentemente, in più occasioni, dichiarato che i procedimenti definiti sono di poco inferiori ai procedimenti annualmente introitati, sicchè il vero problema della giustizia civile sarebbe quello del contenzioso arretrato;
tutto ciò premesso e ritenuto
delibera
di richiedere al Parlamento, al Governo ed al Ministero della Giustizia, per quanto di rispettiva competenza, che siano adottati i seguenti provvedimenti:
1) per quanto concerne la definizione dell’arretrato, che la definizione dello stesso sia affidata a sezioni appositamente costituite, composte da magistrati in quiescenza ed avvocati in pensione, di comprovata esperienza e di ineccepibile livello deontologico.
Le risorse economiche per il funzionamento di tali Sezioni potranno essere ottenute dai risparmi che saranno effettuati, evitando ulteriori condanne per
violazione del termine di ragionevole durata del processo sia in sede nazionale, ai sensi della Legge Pinto, sia in sede comunitaria.
Inoltre saranno evidenti i benefici economici all’economia nazionale per la riacquistata competitività della giustizia civile.
2) progetto organico di riforma della giustizia civile, senza fare ricorso a facili scorciatoie e ad ulteriori provvedimenti “tampone”, che in questi anni hanno manifestato la loro palese inefficacia e spesso portato ad un ulteriore aggravamento del carico del contenzioso;
3) semplificazione dei riti, anche in attuazione di quanto previsto dalla Legge n. 69/2009, nell’ottica finale della loro unificazione;
4) immediata copertura dei posti vacanti, sia per quanto riguarda i magistrati sia per quanto concerne il personale ausiliario;
5) richiamo alle funzioni giurisdizionali di tutti i magistrati distaccati presso i ministeri ed altri enti pubblici;
6) impossibilità per i magistrati di assumere incarichi extra – giudiziali (quanto meno fino al momento in cui la giustizia non raggiungerà un funzionamento pari al livello degli altri stati europei);
7) controllo dell’effettiva produttività dei magistrati e della qualità dei loro provvedimenti, nonché della capacità dei dirigenti preposti alla direzione degli uffici giudiziari;
8) approvazione di un provvedimento legislativo che preveda una reale ed effettiva responsabilità per i magistrati inadempienti ai doveri che su loro incombono (come a suo tempo richiesto dal popolo italiano, a larghissima maggioranza, con l’approvazione dell’apposito referendum, cui non è mai stata data reale attuazione).
9) riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, costituendolo come organo effettivamente terzo ed imparziale, con l’eliminazione di perniciose influenze di “categoria” e correntizie, ma al contempo anche di tipo politico;
10) approvazione definitiva, in termini brevissimi, della riforma dell’ordinamento forense, al fine di consentire una maggiore qualificazione dell’avvocato, quale insostituibile difensore tecnico.
Per contro, appare assolutamente inaccettabile qualsiasi tentativo di rendere al cittadino, sia sul piano economico che normativo, più difficile l’accesso alla giustizia per la tutela dei suoi diritti e la riduzione nel processo delle sue garanzie difensive.
Pertanto l’Avvocatura conferma il proprio no deciso ed inequivoco:
a) alla mediazione obbligatoria e senza l’assistenza di un difensore;
b) alla sommarizzazione del processo, che comporta l’inevitabile perdita di garanzie processuali e che rimette la fase successiva a quella introduttiva del giudizio alla totale ed insindacabile discrezionalità del giudice, senza regole precostituite;
c) a provvedimenti decisionali privi di motivazione o con motivazione sommaria, rappresentando la motivazione l’unico mezzo di controllo della correttezza del procedimento logico – giuridico seguito dal giudicante per giungere al provvedimento conclusivo e, quindi, per valutare l’opportunità di proporre un eventuale gravame;
d) no, infine, al “giudice – legislatore” che, anziché applicare ed interpretare la legge, stabilisce lui stesso, esercitando poteri che costituzionalmente non gli competono, le norme che disciplinano la fattispecie concreta.

Genova, 27 novembre 2010

ENTRO DOMANI INSUSSISTENZA INCOMPATIBILITA'

Ricordiamo ai Colleghi che domani, martedì 30 Novembre, scade il termine entro il quale dovranno presentare al Consiglio dell’Ordine la dichiarazione sostitutiva d’atto notorio (con fotocopia di documento) attestante l’insussistenza di cause di incompatibilità ai fini dell’iscrizione all’Albo Avvocati, in ossequio all'art. 16 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578.

Infortuni sul lavoro: è sempre responsabile il committente effettivo

Con sentenza n. 40499 del 16 novembre 2010, la Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità penale del committente in caso di infortuni sul lavoro.
Nel caso in questione un gruppo di lavoratori formalmente alle dipendenze di una ditta individuale svolgeva in realtà, attività lavorativa sotto le direttive ed il controllo di una s.a.s.
A  seguito di un infortunio sul lavoro, la Corte d’appello ha condannato il rappresentante legale della società rilevando la violazione del divieto di fornitura illecita di manodopera.
La Suprema Corte ha confermato la sentenza d’appello, reputando corretta l’interpretazione dei giudici di merito che avevano configurato l’ipotesi di interposizione illecita di manodopera sulla base di un rapporto costante e non occasionale tra una ditta individuale ed una s.a.s.
I giudici della Corte hanno ribadito che “la fattispecie di cui all'articolo 1 della legge n. 1369/1960 (esecuzione di prestazioni lavorative mediante impiego di manodopera assunta dall'appaltatore ma di fatto operante alle dipendenze del committente) resta punibile tuttora ai sensi dell'articolo 18 del decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276 (c.d. Legge Biagi) in quanto qualificabile come somministrazione di manodopera esercitata”.

(Da Avvocati.it del 29.11.2010)

Il nuovo processo amministrativo

di Avv. Vincenzo Orlando

Appare opportuno spendere qualche apprezzamento per quello che di positivo si rinviene nel nuovo c.p.a. e, in primis, per il contenuto del titolo primo del libro IV, che si compone di n. 4 articoli (da 112 a 115), con cui il legislatore regolamenta, finalmente ed una volta per tutte, il giudizio di ottemperanza, specificando le materie e i singoli casi nei quali esso si applica, ma, soprattutto, attribuendone la competenza al giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta, anche per i provvedimenti confermativi, resi in grado di appello, per le sentenze del giudice amministrativo (art. 113 comma 1), e al tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza, per i provvedimenti del giudice ordinario.
Non è superfluo rammentare in proposito che, finora, in mancanza di una normativa organica e completa, occorresse mettere capo, di volta in volta, alla giurisprudenza amministrativa e ordinaria per la individuazione delle singole fattispecie suscettibili di formare oggetto di ottemperanza.
In secondo luogo, si finiva sempre davanti al Consiglio di Stato persino per le sentenze rese nella regione siciliana, malgrado l’esistenza quivi di un C.G.A., il quale, però, era sfornito di competenza riguardo alle decisioni del giudice ordinario (ad esempio, quelle in materia di equa riparazione, che – come noto agli operatori pratici del diritto – assai raramente, per non dire quasi mai, trovano spontanea attuazione da parte del Ministero della Giustizia o degli Interni).
In conclusione, dunque, tirando le fila del discorso, sarebbe auspicabile che il legislatore utilizzasse la legge delega, la quale gli consente di apportare, entro un biennio dall’entrata in vigore del codice amministrativo, gli opportuni correttivi, operando così il perfezionamento delle norme, non soltanto sotto il profilo formale, ma anche e soprattutto sotto quello contenutistico.

(Estratto da filodiritto del 21.11.2010)

domenica 28 novembre 2010

Avvocati contro Alfano, urla e fischi al ministro

Il Guardasigilli interrotto più volte durante il suo discorso al XXX Congresso nazionale forense. "La legge sulla conciliazione è una legge truffa". Contestato duramente quando ha elencato le azioni del governo. E a chi prova un timido applauso, un avvocato urla: "Siete servi!"

I cartellini rossi sono stati sventolati per tutto il tempo del discorso del ministro della Giustizia Angelino Alfano, intervenuto al XXX Congresso nazionale forense. E poi i fischi, che hanno interrotto più volte le parole del Guardasigilli. La platea degli oltre duemila delegati arrivati da tutta Italia sulla nave da crociera Costa Concordia, ha contestato il ministro.
A guidare la protesta dei legali è il "pasionario" Claudio Macioci, avvocato di Roma, dell'associazione Agire e Informare. E' arrivato sotto il palco dal quale parlava Alfano. Gli ha sventolato quasi sotto al naso il suo cartellino con la fascia nera e gli ha urlato che la legge sulla conciliazione obbligatoria "è una legge truffa per i cittadini italiani. Non può fare promesse se le leggi non vengono approvate entro il 14 dicembre. Perchè questa nave, in questo momento vale due milioni di voti, ma può valerne almeno dieci".
I più infuocati sono riuniti in alto, in piccionaia. Dove a un certo punto si arriva quasi alle mani, tra un avvocato della vecchia guardia e uno più giovane. Ma anche dalla platea arrivano i commenti. "Signor ministro - urla una avvocatessa della delegazione campana - ma chi ci hai mannato a fà a claque?".
Quando Alfano ricorda di essere un avvocato, dal fondo della sala qualcuno gli urla: "Ma quando mai ha fatto un atto in vita sua?". A chi prova un timido applauso, un altro avvocato urla: "Siete servi!"
E' quasi un botta e risposta, quando il Guardasigilli elenca le riforme promesse dal governo in materia di giustizia e realizzate o sul punto di esserlo. "La riforma del processo civile". "Non c'è", gli risponde la platea. "La riforma forense". "Non c'è". "La riforma della giustizia per via costituzionale". "Non c'è".
Uno dei pochi applausi ricevuti da Alfano, parte spontaneo, quando il ministro dice: "Quella dell'avvocatura non deve essere l'unica strada per il laureato in giurisprudenza che non trova altro lavoro".

(Da RepubblicaGenova.it del 26.11.2010)

Altro che concordia, per gli avvocati è in arrivo la tempesta perfetta!

di Maurizio Perelli

Il XXX Congresso nazionale forense di Genova si è chiuso, il 27 novembre 2010, sulla splendida nave "Costa Concordia", con una sorpresa, democratica: la richiesta della assemblea al C.N.F. di abrogare il Regolamento sulle specializzazioni. Con un voto a maggioranza i delegati di 155 ordini degli avvocati hanno sonoramente bocciato il testo di regolamento sulle specializzazioni approvato dal C.N.F..
Significative le modalità, quasi drammatiche, attraverso le quali si è giunti al voto: dure contestazioni rivolte dall'assemblea al tavolo della presidenza che riteneva non necessario votare per rispondere al quesito sull'abrogazione (sostenendo che la questione fosse già stata risolta con il voto su una precedente mozione che chiedeva di istituire un tavolo tecnico per modificare il testo del regolamento da parte del CNF). Centinaia di delegati, e non solo i firmatari del ricorso al Tar Lazio avverso il regolamento sulle specializzazioni, hanno minacciato di lasciare il Congresso se non fosse stato consentito di votare sul ritiro del regolamento.
E non è l'unica sorpresa democratica riservata dal Congresso di Genova: l'altra è stata l'aspra contestazione al ministro Alfano che alcuni accreditavano di osannanti riconoscimenti per aver "portato come trofeo del governo" all'assemblea degli avvocati il testo di riforma forense appena da qualche giorno approvato in Senato.
E' la democrazia, bellezza!
Ma una riflessione si impone, facile facile.
E deve portare a riconoscere che la rappresentatività del Consiglio Nazionale Forense e dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura non esiste: si tratta di soggetti troppo staccati dalla base degli avvocati e per fare una riforma vera della professione urge cambiare metodo.
Non servono giochetti di palazzo o palazzetto ma un seria analisi economica, sociologica e giuridica (alla luce, in primo luogo dei principi costituzionali, del diritto dell'unione e della c.e.d.u.) del "problema avvocatura", quale aspetto del problema giustizia.
E la prima urgenza è bloccare l'iter della riformicchia forense approvata dal senato e parlare con la base degli avvocati. Altrimenti, lo si è visto, gli avvocati sapranno ribellarsi a chi li voglia paternalisticamente condurre (al macello).
Possiamo prendere ad esempio l'approccio di altri paesi europei al problema dell'adeguamento delle regole nazionali alla globalizzazione dei servizi legali. In Francia, ad esempio, la discussione sulla riforma forense è una cosa seria.
Oltralpe si discute approfonditamente su come adattare la regolamentazione della professione d'avvocato alla globalizzazione dei servizi giuridici. Si parte da analisi socio-economiche a livello mondiale, affinchè i servizi legali erogati dagli avvocati francesi possano essere competitivi nel mondo globalizzato.
Da noi, invece, la discussione sulla riforma della professione di avvocato si trascina senza analisi di base (tanto che il Parlamento è stato chiamato a discutere un disegno di legge che assurdamente ignora il rilevantissimo fenomeno degli avvocati dipendenti d'altri avvocati); è perciò discussione "grave ma non seria".
Del francese M. Benichou segnalo un interessante scritto dal titolo "La mondialisation des services juridiques. Constats, perspectives et défis". Si tratta del rapporto presentato all'assemblea generale del Conseil National des Barreaux il 21 novembre 2008.
Puoi leggerlo su Rassegna Forense, n. 3/2008 (luglio-settembre 2008), ove, in nota, scrive Martina Barcaroli: " ... Il rapporto ha una portata non solo scientifica ma anche politica, rappresentando il quadro programmatico delle priorità e iniziative che l'avvocatura francese dovrà afrontare nel corso dei prossimi anni in conseguenza del fenomeno della mondializzazione del commercio, nonchè dei <<servizi giuridici>>". 
Dopo una completa ed esauriente descrizione delle funzioni degli interlocutori  (per esempio l'O.M.C., il C.C.B.E., il F.M.I., l'European Services Forum) e delle proposte politiche nell'ambito delle attività di negoziazione tra stati presso l'O.M.C., l'autore affronta le problematiche attinenti al processo di mondializzazione del commercio e dello scambio dei servizi. In particolar modo meritano attenzione le problematiche relative all'esigenza di agevolare lo scambio di servizi giuridici tra stati (membri e non dell'Unione Europea), tra cui la regola degli accordi GATT della <<clausola della nazione più favorita>> e la possibilità di accogliere il c.d. foreign legal consultant (F.L.C.).
Seguono sapienti riflessioni sull'adattabilità di soluzioni e proposte politiche nate, per l'appunto, dalla negoziazione tra stati aderenti all'O.M.C.. Di grande interesse sono le argomentazioni a sostegno di una revisione della regolamentazione nazionale sulle strutture di esercizio professionali (apertura ai capitali esterni, quotazione in borsa, politica delle tariffe) e sulla specializzazione degli avvocati tali da poter restare al passo con i tempi garantendo competitività sul piano mondiale e interno. Queste riflessioni non sono esenti da considerazioni d'ordine teleologico sulla professione d'avvocato, tra cui il bisogno assoluto di mantenere il carattere non meramente utilitaristico e d'ordine pubblico della professione".

(Da avvocati-part-time.it del 28.11.2010)

sabato 27 novembre 2010

La “garanzia di fabbrica” tra Codice civile e Codice del consumo

La cd. garanzia di fabbrica costituisce un’obbligazione del tutto peculiare che il fabbricante di un prodotto assume nei confronti dell’acquirente finale, apprestando per quest’ultimo una tutela aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella derivante sia dalle azioni contrattuali per vizi (art. 1490 e ss. c.c.), sia dalla garanzia di buon funzionamento (art. 1512 c.c.), fondate sul contratto di vendita e come tali esperibili soltanto nei confronti del venditore.
Queste le ricostruzioni della garanzia de qua:
a) contratto atipico di garanzia di fabbrica, con conseguente responsabilità ex art. 1322, comma 2, c.c.;
b) promessa al pubblico, con conseguente responsabilità ex art. 1989;
c) contratto con obbligazioni del solo proponente, con conseguente responsabilità ex art. 1333 c.c. (per un esame complessivo, Luminoso, Vendita, Dig. disc. Privatistiche, sez. civ., Torino, 1999, 651; Commentario breve al codice civile, cur. Cian, Padova, 2002, 1494).
Autorevole dottrina afferma, ancora, che dalla dichiarazione di garanzia predisposta dal fabbricante «… sorge un rapporto diretto tra produttore e consumatore, al quale il venditore rimane estraneo» (Luminoso, I contratti tipici ed atipici, Milano 1995, 160).
Fermi i citati rilievi, il carattere giuridicamente vincolante della garanzia de qua è confermato dagli artt. 128 e 133 del d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cd. Codice del consumo).
L’art. 128, lett. c), del Codice del consumo, così definisce la cd. garanzia convenzionale ulteriore: «… qualsiasi impegno di un venditore o di un produttore, assunto nei confronti del consumatore senza costi supplementari, di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare, o intervenire altrimenti sul bene di consumo, qualora esso non corrisponda alle condizioni enunciate nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità».
Maggiormente esplicativo l’art. 133 del Codice, che qui si riporta integralmente per comodità espositiva:
1. La garanzia convenzionale vincola chi la offre secondo le modalità indicate nella dichiarazione di garanzia medesima o nella relativa pubblicità.
2. La garanzia deve, a cura di chi la offre, almeno indicare:
a) la specificazione che il consumatore e' titolare dei diritti previsti dal presente paragrafo e che la garanzia medesima lascia impregiudicati tali diritti;
b) in modo chiaro e comprensibile l'oggetto della garanzia e gli elementi essenziali necessari per farla valere, compresi la durata e l'estensione territoriale della garanzia, nonché il nome o la ditta e il domicilio o la sede di chi la offre.
3. A richiesta del consumatore, la garanzia deve essere disponibile per iscritto o su altro supporto duraturo a lui accessibile.
4. La garanzia deve essere redatta in lingua italiana con caratteri non meno evidenti di quelli di eventuali altre lingue.
5. Una garanzia non rispondente ai requisiti di cui ai commi 2, 3 e 4, rimane comunque valida e il consumatore può continuare ad avvalersene ed esigerne l'applicazione.
In breve, l’art. 128, lett. c), del Codice del consumo qualifica la garanzia in parola come  «impegno di un  venditore o di un produttore», laddove l’art. 133 statuisce che essa «vincola chi la offre».

Avv. Giorgio Vanacore (da Overlex del 17.11.2010)

Congresso forense, il presidente Cnf Alpa: “La riforma della professione sia approvata anche alla Camera”

COMUNICATO STAMPA CNF DEL 25.11.2010

Approvazione veloce alla Camera della riforma della professione per una rafforzata qualificazione dell’avvocato, revisione delle norme sulla mediazione che rischiano un giudizio di incostituzionalità, riforme organiche della giustizia, riproposizione della figura dell’avvocato come tutore dei diritti in una dimensione europea, saldamente legato ai canoni deontologici e rafforzamento del suo ruolo di consulente anche fuori dalle aule di tribunale, vicino ai problemi quotidiani dei cittadini in linea con lo sviluppo della professione nei paesi europei.
Sono tante le strade che portano “ fuori dal tunnel” della crisi che per tanti motivi ha investito negli ultimi anni la categoria forense, indicate dal presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa che oggi con la sua relazione ha aperto il del XXX Congresso forense che si tiene a Genova in questi giorni, dal titolo “L’avvocatura al servizio dei cittadini”. Strade che portano verso una “professione fortemente qualificata, garante della legalità, della difesa e della promozione dei diritti”, a dispetto di una crisi che “ che viene raccontata per tutti ma non per le professioni, che non sono considerate come operatori economici, contro ogni dato obiettivo che testimonia l’apporto del comparto professionale al Pil per il 15%”. “La categoria dei professionisti liberi, non essendo imprenditori, non possono contare sui sussidi mascherati dello stato, su incentivi agevolazioni fiscali e, non essendo lavoratori dipendenti, non possono contare sull’assistenza e sulle altre previdenze assicurate ai salariati”.
Per la riforma della professione. La riflessione di Alpa si chiude con un giusto motivo di soddisfazione, che diventa premessa di ogni ulteriore discorso: l’approvazione della riforma della professione votata in prima lettura dal senato martedì scorso: “Siamo in presenza di un fatto storico e confidiamo di poter persuadere anche le forze politiche che non l’hanno approvato, che il testo di riforma dell’ordinamento forense, equilibrato e progressivo, deve seguire il suo iter alla Camera senza ostacoli, intoppi e ripensamenti”, ha riferito Alpa che, incassato un risultato importante e motivo di soddisfazione per tutta l’avvocatura che sulla questione si è mossa unitariamente sotto la regia del Cnf (con l’apposito “tavolo” per la riforma), guarda già al prossimo futuro e da Genova chiede che il testo sia approvato al più presto.
E lo difende dalle tante accuse “pretestuose e ingiustificate”: “Il progetto non è frutto di istanze corporative”, sottolinea Alpa che attacca: “i privilegi si condividono in pochi, certo non tra gli appartenenti ad una massa che si riproduce in modo esponenziale” qual è l’avvocatura.
I dati (gli iscritti agli albi ammontano a 236mila; il reddito medio annuo non arriva a 50mila euro; in dieci anni il numero degli avvocati è raddoppiato; il tasso di disoccupazione dei giovani si aggira tra il 20 e 30%) “smentiscono di per sé ogni critica alla categoria, proveniente dalle autorità indipendenti, da esponenti del mondo politico, da associazioni di categoria di banche e associazioni”.
“Il testo non è corporativo perché non è un libro d’oro dell’avvocatura: piuttosto rafforza l’impegno degli Ordini, rende più trasparente l’attività dell’avvocato, rafforza le garanzie dei cittadini. Il Senato ci ha seguito sulla consulenza e sulle tariffe, che assicurano prestazioni qualificate insieme con il tirocinio, le scuole di formazione, l’aggiornamento professionale, la specializzazione, l’assicurazione obbligatoria, la continuità nell’esercizio professionale”.
Un testo che rende giustizia dopo le supposte liberalizzazioni del decreto Bersani, entrato in crisi ben prima dell’approvazione del senato per opera della giurisprudenza della Cassazione che da ultimo ha confermato la sanzione comminata dall’Ordine di Brescia e confermata dal Cnf sull’apertura di negozi giuridica per strada (sentenza Alt n 23287/2010), contro forme di pubblicità evocative (“ragione di grande soddisfazione per l’Avvocatura”); che ha avallato il ripristino delle tariffe minime obbligatorie (sent. n. 20269/2010).
Sulle specializzazioni, Alpa assicura: “Abbiamo tenuto conto delle previsioni concordate a un tavolo unitario. Ora siamo di fronte a un’impugnativa Tar e a un testo di articolo approvato dal senato: il Cnf è aperto ai suggerimenti per migliorare il testo e far sì che gli avvocati lo considerano non un fardello ma uno strumento ulteriore di qualificazione e promozione”.
Sul potere regolamentare del Cnf avverte: non riconoscerlo è “un vulnus a tutta la categoria; come non comprendere che la nostra categoria professionale, pilastro dello Stato di diritto, può assolvere la sua funzione solo se indipendente, e tale non può esserlo se la definizione delle regole comportamentali sono assoggettate al potere esecutivo? Questo colpo di mano fa il paio con il tentativo di assoggettare ad approvazione ministeriale i codici di condotta, proposto anni fa, e poi fortunatamente abbandonato”.
Dal dopo il Bersani, comunque, deve partire la riscossa dell’avvocatura che una certa legislazione vorrebbe lasciare ai margini, aggravando la crisi anche economica della categoria: “Sono ormai molteplici gli interventi legislativi che esonerano coloro che vogliono accedere alla giustizia dall’obbligo di munirsi di difensore limitano le modalità di difesa dei diritti e degli interessi: si pensi al decreto ingiuntivo europeo, all’arbitrato bancario, al decreto legislativo sulla mediazione e conciliazione, all’emendamento proposto nel corso della discussione sul cd. processo breve che prevede la non necessaria assistenza di un avvocato nei procedimenti per equa riparazione previsti dalla c.d. Legge Pinto, alla composizione delle crisi da sovra indebitamento del debitore privato o non fallibile Prendiamo atto – ma non rimarremo inerti – del fatto che il legislatore si è studiato di precisare nel dettato normativo la non necessarietà dell’assistenza forense”, denuncia Alpa.
Contro la mediazione. Allora il primo impegno è quello di chiedere la modifica della legge sulla mediazione, in odore di incostituzionalità “Il CNF già nel giugno 2010 ha avuto modo di esprimere la sua protesta nell’indicare le ragioni dell’inopportunità di un sistema di conciliazione obbligatorio, della mancata previsione dell’assistenza del difensore, dei settori nei quali è prevista, delle sanzioni, dell’insufficiente qualificazione dei mediatori”, sottolinea Alpa.
“Conviene richiamare inoltre l’attenzione non solo sulla sospetta incostituzionalità del provvedimento legislativo e dei decreti di attuazione, ma anche della possibile incompatibilità della disciplina con le regole del diritto comunitario, alla luce di una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (cause riunite C.317/08). Ed, infatti, così come progettato, il sistema è diretto a rendere vincolante la conclusione conciliativa della vertenza, a ritardare l’accesso al giudice ordinario in quanto è diretto ad investire circa un milione di controversie e quindi renderà praticamente impossibile esperire i tentativi di conciliazione entro i quattro mesi previsti dalla normativa, ed è ovviamente cagione di costi aggiuntivi – in termini di tempo che si aggiunge a quello già notevole nel quale si scandiscono i processi ordinari e in termini di aggravio economico per le parti – rispetto al naturale svolgersi delle cose. Di più. La individuazione degli ambiti nei quali la conciliazione obbligatoria deve essere tentata è assai opinabile, atteso che essa investe settori assolutamente marginali (come i contratti di comodato) e settori di grande rilevanza sociale come i danni derivanti dalla circolazione stradale”.
Per la riforma della giustizia. Finora è mancato “il coordinamento delle terapie”, l’assenza di un disegno coerente e sistematico¸ si è seguito al contrario un metodo “solitario” di redazione della normativa e testi “piovuti dall’alto”. “Gli avvocati vorrebbero uscire dalla dimensione di protesta e sostenere proposte fattive e pragmaticamente utili. Una strada potrebbe essere quella di pensare “ad un’Avvocatura istituzionale, che si preoccupa di aprire camere arbitrali, di promuovere lo strumento arbitrale anche per le questioni di modesto peso economico, di includere le clausole arbitrali nei contratti, in modo che siano gli avvocati a rendere giustizia, con la loro competenza, la loro sensibilità, il loro senso del dovere. Per le questioni che debbono essere affidate al giudice togato, possiamo pensare ad un giudice che sia agevolato (ma non esautorato) nel suo lavoro da un adiutore, scelto tra i migliori laureati in Giurisprudenza, tra gli aspiranti avvocati (praticanti a cui si riconosce il servizio prestato ai fini della pratica), tra i vincitori di concorso di magistratura non ancora assegnati alle loro funzioni. Per l’organizzazione delle sedi, si può pensare al decentramento.
I diritti, l’avvocato, la sua missione e la sua responsabilità sociale. “L’anima e il sostegno della missione degli avvocati sono i diritti e la loro tutela è uno dei doveri essenziali dell’avvocato”. Per Alpa, a dispetto dei testi normativi fondanti la tutela del diritti (dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), e delle decisioni delle Corti, la piena efficacia e garanzia dei diritti umani è un obiettivo non ancora raggiunto. “Non bisogna mai abbassare la guardia”, avverte Alpa. Che evidenza come in questo perimetro di un percorso non lineare, si delinea anche una sfida e una ragion di più d’esser dell’avvocato. “In questo variegato e preoccupante scenario si rafforza il ruolo dell’Avvocatura.
Spetta agli avvocati – in prima linea – rilevare le manchevolezze della legge, la lesione dei diritti, l’uso dei rimedi giurisdizionali. Una ragione in più per rivendicare all’avvocatura italiana una dimensione effettivamente europea: “I diritti sanciti dalla Carta sono tutelati da norme europee sovraordinate alle norme italiane. Ciò significa che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona l’avvocato d’ora deve interpretare la legge nazionale che attiene ai diritti fondamentali in conformità alle norme europee e chiedere al giudice un’applicazione conforme o la disapplicazione, se in contrasto con la norma europea. Si tratta di una svolta di grande rilievo giuridico e politico perché i diritti fondamentali della Carta investono tutti i principali settori della vita delle persone e della società, dai diritti civili e sociali, a quelli dell’eguaglianza, della non discriminazione, della solidarietà e della giustizia: ne vedete scorrere l’elenco, così vasto e significativo. La professione legale è perciò direttamente coinvolta nel nuovo sistema europeo del diritto e dei diritti, sotto molti profili e si sposta il baricentro della deontologia: non più solo il prestigio della categoria ma il dovere sociale della tutela del cittadino nei confronti di ogni potere”, sottolinea Alpa.

Claudia Morelli Responsabile Comunicazione e rapporti con i Media

Solidarietà alla collega Oliveri per incendio studio

L’Associazione Giarrese Avvocati esprime solidarietà alla collega Barbara Oliveri di Paternò per il vile attentato incendiario compiuto nei giorni scorsi da ignoti contro il suo studio in via S. Francesco di Paola, e si associa alla condanna espressa contro l’atto intimidatorio dall’Associazione Forense di Paternò.

L'Anm: "Dal governo riforme per minare l'indipendenza della magistratura"

''Abbiamo assistito, a una serie di interventi episodici e contingenti dettati dall'esigenza di risolvere situazioni legate a singole vicende processuali e sempre mirati a limitare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura''. L'Associazione nazionale magistrati scende in campo contro l'annunciata riforma della Giustizia che il governo vorrebbe mettere in campo quanto prima. Durante il 30esimo congresso dell'Anm, il presidente, Luca Palamara, dal palco tuona contro chi vorrebbe non solo realizzare una riforma costituzionale ma anche introdurre una serie di novità legislative attraverso legge ordinaria, tra cui intercettazioni, processo breve e polizia giudiziaria indipendente rispetto ai pubblici ministeri.
"No al doppio Csm" - "Queste riforme, accusa il leader del sindacato delle toghe, non serviranno "assolutamente" a far durare meno i processi perché la loro finalità è "ridisegnare i rapporti tra politica e magistratura alterando le attuali divisioni tra poteri dello Stato così come delineate dal Costituente nel 1948". Se si separano le carriere e si va verso un doppio Csm, si avrà "inevitabilmente" un "ritorno al passato" con l'assoggettivazione del pm all'esecutivo. "Tutto questo - avverte Palamara - rischia di incidere seriamente sull'indipendenza del pubblico ministero e sulla sua capacità di investigare liberamente senza interferenze esterne". Servono invece "interventi urgenti" sulle "reali problematiche della giustizia".
"Inaccettabile la continua denigrazione delle toghe" - E poi, sottolinea Palamara, risulta inaccettabile la "pratica quotidiana" di alcuni rappresentanti del governo dell'"insulto e del dileggio nei confronti di un'indefettibile istituzione dello Stato". Quello che descrive il presidente Palamara è un "pesante clima di aggressione alla magistratura". Ad ascoltare la sua relazione c'é il capo dello Stato, i cui ripetuti richiami al rispetto dei giudici, dice il leader delle toghe, confortano la magistratura. Palamara parla di "un'assurda campagna di denigrazione tesa a minare la credibilità della magistratura davanti agli occhi dei cittadini" e che fa leva, "con un gioco evidentemente facile, sulla generale delusione per le mancate risposte alla legittima ansia di giustizia". E dice che il clima è diventato pesante "quando, in particolare, indagini e processi che hanno 'toccato il potere' sono stati strumentalizzati a fini politici".
"Chi fa politica non torni in magistratura" - Palamara parla però anche di regole interne di cui la magistratura deve dotarsi. "Bisogna fissare regole rigorose finalizzate a evitare commistioni improprie tra la funzione giudiziaria e l'impegno politico", compresa "la possibilità di tornare a fare il magistrato dopo l'esperienza in politica" e indica nella degenerazione del correntismo un "male da estirpare". Palamara ritiene che "sarebbe un errore rinunciare" al contributo di magistrati "nelle istituzioni rappresentative, in particolare nelle assemblee legislative", ma pensa che occorranno regole ferree: "E' indispensabile evitare - dice - che si determinino indebite commistioni tra magistratura, politica e alta amministrazione e che, anche dopo la cessazione dalla funzione svolta, i magistrati ricevano incarichi che possano apparire collegati al pregresso esercizio delle funzioni giudiziarie". E in questa direzione va il nuovo codice etico delle toghe che stabilisce che "nel territorio dove esercita la funzione giudiziaria il magistrato evita di accettare candidature e di assumere incarichi politico-amministrativi negli enti locali".
Recuperare la credibilità - Luca Palamara parla di 'questione morale' e fa riferimento alle inchieste in cui sono rimasti coinvolti magistrati, come quella sulla cosiddetta P3. "Non ci sono più spazi di compromesso - dice - perché il nostro modello di magistrato non entra ed esce dal mondo della politica senza seguire percorsi trasparenti, non frequenta lobby e salotti dove garantisce ciò che non può garantire, non fa pressioni per diventare capo di un ufficio, non si ispira a una logica clientelare". Per il leader dell'Anm è "inaccettabile che trapeli l'immagine di una magistratura contigua a gruppi lobbistici e impegnata in impropri interventi volti a influire sull'assegnazione di affari e di incarichi prestigiosi". "I magistrati - afferma in un passaggio della relazione di aperura dei lavori al teatro Capranica di Roma - si legittimano esclusivamente nello svolgimento dell'attività giurisdizionale esercitata con indipendenza e imparzialità e senza che si insinui il dubbio di illeciti condizionamenti esterni".
"Bisogna avere il coraggio di cambiare" - Bisogna "voltare pagina - dice - lasciando alle spalle ciò che in questi anni non ha funzionato nella macchina giudiziaria, nei rapporti tra politica e magistratura, ma anche al nostro interno, dando centralità ai temi dell'autoriforma, della questione morale e dell'organizzazione". Bisogna avere "il coraggio di cambiare interrogandoci su quello che non ha funzionato nell'esercizio del potere diffuso, nel sistema dell'autogoverno e dell'associazionismo giudiziario". "Dobbiamo riconoscere anche i nostri errori, ma non possiamo accettare - afferma Palamara - che alcuni ci considerino, in maniera del tutto falsa e infamante, come una corporazione di fannulloni superpagati impegnata a proteggere gli interessi di una casta accusata delle peggiori nefandezze".

(Da tiscali ultimora del 26.11.2010)

venerdì 26 novembre 2010

Giustizia, Palamara (Anm): “Contro toghe insulti quotidiani, denigrano”


di Apcom

Contro i magistrati c'è "un pesante clima di aggressione", soprattutto quando "indagini e processi che hanno 'toccato il potere' sono stati strumentalizzati a fini politici". In questo contesto "alcuni rappresentanti dell'attuale maggioranza di governo hanno reso pratica quotidiano l'insulto e dileggio nei confronti di una indefettibile istituzione dello Stato", che si è concretizzata in "una assurda campagna di denigrazione tesa a minare la credibilità della magistratura".
E' la denuncia di cui si fa interprete il presidente dell'Anm Luca Palamara, aprendo stamattina a Roma i lavori del 30esimo congresso del 'Sindacato delle toghe'. Alla presenza del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e del presidente del Senato, Rernato Schifani.
Palamara rivendica la reazione dei magistrati "con dignità e risolutezza, senza timore, soprattutto quando si è messo in discussione non il merito dei provvedimenti ma l'indipendenza e l'imparzialità dei giudici".
E il leader dei magistrati fa riferimento al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, presente stamattina all'apertura del congresso: "Ci conforta che più volte il capo dello Stato abbia sottolineato come la rigorosa osservanza delle leggi il più severo controllo di legalità rappresentino un imperativo assoluto per la salute della Repubblica, richiamando tutti ad avere un massimo rispetto per la magistratura che è investita di questo compito essenziale".

(Da tiscali ultimora del 26.11.2010)