A Milano, in base al 96 c.III cpp
Chi
non deposita le “copie cortesia” delle memorie portate in una causa può subire
una sanzione pecuniaria. Il Tribunale di Milano, seconda sezione civile
(fallimentare), con decreto n. 534 del 15 gennaio scorso, ha condannato una
parte a pagare 5mila euro (in base all’articolo 96, comma 3, del Codice di
procedura penale) perché il proprio avvocato non aveva depositato le “copie
cortesia” previste dal protocollo siglato tra il medesimo tribunale e l’Ordine
degli avvocati di Milano lo scorso 26 giugno.
Alla
lettera A del terzo capoverso del protocollo si legge: «si richiede ai
difensori di consegnare, entro i due giorni successivi la scadenza dell’ultimo
termine di cui agli articoli 183 6° comma e 190 Cpc copia cartacea di dette
memorie a uso esclusivo del giudice raccolte in un unico plico, avendo cura di
inserire sempre negli atti il numero di ruolo del procedimento e la parte
rappresentata; le copie verranno depositate su tavolo/scaffale all’uopo
predisposto dalla cancelleria, in sezione distinta per ogni giudice, senza
attendere intervento di operatore». Il 4° comma specifica che «se provvedimento
collegiale (come nel caso in oggetto, ndr), per le sole comparse conclusive ex
art. 190 Cpc, verranno consegnati tre plichi distinti per i 3 giudici
(depositati tutti nella sezione del giudice relatore)».
La
replica delle associazioni
Per
Mirella Casiello, presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura, è «una
sentenza assurda: la copia di cortesia è uno strumento per sopperire i deficit
di un processo civile telematico non ancora a regime. Non è possibile che si
trasformi in una “ghigliottina” sul lavoro degli avvocati. L’atteggiamento del
magistrato è ingiusto».
Critico
anche il segretario generale dell’Associazione nazionale forense, Ester
Perifano: «Se i magistrati remano contro il processo civile telematico,
vanificando gli sforzi compiuti dalla categoria degli avvocati che si sono
anche resi disponibili ad andare incontro alle difficoltà della macchina
statale, accedendo a richieste extra legem dei magistrati, ci chiediamo se non
occorra una seria riflessione sull’opportunità di chiedere la disdetta di tutti
i protocolli. Lo scopo del processo civile telematico è rendere più efficiente
la giustizia anche con una sua dematerializzazione, dunque tenere in piedi i
due sistemi è controproducente e costoso per il cittadino».
L’Ordine
degli avvocati di Milano ha parlato per bocca del consigliere Cinzia Preti,
secondo cui «trattandosi di un accordo, esso non può essere ritenuto vincolante
e tantomeno sanzionabile ex articolo 96 del Cpc. Il provvedimento della sezione
fallimentare è, evidentemente, abnorme, senza senso e frutto di un travisamento
dell’accordo di collaborazione».
Infine,
Renzo Menoni, presidente dell’Unione nazionale delle Camere civili, ribadisce
in una lettera inviata al ministro Orlando che «le cosiddette copie di cortesia
possono rispondere a un criterio di volontaria e spontanea collaborazione fra
avvocatura e magistratura, ma non possono essere imposte neppure da “protocolli
di intesa”, che non hanno nessun valore vincolante». Menoni aggiunge che
«l’applicazione della previsione dell’articolo 96, 3° comma Cpc non è rimessa
all’assoluta discrezionalità del giudice, ma richiede che ricorrano i
presupposti di cui al 1° e 2° comma e quindi il dolo o la colpa grave della
parte. In difetto si sarebbe in presenza di puro arbitrio. Tale abnorme
provvedimento giudiziario impone, quindi, un immediato avvio di un procedimento
disciplinare nei confronti dei magistrati che lo hanno adottato».
Enrico Bronzo (da Il Sole
24 Ore del 19.2.2015)