Rumori molesti in condominio,
tra due
inquilini volano parole grosse e offese.
La Cassazione conferma:
il “vaffa” è reato di ingiuria da Codice penale
Dagli
studi condotti sui comportamenti umani è stato rilevato che siano simili a
quelli degli animali con la differenza che l’ essere umano impara dagli errori
usando la ragione.
Tuttavia,
a volte accade che gli impulsi primordiali hanno il sopravvento con conseguenze
catastrofiche per chi ne viene a contatto.
E’
quello che sarà accaduto tra due inquilini che in seguito al rimprovero verbale
di uno per rumori molesti proveniente dall’appartamento dell’ altro, quest’
ultimo proferiva frasi ingiuriose.
Nel
nostro ordinamento, il reato di ingiuria trova la sua disciplina nell’art. 594
c.p. nel quale si legge: “chiunque offende l’ onore o il decoro di una persona
presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516”.
Esso
si colloca tra i diritti della personalità, quali diritti opponibili erga
omnes, indisponibili, non patrimoniali, e imprescrittibili.
Ai
fini della configurabilità del reato occorre che sussistano sia l’elemento
oggettivo, costituita dall’offesa all’onore o al decoro di una persona, sia
l’elemento soggettivo costituito dalla sussistenza del dolo generico, inteso
come volontà di usare espressioni offensive con la consapevolezza dell’
attitudine offensiva delle parole usate.
L’onore
si identifica con il sentimento che ciascuno ha della propria dignità morale,
la stima o l’opinione che gli altri hanno di noi.
Cosi
anche il decoro, inteso come lo stato individuale esteriore risultante dal
riguardo elementare che gli uomini sono soliti osservare reciprocamente verso
la personalità morale di ciascuno di essi.
Ciò
posto, recentemente la
Cassazione con sentenza n. 35669 del 13 agosto 2014 ha avuto modo di
ribadire che: “l’espressione utilizzata non è soltanto indice di cattiva
educazione e di uno sfogo dovuto ad una pretesa invadenza dell’ offeso, ma
anche del disprezzo che si nutre nei confronti dell’ interlocutore, precisando,
pur sempre, tuttavia, che spetta ai giudici di merito, tenere doverosamente
conto del contesto nei quali l’ espressione è stata pronunciata”.
La
ratio giustificatrice che ha portato la Suprema Corte a
confermare il giudizio di secondo grado, risiede nel fatto che i rapporti di
vicinato devono essere improntati ad un maggiore rispetto reciproco tra le
persone, che al contrario porterebbe a un impossibilità di convivenza, che,
invece, è necessitata dalla quotidiana relazione nascente dal fatto abitativo,
che deve essere garantita (Sez. V, 29 /10/2009 , n. 3931).
(Da leggioggi.it del
2.9.2014)