Cass. Civ., sez. III, sent. 28.9.2012 n° 16543
Grave lesione alla reputazione: il danno esistenziale è in re ipsa. E' quanto ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 28 settembre 2012, n. 16543.
Il caso vedeva un medico ottenere in giudizio il risarcimento dei danni morali ed esistenziali per la lesione della reputazione, cagionatagli dall’autore di un volume pubblicato da una nota casa editrice. Quest’ultimo, contestando ogni addebito, ricorreva per Cassazione lamentando che la Corte d’Appello avesse proceduto alla liquidazione del danno non patrimoniale, suddiviso in danno esistenziale e danno morale, nonostante l'assenza di prova sulla esistenza di un danno risarcibile.
Gli ermellini evidenziano alcuni punti fermi in tema di risarcimento del danno causato da diffamazione a mezzo stampa, in particolare per quanto attiene alla individuazione della persona offesa: non è necessario, secondo i giudici, che il soggetto passivo sia precisamente e specificamente nominato, "ma la sua individuazione deve avvenire, in assenza di un esplicito e nominativo richiamo, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, di guisa che possa desumersi, con ragionevole certezza, l'inequivoca individuazione dell'offeso".
Sul punto, l'orientamento giurisprudenziale dominante afferma che, nel reato di diffamazione a mezzo stampa l'individuazione della persona offesa deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell'offesa, desumibile anche dal contesto in cui è inserita, senza fare ricorso ad intuizioni o congetture. Non occorre, quindi, che la persona cui l'offesa è diretta venga nominativamente designata, essendo sufficiente che l'individuazione sia possibile per esclusione, in via induttiva, tra una categoria di persone, senza che assuma importanza il fatto che l'identificazione venga in concreto compiuta da un ristretto numero di persone.
La giurisprudenza di legittimità, sia civile che penale, ha riconosciuto che la prova del danno può essere data con ricorso al notorio e tramite presunzioni e che, una volta dimostrata la lesione della reputazione professionale o personale - la quale va valutata in abstracto, ossia con riferimento al contenuto della reputazione quale si è formata nella coscienza sociale di un determinato momento storico - il danno è in re ipsa, in quanto è costituito dalla diminuzione o privazione di un valore, benchè non patrimoniale, della persona umana.
(Da Altalex del 21.11.2012. Nota di Simone Marani)