Da domani Bari ospiterà il XXXI Congresso forense. L’appuntamento cade in un momento di particolari disagio e difficoltà per l’avvocatura. Le ragioni sono numerose e molto diverse tra loro. Proviamo ad elencarne alcune: la coincidenza con una gravissima crisi economica internazionale della quale non si riesce a vedere la fine, una produzione legislativa sempre più irrazionale ed erratica, riforme e provvedimenti demagogici, che hanno frustrato e mortificato la funzione difensiva, una giurisprudenza sin troppo mutevole e “creativa”, che disorienta anziché offrire un riferimento affidabile, la sempre più diffusa convinzione che non sia possibile mutare questo stato di cose e arrestare l’allarmante, progressivo declino della giustizia e della professione. Tutto ciò ha finito per determinare nell’avvocatura stati d’animo fortemente contrastanti anche con riferimento alla sua più autorevole espressione. Accanto ai buoni propositi, alle ottime intenzioni che molti, nonostante la situazione, continuano a manifestare per l’istituto congressuale, convive e monta in altri un sempre più marcato senso di malessere e di insoddisfazione per un’assise sentita anch’essa come estranea, avulsa dalle difficoltà quotidiane, lontana dalle problematiche e dai bisogni concreti della categoria. Così, mentre certuni continuano a considerare il congresso luogo privilegiato di confronto, elaborazione, crescita, si moltiplicano preoccupanti segnali di insofferenza di un’altra parte, si intensificano i moti di impazienza di chi lo reputa ormai un vuoto esercizio di retorica, una paludata liturgia autocelebrativa, l’insopportabile esibizione e parata dei “soliti noti”. Un solo sentimento, forse, riesce ad accomunare i contrastanti sentire della classe forense: il timore per il domani, la preoccupazione per un futuro sentito aleatorio ed insicuro come non mai. Un senso di precarietà, di incertezza, che non riguarda solo la tenuta dei diritti, l’effettività del diritto di difesa, ma che investe anche il versante economico della professione, il riscontro reddituale dell’attività, che risulta ormai in aperta, costante flessione. Difficile costruire qualcosa sulla paura; l’ansia alimenta il risentimento e la rabbia, non aiuta la razionalità. Eppure, forse proprio la drammatica congiuntura che stiamo attraversando, la marginalizzazione di una professione che si è impoverita anche intellettualmente, le attuali prospettive negative che sembrano chiudere l’orizzonte, dovrebbero indurci a cercare di guardare anche più in là. Persuaderci a compiere uno sforzo di volontà progettuale e creativa. Sollecitarci verso un pragmatismo ideativo che si spinga al di là delle difficoltà contingenti. Convincerci che si possa e si debba vedere anche oltre gli ostacoli del momento per offrire la visione di un domani possibile (da inventare e da costruire, è vero, ma non è già stato fatto in passato dopo devastanti rovine e lutti?), che torni a consegnare il destino nelle nostre mani. Ecco allora che, non solo il congresso di Bari, ma ogni occasione di riflessione, dibattito, confronto (e di scontro, perché no? Se franco e aperto può contribuire a chiarire e migliorare le idee) possono tornare ad essere quello che dovrebbero rappresentare: luogo fecondo di creazione di progetti, crogiuolo di idee, fucina di proposte. Pensiamo solo alla mediazione assistita e alle possibili linee di sviluppo, anche professionale, delle Adr ove correttamente gestite; alle svariate, piccole riforme sulle quali potremmo puntare per trovare nuovi sbocchi occupazionali, soprattutto per le giovani leve; alla stessa legge professionale, che, se finalmente approvata nonostante l’incombente scioglimento delle Camere (pur se insoddisfacente in più punti), potrebbe comunque costituire l’ossatura provare ad innestare una nuova avvocatura, più moderna e dinamica. Una professione aperta al futuro, pur nel rispetto della propria funzione; garante dei diritti, ma anche soggetto attivo dei cambiamenti sociali; capace e titolata a rivendicare la propria centralità sociale; finalmente in grado di rivendicare con orgoglio la coscienza e il prestigio del proprio ruolo, oggi drammaticamente smarriti. Questo, però, ad una condizione: che si sappia ritrovare una reale ed effettiva unità di intenti. Che, pertanto, abbiano a cessare polemiche e tatticismi; che ci si confronti riconoscendosi reciprocamente come legittime parti del medesimo corpo sociale; che venga posto termine a divisioni e lotte interne; che si rifugga da pratiche di potere, da gestioni accentratrici ed autocratiche; che si abbandonino le contrapposizione personali e “a prescindere”. Non è più tempo per dedicarsi al proprio, esclusivo orticello: c’è un grande campo che si può provare a coltivare assieme. Chi se la sentirà di dare l’esempio? Che si assumerà la responsabilità di raccogliere per primo una così grande, ma al tempo stesso affascinante, sfida? Che avrà il coraggio di chiudere con il passato e di aprirsi verso quello che, se ora può sembrare un sogno, potrebbe schiudere nuovi orizzonti per la professione ed inaugurare una nuova stagione di progresso dei diritti? Ricordando un celebre film di Frank Capra, ci sarà un Mr. Smith capace, prima di andare a Washington, di passare per Bari?
Fabio Sportelli (da Mondoprofessionisti del 21.11.2012)