Cass. Civ., sez. I, sent. 20.11.2012 n° 20385
Il nome "Andrea" può essere utilizzato anche per le donne. E' quanto ha stabilito la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza 20 novembre 2012, n. 20385.
Nella sentenza si precisa, innanzitutto, come iI diritto al nome costituisca "una componente essenziale dei diritti fondamentali della persona umana", in quanto rappresenta un elemento costitutivo dell'identità dell'individuo, consentendo un'identificazione immediata e riconoscibile del soggetto che lo porta, e, di conseguenza, "da ritenersi un attributo necessario ed ineludibile per lo sviluppo soggettivo e relazionale della personalità" (art. 2 Cost., art. 8 CEDU, art. 7 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea).
Il diritto alla scelta del nome, diversamente dagli altri diritti fondamentali, caratterizzati dal minimo comune denominatore dell'autodeterminazione, non viene esercitato dal soggetto cui il nome è imposto al momento della nascita o nella sua immediatezza, ma dal genitore o dai genitori che lo riconoscono, ponendosi il problema di un adeguato bilanciamento del diritto dei genitori alla scelta del nome secondo preferenze, modelli o tradizioni costituenti il bagaglio culturale familiare di riferimento, ed il rispetto della dignità personale che costituisce il criterio conformativo immanente ad ogni diritto fondamentale dell'individuo.
Il D.P.R. n. 396 del 2000 consente l'intervento correttivo del nome da parte dell'autorità statuale solo se esclusivamente preordinato alla tutela effettiva della dignità personale, in quanto direttamente e continuativamente condizionata dall'elemento dell'identità personale costituito dal nome.
L'art. 34 del D.P.R. del 2000, vieta l'imposizione di nomi ridicoli o vergognosi (del tutto coerentemente con il limite della Corte EDU dei nomi "inusitati"), mentre l'art. 35 introduce un ulteriore limite all'esercizio della scelta, costituito dalla corrispondenza del nome al sesso, al fine di escludere che un profilo d'indubbio rilievo della propria identità come il genere possa essere posto in dubbio o ingenerare ambiguità incidenti sul rispetto della dignità personale.
Secondo gli ermellini, la natura sessualmente neutra del nome Andrea, nella maggior parte dei paesi europei, nonchè in molti paesi extraeuropei, per limitarsi ad un ambiente culturale non privo d'influenze nel nostro paese, unita al riconoscimento del diritto d'imporre un nome di provenienza straniera al proprio figlio minore nei limiti del rispetto della dignità personale, così come definita nel D.P.R. n. 396 del 2000, non può che condurre ad una soluzione positiva della problematica, diretta ad ammettere, come già sostenuto dalla giurisprudenza di merito (per tutte si veda Corte d'Appello Brescia, sez. I civile, decreto 16 marzo 2012, n, 25), la possibilità che il nome Andrea possa essere attribuito ad una persona di sesso femminile.
Il nome Andrea, concludono i giudici di legittimità, "anche per la sua peculiarità lessicale, non può definirsi nè ridicolo nè vergognoso se attribuito ad una persona di sesso femminile, nè potenzialmente produttivo di un'ambiguità nel riconoscimento del genere della persona cui sia stato imposto, non essendo più riconducibile, in un contesto culturale ormai non più rigidamente nazionalistico, esclusivamente al genere maschile".
(Da Altalex del 27.11.2012. Nota di Simone Marani)