Cass. Pen., sez. VI, sent. 25.3.2014
n° 14013
La Sesta
Sezione della Corte di
Cassazione ha affermato, con un'interessante decisione, che la sentenza del
Consiglio Nazionale Forense che applica una sanzione disciplinare è esecutiva
dal giorno della notifica all'interessato e non già dalla notifica di un
successivo provvedimento - non previsto da alcuna norma - del Consiglio
dell'Ordine di appartenenza; ne consegue che l'avvocato che esercita, in
periodo di sospensione, l'attività forense, commette il reato di cui all'art.
348 c.p.
Il
tema affrontato dalla Cassazione con la pronuncia in esame è quello della
legittimità dell’esercizio della professione forense da parte di un legale che,
raggiunto dalla sanzione disciplinare della sospensione dall’Albo degli
avvocati, continui a svolgere la professione, ritenendo che detta sanzione
disciplinare diverrebbe esecutiva non già al momento della notificazione
all'interessato dalla sentenza emessa dal Consiglio Nazionale Forense, ma
soltanto a seguito dell'iniziativa del Consiglio dell'Ordine al quale il
professionista è iscritto, Consiglio che, ricevuta dal C.N.F. la comunicazione
della sentenza, dovrebbe fissare la decorrenza della sanzione disciplinare e,
quindi, notificarla all'interessato. La Corte, disattendendo la prospettazione difensiva,
ha dichiarato però inammissibile il ricorso.
Il
fatto
La
vicenda processuale che ha fornito l’occasione alla Corte per occuparsi della
questione trae origine dalla sentenza emessa in appello che confermava la
condanna di un avvocato per il reato di abuso esercizio della professione, per
avere, benché colpito dalla sanzione disciplinare della sospensione
dall'esercizio della professione di avvocato, esercitato abusivamente detta
professione per un periodo di 8 mesi.
Il
ricorso
Contro
la sentenza di condanna presentava ricorso l’interessato, sostenendo, in
particolare, per quanto qui d’interesse, che la sanzione disciplinare
diverrebbe esecutiva non già al momento della notificazione all'interessato
dalla sentenza emessa dal Consiglio Nazionale Forense, ma soltanto a seguito
dell'iniziativa del Consiglio dell'Ordine al quale il professionista è
iscritto, Consiglio che, ricevuta dal C.N.F. la comunicazione della sentenza,
dovrebbe fissare la decorrenza della sanzione disciplinare e, quindi, notificarla
all'interessato.
La
decisione della Cassazione
La
tesi difensiva è stata però respinta dalla Cassazione che ha confermato la
legittimità della condanna.
Per
meglio comprendere l’approdo dei giudici di legittimità, è opportuno un breve
inquadramento della questione. Occorre, a tal proposito, ricordare che l’art. 1
del Regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (in Gazz. Uff., 5 dicembre,
n. 281), convertito in legge 22 gennaio 1934, n. 36 (in Gazz. Uff., 30 gennaio
1934, n. 24), stabilisce che «Nessuno può assumere il titolo, né esercitare le
funzioni di avvocato se non è iscritto nell'albo professionale. Conservano
tuttavia il titolo quegli avvocati che, dopo averne acquistato il diritto, sono
stati cancellati dall'albo per una causa che non sia di indegnità. La
violazione della disposizione del primo comma di questo articolo, quando non
costituisca più grave reato, è punita, nel caso di usurpazione del titolo di
avvocato, a norma dell'art. 498 del codice penale, e, nel caso di esercizio
abusivo delle funzioni, a norma dell'articolo 348 dello stesso codice».
L’abusivo
esercizio di una professione è punito con la reclusione fino a sei mesi o con
la multa da euro 103 a
euro 516. Lo commette chiunque eserciti una professione per la quale è
richiesta una speciale abilitazione dello Stato, e non l’abbia ottenuta. Per
poter esercitare determinate professioni, come visto, la legge richiede la
necessaria iscrizione in appositi albi o elenchi. E’ lo Stato che, ovviamente,
vigila sull’accertamento dei requisiti per le iscrizioni in tali albi o elenchi
e sulla loro tenuta. Se si svolge, per quanto qui di interesse, la professione
di avvocato senza aver prima superato i previsti esami di Stato ed essersi
iscritti negli albi dei rispettivi Ordini di appartenenza, si commette il reato
di abusivo esercizio di una professione. E’ sufficiente la consapevole mancanza
del titolo che abilita all’esercizio della professione. Il reato c’è anche
quando la prestazione professionale sia stata resa del tutto gratuitamente e/o
anche con il consenso del destinatario. Il reato può essere commesso da
chiunque. E’ punito anche chi, pur avendo conseguito l’abilitazione
all’esercizio di una determinata professione, agevoli l’esercizio abusivo da
parte di qualcun altro.
Con
simili comportamenti, infatti, si fornisce un contributo determinante alla
commissione del reato da parte di un diverso soggetto. Perché sia configurato
il delitto di esercizio abusivo di una professione, non è necessario il
compimento di una serie di atti, ma è sufficiente il compimento di un’unica,
sola ed isolata prestazione che sia riservata ad una professione per la quale
l'ordinamento richiede una speciale abilitazione. Peraltro, l’errore sulla
legge che prevede l’iscrizione ad un albo o il conseguimento di un’abilitazione
per poter esercitare determinate professioni non cancella il reato né
giustifica il comportamento.
Tanto
premesso, nel caso in esame la sentenza impugnata confermava la condanna di un
avvocato per il reato continuato previsto dall'art. 348 c.p., per avere, benché
colpito dalla sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della
professione di avvocato, esercitato abusivamente detta professione per otto
mesi.
La
Cassazione, nel
dichiarare inammissibile il ricorso, ha disatteso la tesi prospettata
dall’imputato, ribadendo che la sentenza del C.N.F. che applica una sanzione
disciplinare è esecutiva dal giorno della notifica all'interessato e non già
dalla notifica di un successivo provvedimento - non previsto da alcuna norma -
del Consiglio dell'Ordine di appartenenza.
In
precedenza, nel senso che il reato è integrato anche nell'ipotesi in cui
l'agente, iscritto nel relativo albo, abbia compiuto attività professionale in
costanza di sottoposizione a provvedimento di sospensione adottato dai
competenti organi amministrativi (v., Cass. pen., Sez. 6, n. 20439 del
15/02/2007 - dep. 24/05/2007, P., in CED Cass., n. 236419, relativa a
fattispecie in tema di esercizio della professione forense; nello stesso senso,
v. Cass. pen., Sez. 6, n. 33095 del 04/07/2003 - dep. 05/08/2003, P.G. in proc.
L., in CED Cass., n. 226528, che ha ritenuto integrato il reato nel caso di un
avvocato sospeso dall’albo che si era limitato a presentare un'istanza al
pubblico ministero volta a sollecitare detto ufficio a richiedere
l'archiviazione nell'interesse di un imputato).
Esito
del ricorso
Dichiara
inammissibile, Corte d’appello di Trieste.
Precedenti
giurisprudenziali
Cass.
pen., Sez. VI, sentenza 24 maggio 2007, n. 20439.
Riferimenti
normativi
Art.
348, codice penale.
(Da Altalex del 1°
aprile 2014. Nota di Alessio Scarcella tratta da Il Quotidiano Giuridico
Wolters Kluwer)