Ai sensi dell’art. 598 c.p. «non sono
punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi
pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi
all’Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi ad un’autorità amministrativa, quando
le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo».
Il
comma 2 del citato articolo precisa che «il giudice, pronunciando nella causa,
può, oltre ai provvedimenti disciplinari, ordinare la soppressione o la
cancellazione, in tutto o in parte, delle scritture offensive e assegnare alla
persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale».
Per
l’applicabilità dell’esimente prevista dall’art. 598 c.p. occorre, quindi, che
le offese concernano l’oggetto della causa[1].
Trattasi
di una ipotesi speciale di non punibilità dei delitti contro l’onore costituita
dall’inerenza delle espressioni offensive all’attività delle parti e dei
difensori nell’ambito di procedimenti civili, penali e amministrativi, prevista
dall’art. 598 c.p.[2].
L’art.
598 c.p., menziona l’autorità giudiziaria e l’autorità amministrativa; anche il
giudice amministrativo deve essere qualificato “autorità giudiziaria”
(quantomeno a far tempo dalla istituzione, nel 1889, della 4^ sezione del
Consiglio di Stato, la cui natura giurisdizionale fu ribadita dalla L. 7 marzo
1907 n. 62); ne consegue che per “autorità amministrativa” non possa intendersi
il giudice amministrativo, ma l’autorità amministrativa “non giurisdizionale” e
tuttavia decidente nell’ambito del cc.dd. ricorsi amministrativi (gerarchico,
in opposizione, straordinario al Capo dello Stato).[3]
Se dagli atti difensivi si evince che le
offese riguardano in modo diretto ed
immediato l’oggetto di quella controversia, non è configurabile la responsabilita’ da atto
illecito in questione.
L’offesa
va tenuta distinta dall’accusa; e, mentre, per l’offesa formulata in una delle
occasioni di cui al ricordato art. 598 cp, l’offensore “non risponde”, essendo
operativa la causa di non punibilità, per l’accusa, l’accusatore non può che
assumere la responsabilità di quel che dice. Ovviamente, anche accusare –
specie se lo si fa per far valere un proprio diritto – è lecito, ma occorre che
l’accusa abbia fondamento o, almeno, che l’accusatore sia fermamente e
incolpevolmente (anche se erroneamente) convinto di ciò.[4]
Sono
sanzioni diverse, distinte ed autonome la cancellazione delle espressioni
offensive e il risarcimento del danno previsti
La
prima, che non ha alcuna finalità risarcitoria, ma attua un fine preventivo, di
polizia generale, impedendo l’immanenza di una causa di danno, e può essere
individuata senza la seconda e viceversa. L’insussistenza di alcun rapporto di
pregiudizialità fa sì che la sanzione del risarcimento del danno non è
subordinata alla preventiva cancellazione[5].
Anche
l’art. 598 c.p., così come l’art. 89 c.p.c. (applicabile solamente al giudizio
civile) contiene una norma posta a tutela dell’eccesso nell’esercizio del
diritto di difesa che si deve svolgere sempre in maniera civile e non deve
essere caratterizzata dall’intento di offendere inutilmente l’avversario[6].
Nella
forma e nel contenuto le espressioni difensive non debbono eccedere i limiti di
un civile esercizio del diritto di difesa e di critica e le espressioni
caratterizzate dall’intento di offendere la controparte costituiscono abuso di
quel diritto[7].
Non
devono sussistere ragioni, con riferimento alla natura e all’oggetto del
giudizio, per legittimare, nell’esercizio del diritto di difesa, le espressioni
offensive utilizzate, circostanza che si verifica quando si tratti di fatti
estranei al giudizio o superflui ai fini della decisione.
Le
espressioni diffamatorie devono essere oltre che superflue e ingiustificate ai
fini del ricorso, anche gravemente offensive, in quanto non limitate a
contestare la legittimità della domanda o delle difese, ma finalizzate a ledere
la sfera morale della controparte.
L’obbligo
del risarcimento del danno sussiste non solo nell’ipotesi in cui le espressioni
offensive non abbiano alcuna relazione con l’esercizio della difesa, ma anche
nell’ipotesi che esse si presentino come eccedenti le esigenze difensive,
superandosi in tal caso i limiti di correttezza e civile convivenza entro cui
va contenuta l’esplicazione della difesa in giudizio.
Occorre
accertare se la frase «scritti presentati» si riferisca anche ai documenti
prodotti in causa o solamente agli scritti difensivi formatisi nel corso del
giudizio; in particolare si tratta di accertare
io se tale norma si applichi anche agli scritti formatisi in epoca
antecedente al giudizio, ma successivamente prodotti.
Non
è possibile far derivare la non punibilità del comportamento offensivo in
giudizio dall’art. 51 c.p. in quanto il diritto di difesa non può giustificare
da solo un comportamento che implichi la violazione di un diritto altrui, senza
che una norma, (art. 598 c.p.), lo consenta.
Competente
ad accertare e liquidare il danno derivante dall’uso di espressioni offensive
contenute negli atti del processo, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., e’ lo stesso
giudice dinanzi al quale si svolge il giudizio nel quale sono state usate le
suddette espressioni. A tale competenza, tuttavia, e’ necessario derogare
quando il giudice non possa, o non possa piu’, provvedere con sentenza sulla
domanda di risarcimento, il che accade, in particolare, nei seguenti casi: A)
quando le espressioni offensive siano contenute in atti del processo di
esecuzione, che per tale sua natura non puo’ avere per oggetto un’azione di
cognizione e quindi destinata ad essere decisa con sentenza; B) quando siano
contenute in atti di un processo di cognizione che pero’, per qualsiasi motivo,
non si concluda con sentenza (come nel caso di estinzione del processo); C)
quando i danni si manifestino in uno stadio processuale in cui non sia piu’
possibile farli valere tempestivamente davanti al giudice di merito (come nel
caso in cui le frasi offensive siano contenute nella comparsa conclusionale del
giudizio di primo grado); D) quando la domanda di risarcimento sia proposta nei
confronti non della parte ma del suo difensore.[8]
Nel
caso in cui non sussista alcuno dei casi di deroga ora indicati), la domanda può essere proposta solo al Giudice innanzi al
quale si è svolto il giudizio nel quale
sono state usate le suddette espressioni. La domanda non può dunque essere proposta in un autonomo
giudizio.
Per
l’offesa arrecata dall’imputato al testimone appare, quindi, più validamente
invocabile la scriminante all’art. 598 c.p. che quella dell’ esercizio del
diritto di difesa ex art. 51 c.p.
Anche
l’esposto o segnalazione al competente Consiglio dell’ordine forense contenente
accuse di condotte deontologicamente e penalmente rilevanti tenute da un
professionista nei confronti del cliente denunciante, costituisce esercizio di
legittima tutela degli interessi di quest’ultimo, attraverso il diritto di
critica ( sub specie di esposto, art. 51 cod. pen.), per il quale valgono i
limiti ad esso connaturati – occorrendo, in primo luogo, che le accuse abbiano
un fondamento o, almeno, che l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente
(ancorché erroneamente ) convinto di quanto afferma – che se rispettati
escludono la sussistenza del delitto di diffamazione.[9]
Nel
caso in cui le espressioni offensive siano contenute in note inviate dal
lavoratore alla Commissione provinciale di conciliazione prevista dall’art. 410
c.p.c., l’esimente sussiste in quanto
l’attività svolta dinanzi a detta Commissione (cui è demandato dalla legge il
compito di operare il tentativo obbligatorio di conciliazione delle
controversie di lavoro) ha natura strumentale, essendo propedeutica a quella giudiziaria, posto che
essa deve essere obbligatoriamente esperita a pena di improcedibilità
dell’azione giudiziaria dinanzi al giudice del lavoro.[10]
Si
ritiene che se l’art. 598 c.p. trovi
applicazione non solo quando l’offesa sia arrecata durante il corso del
processo, dopo, cioè, che le parti si siano costituite davanti al giudice, ma
anche per le offese contenuti in atti antecedenti la proposizione del giudizio,
ma finalizzati alla proposizione dello stesso, come avviene, ad esempio, nel
giudizio amministrativo, qualora il successivo ricorso sia stato poi proposto,
con la produzione in giudizio d tali atti, avverso il silenzio rifiuto
dell’Amministrazione, presupposto e condizione del ricorso, i non essendo
lecito offendere impunemente un soggetto con una attività diffamatoria
finalizzata alla instaurazione del giudizio amministrativo.
Le
istanze inviate a terzi (generalmente organi della Pubblica Amministrazione,
successivamente prodotte dalla parte ricorrente sono finalizzate
all’instaurazione del giudizio avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione
e, quindi, fanno parte del procedimento, essendo state prodotte direttamente
dal ricorrente quale presupposto asseritamente legittimante del ricorso; eventuali offese contenute in tali scritti,
ove concernano in modo diretto e immediato l’oggetto della controversia davanti
al giudice amministrativo ed avendo rilevanza funzionale per le argomentazione
della tesi prospettata e per l’accoglimento della domanda proposta, possano
essere valutate dal Giudice amministrativo ai fini del risarcimento del danno
non patrimoniale, ai sensi del’art. 598, comma 2, c.p., valutando anche, quale
criterio risarcitorio, la eventuale infondatezza del ricorso ai fini della
superfluità e gratuità delle accuse.
Nel
caso, invece, in cui dovesse ritenersi che tale situazione non rientri
nell’ambito di operatività dell’art. 598 c.p. l’interessato ben potrebbe
chiedere al giudice civile il risarcimento danni per le espressioni
diffamatorie o calunniose contenute in tali scritti, con una tutela anch’essa
piena, ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c.
La Corte costituzionale con sentenza n. 380/1999 rileva come sia possibile un’interpretazione dell’art. 598
c.p. che rende compatibile la norma con i principi costituzionali, in un
contesto normativo, quello relativo all’oltraggio, ampiamente mutato ritenendo
che le offese contenute in discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori
dinanzi all’autorità giudiziaria e concernenti l’oggetto della causa non
differiscono, quanto alla condotta, a seconda che il destinatario delle
espressioni offensive sia una parte privata o il P.M., in quanto la finalità
perseguita dal legislatore non potrebbe essere efficacemente realizzata se la
portata dell’esimente fosse circoscritta in relazione ai soggetti destinatari
delle offese[11].
La Consulta ha, quindi, ritenuto non fondata la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 343 e 598 c.p. sollevata, in relazione
agli artt. 3 e 24 Cost., rispettivamente nella parte in cui prevedono che le
offese arrecate nel corso del dibattimento dal difensore al P.M. integrino il
reato di oltraggio a un magistrato in udienza e che la non punibilità,
stabilita per le offese contenute negli scritti o discorsi difensivi delle
parti o dei loro patrocinatori, si estenda anche per le offese verso il P.M. in
interventi del difensore nel corso di un’udienza penale[12].
Trattasi
di sentenza interpretativa di rigetto che propone un’interpretazione
innovativa, soprattutto per l’epoca in cui è intervenuta, dell’art. 598 c.p.,
in relazione all’art. 343 c.p., volta ad estendere l’ambito applicativo
dell’esimente, al caso in cui il destinatario delle espressioni offensive
contenute in discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori dinanzi
all’autorità giudiziaria e concernenti l’oggetto della causa sia una parte
privata ma anche nel caso in cui parte offesa
sia il P.M., al fine di garantire la parità di trattamento delle parti
processuali e il fondamentale diritto di difesa che, implicitamente, la Corte considera compromessi
dall’attuale assetto normativo[13].
Non
sembra giustificata un’interpretazione formalistica della nozione di decoro,
alla luce degli artt. 1 e 3 Cost., ove ritenuto non applicabile alle offese
rivolte al P.M,. alla luce del diritto costituzionale della libera espressione
del pensiero, nella quale ottica ben diverso è il caso della critica che è
anche espressione del diritto di difesa da quello dell’ attacco indiscriminato
alla giustizia (anche come forma di linguaggio contenutisticamente offensivo.
Non
basta quindi affermare che, se il prestigio viene conferito dalla costituzione
all’ordine giudiziario, è coerente dedurne la legittimità dell’ incriminazione
di colui che lo lede, dovendo tale principio essere subordinato di fronte ad
una espressione di critica motivata e conferente al procedimento nel quale
viene esercitato il diritto di difesa.
È
dubbio se l’art. 598 c.p. possa trovare applicazione con riferimento
all’arbitrato irrituale in forza della
inidoneità dell’art. 598 c.p. a consentire interpretazioni di tipo analogico
consegue alla sua caratterizzazione di norma eccezionale in quanto la ratio della norma è costituita dalla libertà di difesa mentre la procedura di arbitrato irrituale si svolge
su un piano negoziale e privatistico, pertanto non riconducibile alla nozione
tecnica di procedimento per il quale solo la difesa è garantita ai sensi dell’
art. 24, comma 2, Cost.[14].
Non
dovrebbero sussistere più limitazioni alla applicazione dell’art. 598 c.p.
anche all’arbitrato irrituale dopo la
riforma dell’arbitrato, di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che ha
introdotto l’art. 808 ter, c.p.c., che,
per l’arbitrato irrituale e fa
testualmente riferimento al comma 2°,
par. 1, all’obbligo degli arbitri di pronunciarsi nei limiti delle conclusioni
delle parti, e al comma 2°, par. 5), evidenzia l’obbligo di rispettare il
principio del contraddittorio fra le parti,
evidenziandosi, pur nel quadro contrattuale di questo tipo di arbitrato,
l’esigenza di tutelare il diritto a una congrua difesa.
Non
commette, invece, oltraggio a pubblico ufficiale il difensore che si rivolga al
testimone, durante la sua escussione dibattimentale, con espressioni offensive,
quanto il testimone stesso, con il suo riprovevole comportamento, vi abbia dato
causa.
Non
trova applicazione l’art. 598 c.p. neanche in relazione alle offese contenute
negli scritti o discorsi proposti nel corso di procedimento davanti all’
autorità giudiziaria o amministrativa dal consulente tecnico di parte.
La
posizione del consulente non è assimilabile a quella del difensore: la causa di
non punibilità a quest’ultimo riconosciuta ha carattere eccezionale e non è
pertanto passibile di interpretazione analogica.
Potrebbe
anche sostenersi, in senso contrario che
poiché il consulente di parte si configura nella struttura del processo quale
elemento d’integrazione dell’ufficio della difesa e al medesimo possa esser
riconosciuta l’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art.
598 c.p.[15].
Domenico Chindemi (da
leggioggi.it del 2.4.2014)
______________
[1] Sul tema cfr.,
Corbetta, Frasi calunniose contenute nella comparsa di risposta in un giudizio
civile, in Dir. pen. proc., 2006, 48; D’Arcangelo, Le offese al datore di
lavoro contenute nella memoria difensiva giustificano il licenziamento?, in
Riv. it. dir. lav., 2007, 941.
[2] Analizza la
speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 598 c.p. Cerqua, Delitti
contro l’onore e immunità giudiziale, in Giud. pace, 2011, 267; Id.,
Diffamazione, immunità giudiziale e diritto di critica, ivi, 2010, 178.
[3] Cass. Pen. sez.,
V,15 aprile 2011, n.28081
[4] Cass. Pen. sez.,
V,15 aprile 2011, n.28081
[5] Cass. civ., 26
luglio 2002, n. 11063.
[6] Cipolla, In tema
di offese in scritti destinati all’autorità giudiziaria, in Cass. pen., 2003,
904-906.
[7] Cfr. Cass., 14
marzo 1981, n. 1430. Sull’etica e deontologia professionale dell’avvocato,
Cerri, Linguaggio e discriminazione. I compiti delle istituzioni forensi, in
Osservatorio sul rispetto dei diritti fondamentali in Europa
(www.europeanrights.eu) 2011, Newsletter n. 28.
[8]Cass., 3 marzo
2010, n. 5062; Cass. 9/07/2009 n. 16121
[9] Cass. Pen. sez.,
V,15 aprile 2011, n.28081, in applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la
decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto sussistente il delitto di
diffamazione, escludendo l’applicabilità dell’art. 598 cod. pen., ed ha
affermato, in tal caso, l’operatività della causa di giustificazione di cui
all’art. 51 cod. pen., beninteso sussistendo i limiti ad essa inerenti.
[10] Cass. Pen., sez.
V, 7 luglio 2011, n.48544
[11] Per un commento
alla sentenza interpretativa della Corte cost. n. 380/1999, Marandola,
L’esimente delle opinioni difensive opera anche per l’oltraggio a magistrato in
udienza, in Studium iuris, 1999, 1430.
[12] Sull’offesa
arrecata all’onore del pubblico ministero d’udienza anche alla luce delle nuove
norme sul giusto processo e la funzione processuale dell’art. 598 c.p.,
Bartolo, Parità delle parti e oltraggio di un pubblico ministero in udienza, in
Indice pen. 2001, 837-853.
[13] Ritengono che
sarebbe stata preferibile una pronuncia interpretativa di accoglimento che
escludesse l’estensione dell’immunità giudiziale all’oltraggio ed imponesse una
modifica legislativa del testo legislativo con l’introduzione dell’espressa
estensione dell’immunità giudiziaria all’art. 343 c.p., Tandura-Tonion,
Sull’oltraggio arrecato dal difensore al P.M. in udienza: nuovi aspetti
giuridici conseguenti alla sentenza 380/1999 della Corte Costituzionale, in
Riv. pen., 1999, 1082-1085.
[14] Scarna è la
dottrina la riguardo, si segnala sul tema Pisani, Sull’ applicabilità dell’
art. 598 c.p. in materia di arbitrato, in Indice pen., 1981, 131-132.
[15] In tal senso
Rampioni, Osservazioni sulle offese contenute negli scritti dei consulenti
tecnici di parte, in Cass. pen., 1980, 642-644.