Cass. Sez. III Pen., Sent. 13.2.2014, n.7058
La Corte di Cassazione ha stabilito che, allo stato attuale e
in assenza di una regolamentazione normativa, il sistema di trasmissione degli
atti attraverso posta elettronica certificata (PEC) non può essere utilizzato
nel processo penale. Unico sistema rimane il deposito degli atti nella
cancelleria del Tribunale.
Diversamente
da quanto avviene nel processo civile, in quello penale la comunicazione e la
notificazione degli atti dagli uffici giudiziari agli avvocati e agli ausiliari
del giudice non può avvenire con l’utilizzo di strumenti telematici o mediante
indirizzo di posta elettronica, seppur certificata.
Nel
caso di specie, il difensore della parte imputata in un processo penale aveva
rivolto istanza di rinvio per legittimo impedimento a comparire all’udienza
fissata per la trattazione del processo d’appello, inviando una e-mail con
indirizzo di posta privato alla cancelleria della Corte d’appello. Aveva,
inoltre, depositato l’atto presso la cancelleria del tribunale il giorno prima
della data di tale udienza.
I
giudici della Corte territoriale non avevano valutato l’istanza di rinvio del
difensore, pronunciando, secondo il ricorrente, una sentenza viziata da nullità
assoluta. Avverso tale decisione, la parte ha proposto ricorso in Cassazione.
I
giudici di legittimità hanno accolto il ricorso, affermando un importante
principio di diritto processuale. Innanzitutto, i giudici hanno ritenuto
inammissibile l’istanza di rinvio dell’udienza trasmessa a mezzo di posta
elettronica, a fortiori se si considera che il difensore della parte aveva
utilizzato un indirizzo di posta elettronica privato, dunque non certificato e,
di conseguenza, non riconosciuto dalla legge.
Ciò
nonostante il legale aveva comunque depositato l’atto presso la cancelleria del
tribunale, rendendo conoscibile lo stesso attraverso le modalità previste dalla
legge. Il comportamento dei giudici di merito, che non avevano considerato tale
istanza di rinvio dell’udienza, era da censurare per il fatto di non aver preso
in considerazione non la comunicazione a mezzo di posta elettronica, ma quella
effettuata tramite il deposito.
Ciò
vizia la sentenza di nullità, ragione per cui la Suprema Corte ha
cassato la sentenza impugnata, rinviando gli atti alla Corte territoriale, in
diversa composizione, per un riesame nel merito.
Secondo
quanto osservato dai giudici della Cassazione, il legislatore ha espressamente
previsto forme alternative di comunicazione solo nel processo civile: l’articolo
366, comma 2, del codice di procedura civile (modificato dalla legge 12
novembre 2011, n. 183) ha introdotto espressamente la PEC quale strumento utile per
le notifiche degli avvocati autorizzati. Inoltre, la legge 17 dicembre 2012, n.
221 (c.d. Decreto crescitalia 2.0) prevede all’articolo 16, comma 4, che:
“Nei
procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della
cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di
posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque
accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche
regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione
dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona
diversa dall’imputato a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 2 bis, artt. 149 e
150 c.p.p. e art. 151 c.p.p., comma 2. La relazione di notificazione è redatta
in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria”.
Ne
consegue, pertanto, che per la parte privata, nel processo penale, l’uso di
tale mezzo informatico di trasmissione non è – allo stato – consentito quale
forma di comunicazione e/o notificazione.
(Da filodiritto.com del
22.4.2014)