Cass.
Civ., SS.UU., sent. 7.4.2014 n° 8057
Il
difensore che abbia svolto attività di assistenza, anche soltanto formale, a
favore di entrambi i coniugi nel procedimento di separazione è considerato
difensore di entrambi i coniugi anche in assenza di una prova del conferimento
formale dell'incarico. L'assistenza, anche solo formale, a favore di entrambi i
coniugi nel corso del giudizio di separazione è sufficiente per far scattare il
divieto sancito dall'art. 51, primo canone, del codice deontologico forense del
17 aprile 1997, divieto ora ripresto dall'art. 68, quarto comma, del codice
deontologico forense attualmente vigente.
In
questa sentenza le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono ritornate su un
tema di particolare rilievo in ambito deontologico, ossia il divieto per il
difensore dei coniugi nel procedimento di separazione consensuale di assistere
uno dei coniugi in successivi procedimenti relativi ai medesimi rapporti
familiari; divieto espressamente stabilito dall’art. 51, primo canone, del
codice deontologico forense del 1997 (ora testualmente ripresto dall'art. 68,
quarto comma, del nuovo codice deontologico forense). Nello specifico, le
Sezioni Unite hanno affermato che tale divieto opera anche nel caso in cui
l'avvocato abbia svolto attività di assistenza solo formale nei confronti di
entrambi i coniugi (ad esempio, ricevendoli entrambi in studio e assistendoli
in udienza); e ciò pure in mancanza di una prova effettiva del conferimento
materiale dell’incarico da parte di uno dei due coniugi.
Sommario
Il fatto
La domanda
La decisione delle Sezioni Unite
La decisione in sintesi
Il
fatto
La
vicenda presa in esame dalle Sezioni Unite è piuttosto ricorrente nella pratica
forense. Si tratta del caso assai diffuso in cui due coniugi, separatisi
consensualmente con l’assistenza di un solo difensore (spesso avvocato di
fiducia di uno dei coniugi), entrano in disaccordo successivamente alla
separazione e uno dei due si rivolge all’avvocato che li aveva assistiti in
fase di separazione per farsi tutelare.
La
domanda
Il
quesito esaminato prima dal Consiglio Nazionale Forense e poi dalle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione ha ad oggetto essenzialmente la definizione
della nozione di “assistenza congiunta” rilevante ai fini del divieto di cui
all’art. 51 c.d.f. del 1997 (ora art. 68 nuovo c.d.f.). In particolare, il
problema riguarda la configurabilità di tale attività di assistenza anche ove,
pur mancando la prova del conferimento formale dell’incarico da parte di uno
dei coniugi, il difensore abbia comunque svolto attività nell’interesse di
entrambi i coniugi.
La
decisione delle Sezioni Unite
In
primo luogo, è doveroso precisare come la Corte di cassazione non abbia preso espressamente
posizione sul punto. Il ricorso proposto dall’avvocato incolpato nei confronti
della decisione emessa dal Consiglio Nazionale Forense a suo carico, infatti, è
stato dichiarato inammissibile; in particolare, l’unico motivo di ricorso,
proposto ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (nella versione risultante a
seguito delle modifiche apportate dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83,
convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) è stato ritenuto
inammissibile in quanto tendente al riesame del merito della decisione.
All'inammissibilità del ricorso è anche conseguita la condanna del ricorrente
al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi
dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/2002, come inserito dall’art.
1, comma 17, della legge n. 228/2012.
Tuttavia,
le Sezioni Unite, in via meramente incidentale, hanno comunque svolto alcune
interessanti considerazioni in merito al divieto sancito dall’art. 51 c.d.f.
Del 1997, nella sostanza aderendo all’interpretazione fornita dal Consiglio
Nazionale Forense.
Già
nel 2006 le Sezioni Unite erano intervenute in materia affermando espressamente
che tale divieto prevede un obbligo assoluto di astensione, fondato
sull'esigenza di garantire la massima tutela possibile agli alti interessi in
gioco nella materia del diritto di famiglia, e che la disposizione contenuta
nella predetta norma ha carattere speciale rispetto alla disciplina generale in
tema di conflitto di interessi (contenuta nel comma primo dell'art. 37 del
vecchio codice deontologico forense).
In
particolare, le Sezioni Unite, avallando l'orientamento già emerso nella
giurisprudenza disciplinare, avevano rilevato come, nel caso di controversie in
materia di diritto di famiglia, la valutazione della sussistenza della
situazione di conflitto sia operata direttamente dalla stessa norma; da ciò
ovviamente consegue la limitazione del giudizio dell'interprete al mero
accertamento del fatto costitutivo di quell'effetto, senza alcuna possibilità
di indagine in ordine alla natura reale o meramente potenziale della situazione
di conflitto di interessi.
In
effetti, nel caso qui esaminato si discuteva proprio dell'esatta individuazione
del fatto costitutivo del presupposto di applicazione della norma ossia della
definizione della nozione di “assistenza congiunta”. Stando a quanto risulta
dalla sentenza, nel caso di specie risultava che il difensore accusato della
violazione dell'art. 51 del vecchio c.d.f. avesse sentito entrambi i coniugi
nel proprio studio e avesse partecipato all'udienza presidenziale del
procedimento di separazione consensuale; non risultava, invece, il conferimento
formale dell'incarico professionale, quantomeno da parte del coniuge nei
confronti del quale il medesimo avvocato aveva poi promosso un nuovo giudizio
nell'interesse dell'altro coniuge.
Le
Sezioni Unite hanno incidentalmente avallato la tesi espressa dal Consiglio
Nazionale Forense, secondo cui il presupposto dell'assistenza congiunta risulta
essere integrato dal semplice svolgimento di attività nell'interesse di
entrambi i coniugi, quand'anche avvenuta a livello solamente formale (come
appunto nel caso di audizione in studio di entrambi i coniugi e di
partecipazione all'udienza presidenziale). La Suprema Corte, al
pari del Consiglio Nazionale Forense, ha quindi ritenuto del tutto irrilevante
la mancanza di un espresso conferimento di incarico professionale da parte di
uno dei coniugi, così di fatto respingendo la tesi difensiva; nel corso del
giudizio disciplinare l'avvocato incolpato pare aver sostenuto di aver
assistito soltano un coniuge e che l'altro, pur avendo deciso di separarsi
consensualmente, aveva scelto di non farsi seguire da alcun difensore.
La
posizione assunta dal Consiglio Nazionale Forense e dalle Sezioni Unite è in
linea di massima condivisibile, anche se con qualche riserva. Da un lato, la
rigidità dell'orientamento espresso sembra motivata dal condivisibile intento
di evitare facili “aggiramenti” del divieto previsto dal codice deontologico (e
questo, leggendo tra le righe, sembra essere avvenuto nel caso esaminato nella
sentenza annotata, in cui i giudici non paiono essere realmente convinti
dell'assenza del conferimento dell'incarico). Dall'altro, la soluzione accolta
risulta eccessivamente rigida; fino a quando il legislatore non chiarirà il
problema, da sempre incerto, dell'assistenza tecnica nei procedimenti camerali
in materia di separazione e divorzio, non pare potersi escludere in assoluto
che un coniuge voglia difendersi da solo e che in tale veste tratti con il difensore
dell'altro coniuge così da addivenire a una separazione consensuale.
La
decisione in sintesi
Esito
della domanda
Dichiara
inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a versare un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater,
del D.P.R. n. 115 del 2002, come inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n.
228/2012.
Precedenti
giurisprudenziali:
Cass. civ., sez. un., sentenza 10 gennaio
2006, n. 134;
Consiglio Nazionale Forense, sentenza 15 ottobre
2012, n. 149;
Consiglio Nazionale Forense, sentenza 21
ottobre 2010, n. 90;
Consiglio Nazionale Forense, sentenza 13
settembre 2005, n. 105;
Consiglio Nazionale Forense, parere 22
maggio 2013, n. 56.
Riferimenti
normativi:
art. 51, primo canone, del codice
deontologico forense del 1997 (ora testualmente ripresto dall'art. 68, quarto
comma, del nuovo codice deontologico forense).
(Da Altalex del
18.4.2014. Nota di Paolo Comoglio tratta da Il Quotidiano Giuridico Wolters
Kluwer)