Per il settore risparmi stimati per
30-35 milioni
Passa
anche per un restyling della legge Pinto la cura dimagrante degli stanziamenti
alla Giustizia, prevista con la legge di Stabilità e stimata in 30-35 milioni
di euro. L’articolo 56 introduce una serie di paletti per chiedere l’indennizzo
da irragionevole durata del processo (civile, penale, amministrativo,
contabile) e fissa il minimo (400 euro) e il massimo (800 euro) degli importi
che lo Stato è tenuto a liquidare per ogni anno, o frazione di anno superiore a
sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo (somme
diminuite del 20 o 40% quando le parti del processo sono, rispettivamente, più
di 10 o di 50). Una stretta, insomma. Non solo. L’articolo 43 (che riduce una
serie di spese dei ministeri) taglia invece le indennità dovute a giudici di
pace, giudici onorari aggregati, giudici onorari di Tribunale e viceprocuratori
onorari, «in modo da assicurare risparmi non inferiori a 6.650.275 euro per il
2016 e a 7.550.275 euro a decorrere dal 2017». Ridotto, poi, di 4 milioni il
Fondo per la mobilità del personale amministrativo, che dovrebbe consentire di
coprire entro fine anno 1.031 posti e altri 2mila nel 2016 (su un totale di
9mila scoperture).
Sarà
dunque meno facile chiedere il risarcimento del danno per l’eccessiva durata
dei processi; il che forse consentirà di ridurre anche l’enorme mole delle
cause-Pinto pendenti presso le Corti d’appello, la cui durata è spesso
“irragionevole”.
Costituisce
infatti condizione di ammissibilità per la domanda di «equa riparazione» l’aver
esperito i «rimedi preventivi» all’irragionevole durata del processo, previsti
dal nuovo articolo 1 bis della legge. Nel civile, ad esempio, bisognerà aver
chiesto di passare dal rito ordinario a quello sommario entro l’udienza di
trattazione o, comunque, almeno 6 mesi prima che sia decorso il termine di
ragionevole durata (3 anni in primo grado e in altrettanti in appello). Così
nel penale, è previsto che le parti possono depositare l’istanza di
accelerazione sempre sei mesi prima della scadenza del termine ragionevole (3
anni in primo grado; due in appello) o due mesi prima se il giudizio è in
Cassazione.
Strada
sbarrata al risarcimento, quindi, se il «rimedio preventivo» non è stato
esperito correttamente e anche in un’altra serie di casi, tra cui «l’abuso dei
poteri processuali che abbia determinato un’ingiustificata dilazione dei tempi
del procedimento». Inoltre, si introduce una serie di ipotesi in cui «si
presume insussistente, salvo prova contraria, il pregiudizio da irragionevole
durata del processo». E tra queste figura anche l’intervenuta prescrizione del
reato, limitatamente all’imputato, poiché si presume, appunto, che se
l’eccessiva durata ha portato alla prescrizione, quest’ultima rappresenti già
un vantaggio per l’imputato. Adempiuti vari obblighi di documentazione previsti
dalla nuova disciplina, entro sei mesi lo Stato dovrà pagare, «ove possibile»,
per intero, ma «nei limiti delle risorse disponibili sui pertinenti capitoli di
bilancio».
La
norma transitoria ovviamente esclude dall’obbligo del «rimedio preventivo»
(condizione di ammissibilità della domanda di indennizzo) i processi in corso
nei quali, al 31 ottobre 2016, non ci sia più il tempo utile per esperirlo.
Donatella Stasio (da Il
Sole 24 Ore del 19.10.2015)