La sentenza del Consiglio nazionale
forense
sul principio della tendenziale
tipizzazione
Sanzioni precise e comportamenti sempre
classificati
Il
comportamento illecito dell'avvocato va sempre classificato e sanzionato con
precisione. Anche se l'illecito disciplinare non è espressamente previsto dal
codice deontologico. Lo chiarisce una sentenza del Cnf (n. 137/2015 depositata
il 18 settembre scorso), che ha definito alcuni passaggi tra il vecchio e il
nuovo codice con riguardo al principio della «tendenziale tipizzazione» degli
illeciti disciplinari contenuto nella legge professionale. In particolare, il
riferimento è all'art. 3, comma 3 della legge n. 247/2012, secondo il quale
l'illecito non può essere classificato esclusivamente come fatto tipico
astratto e non può nemmeno essere limitato alle sole ipotesi previste dal
codice deontologico. Tale sistema misto, afferma il Cnf, è regolato dall'insieme
delle norme che dettano principi utili per circoscrivere il perimetro
ordinamentale all'interno del quale deve essere ricostruito l'illecito
disciplinare non tipizzato definendo la sua configurazione, la sua portata e le
conseguenze che ne derivano, anche in assenza dell'espressa previsione della
condotta e dell'indicazione della relativa sanzione. Il riferimento è a norme
di natura primaria (artt. 3 c. 3, 17 c .1, e 51 c. 1 della legge 247/2012) e di
natura secondaria (artt. 4 c. 2, 20 e 21 del codice deontologico). Tali fonti
normative e regolamentari, si legge nella sentenza, «sono idonee a consentire
la coesistenza, nell'ambito disciplinare, della matrice tipica con quella
atipica dando certezza di criteri precisi, non derogabili, nonaleatori e non discrezionali
che permettono di avere in ogni caso piena contezza della incolpazione e delle
sue conseguenze e che, senza necessità di operare alcuna trasmigrazione di
norme penali, assicurano nell'ambito disciplinare quella garanzia che altrove è
data dalla tipicità penalistica». «L'approccio del nuovo codice deontologico al
problema della individuazione della sanzione», continua la sentenza, «ha dovuto
quindi essere coerente con tale impostazione riservando al garantismo
un'attenzione che non avrebbe potuto, comunque, prescindere dall'ineludibile
apporto della copiosa e consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito
formatasi negli anni». Il Cnf richiama poi la sentenza delle sezioni unite
della Cassazione (n. 9057/2009), secondo la quale «in tema di illeciti
disciplinari, stante la stretta affinità delle situazioni, deve valere il
principio in tema di norme penali incriminatrici a forma libera, per le quali
la predeterminazione e il criterio dell'incolpazione viene validamente affidato
a concetti diffusi e generalmente compresi nella collettività in cui il giudice
disciplinare opera». Tali concetti diffusi «fanno parte del diritto
disciplinare e devono essere utilizzati per classificare e sanzionare quei
comportamenti illeciti non espressamente previsti dal codice
deontologico».
Gabriele Ventura (da
Italia Oggi del 7.10.2015)