MASSIMA
Edilizia
– opere abusive – acquisizione patrimonio comunale – sindaco quale ufficiale di
governo – nullità testuale e strutturale – rilevabilità d’ufficio
C.G.A. per la Regione Siciliana,
Parere 14.1. 2014, n. 267 (Est. e Rel. Cons. Antonino Lo Presti)
Il
potere in base al quale l’Amministrazione comunale ha disposto l’acquisizione
delle opere edilizie abusive, già interessate da ordine contingibile ed urgente
di demolizione per essere state realizzate coprendo una parte di torrente, è
viziato da sviamento di potere e inesistenza della causa, per essere stato
esercitato per finalità diverse da quelle per le quali è stato conferito, e di
conseguenza l’atto emanato è nullo.
Le
opere abusive di copertura del torrente, infatti, non minacciano l’integrità
urbanistica, bensì la pubblica incolumità e la sicurezza, di talché il Sindaco
avrebbe dovuto dar seguito all’ordine inizialmente impartito, con i medesimi
strumenti predisposti all’uopo dall’ordinamento in materia di protezione
civile, idonei a legare il potere esercitato all’atto emanato e al fine
perseguito.
Secondo
il pacifico indirizzo giurisprudenziale, trattandosi di potere affidato (e già
esercitato prima facie) al Sindaco in qualità di Ufficiale di Governo, nel caso
di specie si configura il difetto dei requisiti essenziali dell’atto emanato,
rendendosi applicabile l’art. 21 septies, Legge 241/90, nelle figure
sintomatiche della nullità testuale e strutturale, sanzione quella della
nullità, rilevata dal Collegio d’ufficio.
NOTA
A PARERE C.G.A. N. 267 DEL 14 GENNAIO 2014
La
pronuncia che si annota, resa dalle Sezioni Riunite del Consiglio di Giustizia
Amministrativa per la
Regione Siciliana con Parere n. 267 del 14.01.2014 (relatore
ed estensore, Cons. Antonino Lo Presti), è rilevante per la disamina affrontata
in tema di nullità del provvedimento amministrativo rilevabile d’ufficio dal
giudice amministrativo.
Il
fatto
Il
fatto trae origine da un’ordinanza contingibile ed urgente resa dal Sindaco in
materia di abusivismo edilizio, ma finalizzata alla tutela della pubblica
incolumità, emessa, quindi, in qualità di Ufficiale di Governo cui competono le
funzioni in materia di protezione civile, in conseguenza dell’accertamento
dell’esecuzione di opere edilizie realizzate senza titolo e consistenti nella
copertura di un tratto di torrente per ricavarne un cortile di pertinenza di
una privata abitazione.
Accertata
l’opera abusiva, il Sindaco emetteva a carico degli interessati ordinanza per
la demolizione del manufatto. Detta ordinanza veniva gravata per l’annullamento
da ricorso straordinario, e rimaneva pertanto ineseguita.
Successivamente,
verificata la mancata esecuzione dell’ordine demolitorio impartito, l’Autorità
comunale, in persona del dirigente compente, emetteva una successiva ordinanza,
con cui disponeva l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale del manufatto
abusivamente realizzato, ai sensi dell’art. art. 7, L. n. 47/1985 (la cui
pedissequa riproduzione all’interno dell’art. 31 del D.P.R. 380/01, comporta la
sostanziale continuità del dettato legislativo).
Avverso
l’ordinanza di acquisizione gratuita gli interessati hanno proposto ricorso
straordinario “per motivi aggiunti” al ricorso già pendente avverso l’ordine
demolitorio precedente, contestando una serie di violazioni di legge e
procedurali a carico del provvedimento avversato, tipiche dei vizi sintomatici
degli atti amministrativi.
Il
C.G.A., nel valutare il ricorso straordinario sottoposto al proprio esame, ha
colto le peculiarità distintive del potere esercitato dall’Amministrazione
comunale nell’ambito specifico delle finalità di tutela dell’assetto
urbanistico ed edilizio del territorio – regolato dal d.P.R. n. 380/2001 –
rispetto a quello differente di cui all’Ordinamento degli Enti Locali, espresso
attraverso il potere esercitato dal Sindaco quale Ufficiale di Governo nella
prevenzione di pericoli per la pubblica incolumità – come nel caso di specie è
il rischio idrogeologico che potrebbe derivare dall’alterata funzionalità di un
torrente a causa della mancata rimozione di opere abusive di copertura.
Di
talché, le Sezioni Riunite del massimo Consesso amministrativo siciliano hanno
dichiarato d’ufficio la nullità dell’ordinanza oggetto di impugnazione, poiché
hanno ritenuto che il Sindaco avesse “usato il potere che la legge gli
attribuisce (repressione dell’abuso edilizio per garantire l’incolumità e la
sicurezza pubblica), per raggiungere uno scopo pur sempre pubblico ma diverso
da quello stabilito (acquisizione gratuita al patrimonio), alterando, di fatto,
il nesso eziologico che lega la fonte del potere esercitato e la causa tipica
dell’atto che risulta così ‘sviata’ e stravolta rispetto all’interesse pubblico
(incolumità e sicurezza) che in origine si intendeva tutelare”.
Le
questione giuridiche
Prima
di addentrarci negli aspetti di maggiore interesse del parere in esame, pare
opportuno spendere alcune parole sulle molteplici questioni giuridiche trattate
(ordine di demolizione e acquisizione gratuita, e poteri del Sindaco quale autorità
locale o ufficiale di governo), e sugli strumenti a disposizione dell’Autorità
comunale in materia di repressione dell’abusivismo, diversificando a seconda
che si tratti di attività connessa al controllo edilizio, ovvero dell’attività
connessa alla prevenzione od eliminazione di pericoli che minacciano
l’incolumità dei cittadini.
L’interesse
pubblico, ovvero dell’ordinamento, alla repressione dell’abusivismo edilizio è
in re ipsa.
Differenti
sono, tuttavia, le ragioni e, di conseguenza le modalità di esercizio del
potere repressivo, a seconda del “nesso eziologico che lega la fonte del potere
esercitato e la causa tipica” del diverso abuso edilizio, in quanto
diversificate sono le fonti che si sono succedute in materia.
In
materia di vigilanza edilizio-urbanistica, sia l’art. 4 della L. n. 47/1985,
inserito nell’art. 27 del Testo Unico dell’Edilizia, D.P.R. n. 380/2001, che
l’art. 7 della L. n. 47/1985, confluito nell’art. 31 del d.P.R. cit.,
evidenziano come, accertata l’assenza di idoneo titolo edilizio o la difformità
da esso delle opere eseguite, dopo l’adozione da parte dell’Autorità di un
ordine demolitorio, l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune è
conseguenza che si produce ex lege per il solo effetto della mancata spontanea
esecuzione dell’interessato. Da ciò scaturisce una prima conseguenza:
l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, quale ulteriore sanzione
edilizia, è un atto dovuto, privo di qualsivoglia contenuto discrezionale, che
non può essere contestato se non per vizi suoi propri.
Ricorrendo
tale caso, il provvedimento amministrativo tipico previsto dalle su richiamate
leggi è l’ordinanza, poiché attraverso tale atto è impartito l’ordine di
demolizione delle opere accertate come abusive. Essa non va esente dalle
guarentigie procedimentali all’uopo previste affinché al privato sia data la
possibilità di partecipare a quelle attività di rilevamento fattuale che
preludono alla valutazione circa l’adozione dell’ordine di demolizione,
trattandosi di atto recante effetti potenzialmente lesivi della sfera
giuridica. Infine, la competenza all’emanazione dell’ordinanza di demolizione,
dopo la riforma dell’ordinamento degli enti locali, è del dirigente competente
a ciò delegato “a monte” dal Sindaco.
In
taluni casi, l’abusivismo edilizio interseca differenti interessi “pur sempre
pubblici”, per i quali l’ordinamento mette a disposizione poteri differenti,
qual è il caso delle ordinanze di protezione civile come nella fattispecie.
Si
tratta dei provvedimenti d’urgenza, che al pari delle altre categorie di
provvedimenti amministrativi, rappresentano strumenti offerti alla pubblica
amministrazione per produrre autoritativamente modificazioni nella sfera dei
diritti soggettivi nei confronti dei destinatari cui sono rivolte.
Questa
tipologia di provvedimenti, proprio in quanto svincolati dal consenso dei
soggetti cui sono diretti, devono trovare copertura (e quindi legittimità)
dalla finalità attribuita loro dalla legge, consistente, in ultima analisi,
nella tutela dell’interesse pubblico e, nel caso di specie, la tutela
dell’incolumità e della sicurezza dei cittadini.
In
buona sostanza, tali strumenti attribuiscono all’autorità (il Sindaco nel caso
che c’impegna), un generale potere extra ordinem che si espande in ambito
locale e trovano la loro regolamentazione nel Testo Unico Enti Locali, in
specie nell’art. 54 (attribuzioni del Sindaco nei servizi di competenza
statale): “il Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e
nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, provvedimenti
contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che
minacciano l’incolumità dei cittadini; per l’esecuzione dei relativi ordini può
richiedere al Prefetto, ove occorra, l’assistenza della forza pubblica”).
L’OEL
non specifica con contorni precisi le materie in cui il potere sindacale può
dispiegarsi, ancorché, trattandosi di poteri affidati al Sindaco in qualità di
ufficiale di governo, si desume debbano riguardare i profili di pericolosità
intrinseca per la pubblica incolumità e sicurezza relativamente a sanità,
igiene, edilizia e polizia locale.
La
giurisprudenza amministrativa concorda nel rilevare che “se è vero che nella
nozione di incolumità dei cittadini può includersi anche il caso di minaccia
grave e attuale alla incolumità di soggetti privati che si verifichi
esclusivamente entro ambiti di proprietà privata, senza riflessi diretti sulla
pubblica incolumità, vale a dire senza che il pericolo minacci anche aree di
pubblico transito e accesso, è altresì vero che, in siffatte, eccezionali
evenienze, il pericolo deve presentare una consistenza e una evidenza
particolarmente gravi e univoche, tali in definitiva da non consentire neppure
la prosecuzione dell’uso o dell’abitazione dello spazio o del volume di
pertinenza privata interessato dallo stato di pericolo, sì da giustificare
piuttosto lo sgombero, e non il mero ordine di esecuzione dei lavori”.
Nel
caso, quindi, in cui mediante attività privata si siano realizzati manufatti
privi di titolo abilitativo in area soggetta a pericolo idrogeologico, ferma
restando l’iniziale confluenza (o prevalenza) della disciplina edilizia –
sfociante nell’emissione di ordinanza di demolizione e rimessione in pristino
dell’area torrentizia occupata da opere abusivamente realizzate – a fronte
dell’inerzia del privato il prosieguo del potere amministrativo deve essere
esercitato in conformità della “causa” tipica del fenomeno che si vuole
arginare, con la quale sono perseguiti autonomi interessi pubblici con valenza
sostanziale e non meramente formale.
Pertanto,
ove il potere che la legge attribuisce all’Autorità per reprimere gli abusi
edilizi con finalità di garanzia dell’incolumità e della sicurezza pubblica,
sia utilizzato per raggiungere uno scopo (e cioè l’acquisizione gratuita al
patrimonio) diverso da quello prestabilito, si “altera” l’equilibrio che deve
collegare il binomio “fonte del potere-causa dell’atto”, che viene in tal modo
a caducarsi.
La
linea di demarcazione è molto sottile, dunque, il parere in esame spicca
maggiormente per l’acume con cui ha colto la patologia del provvedimento
avversato e, ravvisata l’originaria inidoneità dell’atto a produrre effetti, e
ne ha dichiarato d’ufficio la nullità.
La
nullità del provvedimento amministrativo e l’art. 21 septies della L. n. 241
del 1990.
Prima
della novella apportata dalla L. n. 15 del 2005 alla L. n. 241 del 1990,
l’annullabilità costituiva lo stato viziato più ricorrente nell’ambito del
diritto amministrativo, mentre alla nullità era riservato un ruolo marginale,
circostanza che rendeva la legge sul procedimento amministrativo una “legge
imperfetta”.
La
svolta in senso riformista della disciplina sul procedimento amministrativo, ha
avvicinato sempre più l’ambito del diritto amministrativo al diritto comune.
Ciò ha influito anche sulla patologia dei provvedimenti amministrativi, per i
quali, mutuando dalle norme del codice civile (in particolare gli articoli 1325
e 1418), sono stati delineati in modo più marcato i requisiti dalla cui
mancanza o illiceità o indeterminabilità si ha la nullità.
In
termini generali, solo l’atto conforme al suo paradigma normativo, produce
effetti giuridicamente riconosciuti e tutelati. Per contro, la difformità
dell’atto al diritto, determina, a seconda della gravità, la sanzione della
nullità – che opera automaticamente – o dell’annullabilità – che richiede,
invece, l’intervento giudiziale.
È
noto come la nullità costituisca il più marcato stato patologico invalidante in
cui può versare un provvedimento amministrativo, poiché si configura quando
l’atto manchi di qualcuno degli elementi essenziali che lo compongono.
L’art.
21 septies della novellata L. n. 241 del 1990 ha stabilito che sono
cause di nullità del provvedimento amministrativo la mancanza di elementi
essenziali, il difetto assoluto di attribuzione, la violazione o elusione del
giudicato, nonché le altre cause di nullità previste dalla legge.
Il
primo comma dell’art. 21 septies, prevede la nullità strutturale dell’atto, per
cui “ è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi
essenziali”.
In
dottrina è stata individuata una interessante partizione dei casi di nullità
individuati dal legislatore: ricorre, in particolare, la nullità c.d.
“strutturale”, quando difettano i requisiti essenziali dell’atto amministrativo,
vale a dire se vi sia mancanza, impossibilità o illiceità di uno degli elementi
essenziali del negozio, la nullità c.d. “testuale o nominativa”, nei casi in
cui si ravvisi violazione di una norma sanzionata con la nullità dalla legge, e
la nullità c.d. “virtuale”, per violazione di norme imperative, ovvero quando
l’atto si ponga in contrasto con una norma che, seppure non colleghi alla
propria violazione la nullità, sia da ritenere imperativa, con la conseguente
applicazione dell’art. 1418, primo comma, c.c..
Il
C.G.A., nel caso di specie, ha ravvisato nel provvedimento sottoposto al suo
vaglio la nullità sub specie “strutturale”, ovvero ha ritenuto difettare i
requisiti essenziali dell’atto (causa, oggetto, soggetto, forma). Al
provvedimento amministrativo avversato ha dunque applicato la disciplina
riguardante gli stati patologici del negozio privatistico, collegando l’entità
della sanzione alla patologia stessa, applicando le regole processuali
sull’actio nullitatis, fra cui la rilevabilità d’ufficio.
L’introduzione
dell’istituto della “nullità strutturale” nel diritto amministrativo, non va
esente comunque da problematiche interpretative in ragione del fatto che, da un
lato, non sono definiti, a livello generale, gli elementi essenziali del
provvedimento, e dall’altro lato, la struttura del provvedimento amministrativo
ha peculiarità proprie, armoniche con l’esercizio della funzione amministrativa
radicata nella norma, da cui trae la propria essenza ed il proprio fine.
La
decisione delle Sezioni Riunite del C.G.A
Il
giudice amministrativo siciliano, prescindendo dunque dalle censure di parte,
ha rilevato d’ufficio la nullità.
Fermo
restando che occorre prestare attenzione a non sconfinare “extra o ultra
petita”, sanzionando un vizio più grave di quello richiesto dalla parte, con la
decisione che si annota il giudice relatore ha riconosciuto nell’atto emanato
dal Sindaco un potere a questi conferito in qualità di organo dello Stato, “per
finalità completamente diverse da quelle che di regola perseguono le
amministrazioni a tutela dell’assetto edilizio e urbanistico del territorio”, e
per tale ragione il provvedimento è stato “scrutinato tenendo in non cale
alcuno dei criteri di valutazione ordinariamente seguiti nell’analisi dei vizi
degli atti amministrativi, adottati nell’ambito specifico degli atti di
controllo e di sanzione dei fenomeni tipici di abusivismo edilizio”.
Egli,
dunque, ha posto al centro del giudizio “la validità dell’atto impugnato in
rapporto alle sue determinazioni fenomenologiche ed in specie alle finalità da
esso perseguite, in esecuzione del potere di cui l’Amministrazione risulta
investita”, evidenziando come dalla lettura del provvedimento impugnato
emergesse che “il potere in base al quale l’Amministrazione procedente ha
disposto l’acquisizione delle opere abusive, non trova fondamento in alcuna
delle norme che conferiscono ai Sindaci la potestà di vigilanza sull’attività
urbanistico edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza
alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizione degli strumenti
urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nella concessione o nella
autorizzazione, come previsto dall’art. 4, L. n. 47/85, ss.mm.”.
Un
potere diverso, dunque. “Invero, le opere abusive (…) gravano sull’assetto idrogeologico
della zona considerata”, poiché dalla copertura di parte del torrente ne deriva
la compromissione del “normale deflusso dell’acqua” con necessità di eliminare
mediante il corretto uso del potere pubblicistico, il “rischio per l’incolumità
delle persone”.
Pertanto,
se il potere di ordinanza contingibile ed urgente era stato correttamente
utilizzato dal Sindaco per la rimessa in pristino, egli “avrebbe dovuto dare
seguito a quel provvedimento con i mezzi messi a disposizione dall’ordinamento
generale (esecuzione in danno) e da quello specificamente introdotto dalle
ordinanze di protezione civile richiamate in quell’atto, e rimuovere senza
indugio (…) le opere che mettono a rischio l’incolumità e la salute pubblica”.
Al
contrario, il Sindaco “ha usato il potere che la legge gli attribuisce (…) per
raggiungere uno scopo, pur sempre pubblico, ma diverso da quello stabilito,
alterando, di fatto, il nesso eziologico che lega la fonte del potere
esercitato e la causa tipica dell’atto, che risulta così ‘sviata’ e stravolta
rispetto all’interesse pubblico (incolumità e sicurezza) che in origine si
intendeva tutelare”.
Il
giudice ha così ravvisato nel provvedimento avversato lo sconfinamento “dai
limiti oggettivo-causali”, sia sotto il profilo dello sviamento di potere, sia
sotto il correlato profilo di inesistenza della causa, e di conseguenza
l’assenza degli elementi essenziali, rilevando d’ufficio la nullità dell’atto
in quanto ha inteso lo “sviamento di potere come un vero e proprio difetto
della causa”, riconducibile alla sanzione della nullità strutturale di cui
all’art. 21 septies, primo comma, della L. n. 241/90.
Antonella Trentini (da filodiritto.com)