Non
più solo la toga. Solo diversificando i settori di attività, e quindi facendo
della specializzazione un fiore all’occhiello, gli avvocati riusciranno a
uscire indenni (o quasi) dalla crisi. Oggi gli iscritti alla Cassa di
previdenza sono saliti oltre quota 223mila, l’esame per l’accesso all’albo è
ogni anno affollato, la conseguenza è una concorrenza agguerrita a danno di
molti. Non è un caso, rileva la
Cassa di previdenza, che molti professionisti non più in
grado di pagare i contributi previdenziali minimi (circa 2mila euro l’anno),
siano stati costretti ad autosospendersi dall’ordine per congelare il pagamento
dei contributi previdenziali obbligatori.
Crisi
a parte, la responsabilità - dicono gli addetti ai lavori - è in parte anche
della stessa avvocatura. Secondo i numeri del primo rapporto Censis sulla
professione, infatti, il 70% degli avvocati resta ancorato al classico studio
singolo, si occupa solo di attività giurisdizionale e non considera attività
diverse come quella di consulenza (svolta dal 30%), di mediazione o di
arbitrato (5%). Così come non è stata capace di guardare oltre alle
tradizionali materie: solo il 3% di legali si occupa di diritto societario e
l’1% in diritto internazionale.
«Ora
dobbiamo adeguarci al mercato - ha spiegato il presidente di Cassa forense,
Nunzio Luciano - e possiamo farlo in due modi: specializzandoci e associandoci.
Ecco perché come Cassa di previdenza abbiamo lanciato un’iniziativa per formare
mille giovani avvocati di tutta Italia in tre materie di sviluppo per la
professione: il diritto fallimentare, la negoziazione assistita e la legge 231.
Bisogna creare una selezione di qualità attraverso la specializzazione: penso
al diritto europeo, a quello internazionale fino al diritto tributario. Tanti
filoni che, per la loro peculiarità, sono lasciati troppo spesso ai grandi
studi internazionali».
Dunque
addio all’avvocato tuttofare, d’ora in poi sarà la specializzazione a disegnare
il professionista del futuro. Con nuove regole già scritte nel decreto
ministeriale (144/2015, di attuazione della legge di riforma forense 247/12) da
seguire per chi vuole fregiarsi del titolo di specialista. Diciotto le aree di
specializzazione individuate dal decreto: dal diritto di famiglia alla
proprietà, dal diritto industriale a quello fallimentare fino al diritto
dell’Unione europea.
Una
spinta alla specializzazione assecondata anche dall’annunciato restyling dei
futuri corsi di laurea in giurisprudenza, fermi dal 2005 al ciclo unico di
cinque anni. Due le strade per la futura formazione accademica: da una parte
con un tradizionale modello del “3+2”
in cui scenderà il numero dei crediti formativi vincolati dalle previsioni
nazionali e si creeranno ambiti più ampi all’interno dei quali lo studente
potrà costruire il proprio percorso di studi, dall’altra con un modello del “4+1” finalizzato all’iscrizione
agli albi professionali appunto, con un numero programmato previsto per
l’ultimo anno.
Benedetta Pacelli (da
Il Sole 24 Ore del 9.11.2015)