Trib. Roma, sentenza 13.7.2014
Nel
mese di luglio 2014 sono stati emessi due importanti provvedimenti
giurisdizionali che hanno affrontato e risolto allo stesso modo una questione
molto interessante che è sorta a seguito dell'entrata in vigore delle regole
del processo telematico, avuto riferimento in particolar modo al deposito
telematico degli atti processuali (per essere più precisi endoprocessuali).
Sia
il Tribunale di Roma (con pronuncia del 13 luglio 2014) che il Tribunale di
Livorno (sentenza 25 luglio 2014), infatti, hanno dovuto affrontare in sede di
ricorso per la concessione del decreto ingiuntivo la questione della validità
degli atti depositati in formato pdf-immagine.
Tale
problematica diventa complessa in quanto il legislatore non affronta
direttamente la questione, che peraltro non poteva essere oggetto nemmeno della
normativa generale di gran lunga precedente all’avvento del processo
telematico. Ergo, come accade spesso, quando ci si trova, in sede processuale,
di fronte a nuove questioni sorte a seguito dell’introduzione di strumenti
tecnologici, non può che essere l’organo giurisdizionale preposto a risolvere
le stesse facendo ricorso a principi di carattere generale ed ai provvedimenti
attualmente esistenti.
In
effetti sia il Tribunale di Roma che quello di Livorno sono giunti alla
medesima conclusione attraverso un inevitabile excursus normativo che ha
chiarito in modo esauriente l’intera vicenda.
In
entrambi i casi i ricorsi depositati non sono atti nativi digitali ottenuti
mediante la trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le
operazioni di selezione e copia di parti, ma sono files ottenuti mediante la
scansione di immagini.
Dopo
un’analisi dell’attuale normativa entrambi i Tribunali sostengono, che tali
documenti di carattere informatico, così ottenuti, non sono in realtà
rispondenti alle regole vigenti.
Difatti:
l’art 16, comma 4, D.L. n. 179/2012
convertito nella L. n. 221/2012 dispone che: «a decorrere dal 30 giugno 2014,
per il procedimento davanti al tribunale di cui al libro IV, titolo I, capo I
del codice di procedura civile, escluso il giudizio di opposizione, il deposito
dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha luogo esclusivamente
con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare
concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti
informatici ...»;
l’art 4, comma 1, D.L. n. 193/2009,
convertito nella L. n. 24/2010, dispone che: «con uno o più decreti del
Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica
amministrazione e l’innovazione, sentito il Centro nazionale per l’informatica
nella pubblica amministrazione e il Garante per la protezione dei dati
personali, adottati, ai sensi dell’articolo 17 comma 3, della legge 23 agosto
1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto, sono individuate le regole tecniche per
l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti
dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni »;
l’art 11, comma 1, D.M. n. 44/2011
chiarisce che: «L'atto del processo in forma di documento informatico è privo
di elementi attivi ed è redatto nei formati previsti dalle specifiche tecniche
di cui all'articolo 34; le informazioni strutturate sono in formato XML,
secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34, pubblicate
sul portale dei servizi telematici»;
l'art. 12, comma 1, del Provvedimento 16
aprile 2014 del Responsabile per i Sistemi Informativi Automatizzati del
Ministero della Giustizia, contenente le Specifiche tecniche previste dall'articolo
34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011,
n. 44, dispone che:
«L’atto
del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente
all’ufficio giudiziario, rispetta i seguenti requisiti:
a) è in formato PDF;
b) è privo di elementi attivi;
c) è ottenuto da una trasformazione di un
documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di
parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini;
d) è sottoscritto con firma digitale o
firma elettronica qualificata esterna secondo la struttura riportata ai commi
seguenti;
e) è corredato da un file in formato XML,
che contiene le informazioni strutturate nonché tutte le informazioni della
nota di iscrizione a ruolo, e che rispetta gli XSD riportati nell’Allegato 5;
esso è denominato DatiAtto.xml ed è sottoscritto con firma digitale o firma
elettronica qualificata».
Di
conseguenza, alla luce di tale quadro normativo, appare evidente che la
soluzione adottata dai ricorrenti non può essere condivisa in quanto norme di
carattere secondario ed in particolar modo l’art. 12, comma 1, del
provvedimento del 16 aprile 2014, nel richiamare la normativa principale, si
attengono a regole piuttosto rigide che non ammettono la scansione di immagini.
Ovviamente
una volta accertata la violazione di tali regole, entrambi i Tribunali si
preoccupano di individuare con precisione le conseguenze giuridiche di tale
violazione prendendo le mosse dall’art. 121 del c.p.c. secondo cui «Gli atti
del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono
essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo».
Tale
norma ha dunque codificato, come principio cardine del sistema processuale, il
principio di obbligatorietà delle forme legali: là dove il legislatore ha
previsto il rispetto di una determinata forma, il rispetto della forma imposta
influisce sulla capacità dell’atto di produrre gli effetti giuridici: solo,
infatti, rispettando la forma prevista dall’ordinamento giuridico l’atto è
valido ed efficace, ovvero in grado di produrre i suoi effetti. In altri
termini, il principio di libertà delle forme, pure previsto dalla norma sopra
trascritta, ha portata residuale, così che, in concreto, trova applicazione
solo in casi o per modalità marginali.
Lo
scopo dell’atto processuale telematico diviene, prima d’ogni altro, quello di
inserirsi, in modo efficace, in una sequenza intrinsecamente assoggettata alle
regole tecniche che impongono l’adozione di particolari formati. Ci si trova su
di un terreno fortemente tecnologico dove non sono ammesse eccezioni di sorta.
Lo stesso art. 20 del Codice dell’Amministrazione digitale (d.lgs. n. 82/2005),
a proposito del documento informatico, è piuttosto chiaro in tal senso.
Ma
il Tribunale di Livorno approfondisce ancora di più la questione in quanto
ritiene che l’accertamento del mancato rispetto di una forma legale, quale
quella imposta nel caso di specie, non è di per sé sufficiente a far concludere
che l’atto sia nullo. Stabilisce infatti l’art 156 c.p.c. che: «Non può essere
pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se
la nullità non è comminata dalla legge. Può tuttavia essere pronunciata quando
l'atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello
scopo. La nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo
scopo a cui è destinato».
A
questo punto occorre domandarsi se, nel caso di specie, l’atto così redatto e
depositato abbia i requisiti formali a indispensabili per raggiungere lo scopo
suo proprio.
Anche
in tal caso la risposta non può che essere negativa poiché il rispetto delle
regole tecniche (quali ad esempio quella sui formati ammessi dei files degli
allegati) ha lo scopo di rendere tali atti immediatamente intelligibili a tutti
gli attori del processo, così come la norma che impone che l’atto del processo
sia un .pdf ottenuto mediante la trasformazione di un documento testuale ha lo
scopo di rendere l’atto navigabile ad ogni attore del processo e dunque quello
di consentire l’utilizzo degli elementi dell’atto, senza la necessità di
ricorrere a programmi di riconoscimento ottico dei caratteri, detti OCR. Se
così è, la redazione dell’atto processuale in formato .pdf, ottenuto mediante scansioni
per immagini, non è idoneo a raggiungere lo scopo dell’atto e dunque deve
essere dichiarato nullo ai sensi dell’art. 156, comma 2, c.p.c.
A
conferma di tale conclusione bisogna aggiungere che in seguito a tali pronunce
è intervenuto, di recente, l’art. 52 della Legge n. 114/2014 il quale nello
stabilire che «il difensore, il consulente tecnico, il professionista delegato,
il curatore ed il commissario giudiziale possano estrarre con modalità
telematiche, duplicati, copie analogiche o informatiche degli atti e dei
provvedimenti ed attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti
atti contenuti nel fascicolo informatico chiarisce che è necessario, che il
duplicato del documento informatico deve essere prodotto mediante processi e
strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso
sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza
di bit del documento informatico di origine, confermando la rigidità della
normativa in tale settore».
(Da Altalex
dell’1.10.2014. Nota di Michele Iaselli tratta da Il Quotidiano Giuridico
Wolters Kluwer)