Cass. VI Sez. Pen. 3.10.2014, n. 41192
Commette
reato il padre che registra le telefonate dei figli minorenni. Spiare le loro
conversazioni telefoniche non può essere mai giustificato neppure dall'esercizio
del diritto/dovere di vigilare su di loro.
È
quanto afferma la Corte
di Cassazione con nella sentenza numero 41192/2014 che ha confermato una
condanna per il reato di cui all'articolo 617 del codice penale inflitta dai
giudici di merito a un uomo separato che aveva registrato le conversazioni tra
la ex consorte e i figli.
La tesi dell'imputato
L'imputato
ha tentato di difendersi davanti alla Corte sostenendo che il reato in
contestazione non poteva essere applicato al caso di specie dato che i figli
non possono considerarsi "altre persone" dato che non possono
sottrarsi ai doveri di vigilanza che competono a un genitore.
Nel
ricorso aveva anche evidenziato che il suo comportamento non avrebbe avuto
carattere fraudolento avendo precedentemente avvertito la moglie della sua
intenzione di registrare le telefonate.
Un
altro motivo di gravame era il mancato riconoscimento della scriminante di cui
all'articolo 51 del codice penale (l'aver agito nell'esercizio di un diritto o
nell'adempimento di un dovere).
A
suo dire infatti egli avrebbe dovuto controllare le telefonate dei figli perché
soggetti a influenze negative da parte della madre.
Cosa ha detto la Corte
Secondo
la Cassazione
però nessuna delle doglianze può essere considerata meritevole di accoglimento
e ha evidenziato che l'art. 617 del codice penale "tutela la libertà e la
riservatezza delle comunicazioni telefoniche o telegrafiche contro la
possibilità di indiscrezioni, interruzioni o impedimenti da parte di terzi. In
particolare il diritto alla riservatezza della comunicazione o della
conversazione implica la possibilità di escludere altri dalla conoscenza del
contenuto della medesima e coerentemente la norma incriminatrice menzionata
punisce in tal senso anche la condotta di colui che invece ne prenda cognizione
senza il consenso dei titolari".
Nella
parte motiva della sentenza i giudici della Corte chiariscono inoltre che,
contrariamente a quanto affermato dall'imputato nel ricorso, anche i figli
minorenni vanno considerati come soggetti "altri" rispetto al padre e
gli obblighi di vigilanza del genitore non possono legittimare la condotta
tenuta dall'imputato dato che non esiste una vera e propria immedesimazione tra
padre e figlio.
La Corte ha poi ritenuto irrilevante la circostanza che
l'imputato avesse preventivamente avvisato la madre della sua intenzione di
registrare le telefonate perché tale informazione non equivale a quella in cui
i soggetti intercettati siano resi partecipi dell'interferenza al momento della
conversazione.
Perché non è applicabile la scriminante
di cui all'art. 51 c.p.
I
giudici di piazza Cavour evidenziano da ultimo che l'esimente di cui all'art.
51 del codice penale non appare applicabile alla fattispecie.
La
scriminante spiega la Corte,
"sussiste solo se il fatto penalmente illecito sia stato effettivamente
determinato dalla necessità di esercitare il diritto o di adempiere il
dovere". Ma l'art. 51 c.p. non può "trovare applicazione in quei casi
in cui detta necessità non ricorre". E comunque "il diritto/dovere di
vigilare sulle comunicazioni del minore da parte del genitore" non
giustifica "indiscriminatamente qualsiasi illecita intrusione nella sfera
di riservatezza del primo" ma "solo quelle interferenze che siano
determinate da una effettiva necessità, da valutare secondo le concrete
circostanze del caso e comunque nell'ottica della tutela dell'interesse
preminente del minore e non già di quello del genitore".
(A.V., da studiocataldi.it
del 7.10.2014)