Cass. Civ., Sez. III, 19.12.2013, n.
28469
La questione.
L’articolo
31, legge 392/1978 prevede delle sanzioni a carico del locatore che non
adibisce tempestivamente l’immobile all’uso che costituisce il motivo in base
al quale aveva ottenuto il rilascio dell’immobile stesso.
Se
il locatore non rispetta tale termine, non per sua inerzia ma perché i lavori
di ristrutturazione si sono protratti per un periodo di tempo eccessivo,
risponde ugualmente delle conseguenze stabilite dalla suddetta norma?
Premessa.
Dalla
sentenza in rassegna emerge che il comportamento posto in essere in violazione
del citato art. 31, integra gli estremi della responsabilità per inadempimento,
la quale si colloca nell’ambito del quadro normativo delineato dagli artt. 1176
e 1218 c.c.. Le sanzioni previste dall’art. 31 possono consistere o nel
ripristino del contratto o nel risarcimento del danno a favore del conduttore.
Invece,
per potersi sottrarre alla predetta responsabilità, il locatore deve dimostrare
che l’immobile è stato adibito in ritardo, non per un comportamento doloso o
colposo del locatore stesso, bensì per “esigenze, ragioni o situazioni
meritevoli di tutela”, così come emerge dal testo della sentenza in discorso.
L’onere della prova grava dunque sul locatore.
Il fatto.
Il
proprietario dell’appartamento concesso in locazione a B. P. – per uso non
abitativo – ottiene la disponibilità di tale immobile in forza del
provvedimento di rilascio pronunciato dal Pretore di Parma. Il motivo, in base
al quale tale provvedimento viene emanato, è la destinazione dell’appartamento
in discorso all’uso abitativo del figlio del proprietario.
A
distanza di alcuni anni, però, il Sig. B.P. si accorge che in realtà l’immobile
non è stato destinato al suddetto uso. Per tale ragione ricorre al Tribunale di
Parma per sentir condannare il proprietario al risarcimento del relativo danno,
così come previsto dal già menzionato art. 31, L. 392/1978. La domanda
viene accolta, e successivamente confermata dalla Corte d’appello di Bologna.
Può
essere interessante evidenziare il rilievo che la Corte territoriale
conferisce al certificato anagrafico ed alla intestazione delle utenze. Ed è
proprio sulla base di
tali
elementi, infatti, che la stessa Corte, valutandoli alla stregua del quadro
normativo inerente alla “prova per presunzioni”, e preso altresì atto che non
vi sono prove contrarie, giunge poi a decidere “che al momento della proposizione
del ricorso del B., il figlio del locatore M. non abitava ancora
nell’immobile”.
Il giudizio in cassazione.
Il
proprietario presenta ricorso per cassazione lamentando violazione e falsa
applicazione dell’art. 31, co. 1,
L. 392/1978. In estrema sintesi, il locatore
(proprietario) sostiene che il mancato rispetto del termine di sei mesi
previsti dallo stesso art. 31, è dovuto al fatto che l’immobile non poteva
essere subito destinato all’uso abitativo del figlio, perchè bisognava prima
eseguire degli “importanti lavori di ristrutturazione”.
In
secondo luogo, il ricorrente evidenzia che l’edificio rientra nella fattispecie
disciplinata dalla L. 1 giugno 1939, n. 1089 con la conseguenza che, per poter
legittimamente effettuare delle modifiche, era prima necessario ottenere
“l’autorizzazione della competente Autorità”. In effetti, il relativo progetto
era stato presentato entro i sopramenzionati sei mesi previsti dall’art. 31 il
quale, secondo il ricorrente, sarebbe stato comunque rispettato perchè la richiesta,
per l’autorizzazione ad eseguire le ristrutturazioni, era in effetti stata
presentata entro il suddetto termine. La Corte di cassazione, però, decide che tale
(unico) motivo non è fondato. In particolare, il giudice di legittimità precisa
che il proprietario ha ottenuto la restituzione dell’immobile per destinarlo
all’ uso abitativo del figlio, e non per eseguire opere di ristrutturazione.
Invero, si tratta di due ipotesi distinte, entrambe disciplinate dal suddetto
29, della L. 392/1978 rubricato, appunto “Diniego di rinnovazione del contratto
alla prima scadenza”. Per la precisione, alla lett. a) è previsto il motivo
consistente nell’ “Adibire l’immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei
parenti entro il secondo grado in linea retta”. Alla lett. d) è invece previsto
quello consistente nel “ristrutturare l’immobile al fine di rendere la
superficie dei locali adibiti alla vendita conforme a quanto previsto
nell’articolo 12 della legge 11 giugno 1971, n. 426 e ai relativi piani
comunali, sempre che le opere da effettuarsi rendano incompatibile la
permanenza del conduttore nell’immobile”.
Dunque,
abitazione e ristrutturazione sono due dei distinti motivi elencati dal
sopraindicato art. 29.
Il
locatore che vuole validamente manifestare il diniego della rinnovazione del
contratto alla prima scadenza deve, nella disdetta, indicare almeno uno dei
motivi previsti da tale norma.
La Corte rimane così conforme al suo precedente orientamento
(Cass.: 2684/1991, n° 6462/2000, n° 23296/2004, n.° 11014/2011), e ribadisce
che l’art. 31 non prevede una responsabilità oggettiva, ma una presunzione che
può essere superata dal locatore se riesce a provare in concreto la presenza di
una “giusta causa meritevole di tutela”, non riconducibile ad un suo
comportamento doloso o colposo.
Ma
la Corte decide
che “nulla di ciò è stato dimostrato dal M.”.
Il
giudice di legittimità muove dall’accertamento svolto dalla Corte d’appello di
Bologna, secondo la quale “al momento della proposizione del ricorso il figlio
del locatore non risultava ancora abitare nell’immobile come univocamente
desumibile dal certificato anagrafico e dall’intestazione delle utenze, oltre
che dalla mancanza di qualsiasi emergenza probatoria”, per giungere poi alla
decisione che il locatore non ha provato di aver rispettato il termine dei sei
mesi previsti dall’art. 31, della L. 392/1978.
In
particolare, il ricorrente sostiene che i lavori si sono protratti “fino a due
o tre anni prima”. Ed è per tale ragione che non ha potuto rispettare il
termine previsto dal sopra citato art. 31.
La Corte di cassazione decide che il protrarsi del lavori è
un fatto irrilevante in quanto il ricorso è stato presentato con molto ritardo,
per la precisione sei anni dopo il rilascio dell’immobile, e dunque l’esisto
della decisione non cambierebbe comunque.
La
corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese.
Marcello Pugliese (da
diritto.it del 18.6.2014)