Trib. Firenze, sez. III civ., sent.
17.3.2014
Va
accolta la richiesta di condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. qualora si ravvisi
l’elemento soggettivo della mala fede in capo alla parte che, anziché recepire
l’invito della controparte che avrebbe potuto condurre ad una soluzione del
problema, abbia preferito adire il Tribunale. La condanna ex art. 96 c.p.c. può
essere infatti legata al comportamento tenuto non solo nella fase prettamente
processuale, ma anche in quella della mediazione e, in particolare, al fatto
che la parte non si presenti (senza giustificarsi) in mediazione e che abbia
poi agito in giudizio pur nella consapevolezza dell’infondatezza delle tesi
sostenute. Inoltre, qualora le parti non abbiano partecipato personalmente alla
procedura di mediazione ed i difensori delegati alla loro rappresentanza
abbiano manifestato al mediatore la mera volontà dei deleganti di non
procedere, il tentativo di mediazione non risulta ritualmente condotto a
termine.
I
legami tra mediazione e processo civile appaiono sempre più stringenti.
Tra
i vari ambiti nei quali ciò emerge con maggiore evidenza vi è quello relativo
alla c.d. responsabilità processuale aggravata, con particolare riferimento al
disposto di cui all'art. 96, comma 3 c.p.c.
In
particolare, una pronuncia di merito del dicembre 2013[1], ha statuito che va
accolta la richiesta di condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. qualora si ravvisi
l’elemento soggettivo della mala fede in capo ad una delle parti la quale,
“anziché recepire l’invito della controparte che avrebbe potuto condurre ad una
soluzione del problema, abbia preferito adire il Tribunale”.
Ciò
in quanto – precisa la pronuncia in parola – detto comportamento si pone in
un’ottica conflittuale decisamente lontana dalla nuova prospettiva nella quale,
anche alla luce della recente reintroduzione con il c.d. decreto del fare della
mediazione obbligatoria[2], appare muoversi il legislatore negli ultimi tempi.
Il
giudice precisa altresì al riguardo che tale nuova prospettiva attribuisce al
difensore un ruolo centrale, prima ancora che nel giudizio, nell’attività di
mediazione delle controversie; prospettiva che tende sempre di più ad
individuare nel ricorso al Tribunale l’“extrema ratio per la soluzione della
quasi totalità delle controversie civili”.
Nel
caso di specie, i ricorrenti proponevano ricorso per accertamento tecnico
preventivo ai sensi dell'art. 696 c.p.c. al fine di accertare le cause
generanti le macchie di muffa e di umidità presenti nell’appartamento da essi
condotto in locazione; la resistente, tuttavia, eccepiva la mancanza dei
presupposti per disporre l’accertamento tecnico preventivo, evidenziando che
non vi era nessuna necessità di effettuare tale accertamento nella prospettiva
di un giudizio in quanto:
la locatrice aveva manifestato piena
disponibilità ad accertare le cause delle pretese infiltrazione e ad
eliminarle;
tale disponibilità, tuttavia, era stata
vanificata dal comportamento poco collaborativo dei ricorrenti.
Il
giudice ritiene i rilievi svolti dalla resistente sostanzialmente condivisibili
e, pertanto, rigetto la domanda.
Ciò
posto, la condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. in capo ai ricorrenti viene
motivata proprio in quanto la controversia dedotta in giudizio si sarebbe
potuta agevolmente risolvere senza ricorrere all’autorità giudiziaria se,
semplicemente, il ricorrente avesse raccolto l’invito della resistente a far
visionare l’immobile locato. Si ravvisa, difatti, in capo ai ricorrenti –
illustra il giudice – l’elemento soggettivo della mala fede, in considerazione
della “evidenziata e documentata disponibilità manifestata dalla resistente per
risolvere il problema delle lamentate infiltrazioni del tutto ignorata prima
della proposizione del ricorso” (ed in ordine alla quale, peraltro – prosegue
il giudice – è stato omesso ogni riferimento nel ricorso)[3].
Una
successiva pronuncia di merito[4] condanna poi un’assicurazione ex art. 96
c.p.c. alla luce del comportamento da questa tenuto, sia nella fase della
mediazione che nella fase prettamente processuale. Questa – osserva il giudice
– da un lato, non si era presentata, e senza giustificarsi, nella fase
mediatoria; dall’altro, aveva resistito alla domanda attorea “pur nella
consapevolezza dell’infondatezza delle tesi sostenute e nel difetto della
normale diligenza con cui era stata istruita la pratica assicurativa” (il giudice
evidenzia peraltro al riguardo la mera opinabilità del diritto fatto valere e
la consapevolezza, da parte della stessa assicurazione, della mancanza di
documentazione medica)[5].
Peraltro,
osserva il giudice, l’attrice aveva anche provato a rivolgersi ad un Ente di
mediazione per trovare una soluzione della vertenza, ma, non essendosi
presentata l’assicurazione senza addurre motivazioni, la mediazione si è chiusa
con la mera accettazione della proposta del mediatore (nella specie per euro
9.750,00), anche questa rimasta inevasa (da ciò consegue quindi che le spese
affrontate dall’attore per il procedimento di mediazione devono essere
rimborsate dall’assicurazione non presentatasi).
In
argomento assume quindi primario rilievo anche la tematica della partecipazione
personale delle parti al procedimento di mediazione.
In
particolare, una recente pronuncia di merito resa in materia di mediazione c.d.
obbligatoria (art. 5, comma 1-bis d.lgs. n. 28/2010)[6] ha affermato che
qualora le parti non abbiano partecipato personalmente alla procedura
risultando rappresentate dai propri difensori i quali, all’uopo delegati,
abbiano manifestato al mediatore la mera volontà dei deleganti di non procedere
all’esperimento della procedura di mediazione, il tentativo di mediazione, pur
ritualmente iniziato, non risulta altrettanto ritualmente condotto a termine;
da ciò consegue che le parti devono essere rimesse dinanzi al mediatore
affinché prosegua e si esaurisca l’esperimento della procedura di mediazione.
Nella
specie, relativa ad una controversia bancaria[7], le parti non avevano
partecipato personalmente alla procedura, risultando esse rappresentate dai
propri difensori.
Al
riguardo, il giudice osserva che:
l’art. 8, d.lgs. n. 28/2010 fa esplicito
riferimento alla circostanza che “al primo incontro e agli incontri successivi
fino al termine della procedura le parti devono partecipare con l’assistenza
dell’avvocato”;
il che implica “la volontà di favorire la
comparizione personale della parte quale indefettibile e autonomo centro di
imputazione e valutazione di interessi”;
pertanto, l’ipotesi che le parti vengano
sostituite da un rappresentante sostanziale (ovviamente munito dei necessari
poteri), sono limitate a solo casi eccezionali;
di conseguenza, “mentre certamente soddisfa
il dettato legislativo l’ipotesi di delega organica del legale rappresentante
di società, al contrario il mero transeunte impedimento a presenziare della
persona fisica dovrebbe invece comportare piuttosto un rinvio del primo incontro”.
Ciò
posto, nella specie i difensori delle parti, all’uopo delegati, manifestavano
al mediatore la mera volontà dei deleganti di non procedere all’esperimento
della procedura di mediazione; sul punto il giudice illustra che:
le procedure di mediazione ex art. 5, comma
1-bis (ex lege) e comma 2 (su disposizione del giudice) d.lgs. n. 28/2010, sono
da ritenersi ambedue di esperimento obbligatorio (essendo addirittura previsti
a pena di improcedibilità dell’azione);
difatti, ex art. 8, comma 1 d.lgs. n.
28/2010, il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla
“possibilità” di iniziare la procedura di mediazione: ciò vuol dire che le
parti devono esprimersi “sulla eventuale sussistenza di impedimenti
all’effettivo esperimento della medesima” e non, invece, sulla loro volontà di
procedere alla mediazione;
diversamente argomentando, “si tratterebbe,
nella sostanza, non di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa alla
mera volontà delle parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale
interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione
della sua finalità esplicitamente deflativa”.
Alla
luce di quanto esposto, il giudice (respingendo nella specie l’istanza di
sospensione del decreto opposto nei confronti di tutti gli opponenti e
rinviando la causa ad una successiva udienza) dispone quindi che le parti
proseguano il procedimento di mediazione iniziato e non concluso (con onere di
impulso a carico della parte opposta[8]), da un lato rendendo noto che il
mancato esperimento dell’effettivo tentativo è sanzionato a pena di
improcedibilità della domanda per la parte opposta/attivante e ai sensi
dell’art. 8, comma 4-bis d.lgs. n. 28/2010 per la parte opponente/attivata e,
dall’altro, invitando le parti a comunicare l’esito della mediazione (con nota
da depositare in Cancelleria almeno 10 gg prima dell’udienza, che dovrà
contenere informazioni in merito: all’eventuale mancata partecipazione delle
parti personalmente senza giustificato motivo; agli eventuali impedimenti di
natura pregiudiziale o preliminare che abbiano impedito l’effettivo avvio del
procedimento di mediazione; al regolamento delle spese processuali; ai motivi
del rifiuto dell’eventuale proposta di conciliazione formulata dal mediatore).
(Da Altalex del
28.5.2014. Nota di Giulio Spina)
______________
[1] Trib. Santa Maria Capua Vetere, sentenza 23 dicembre
2013.
[2] Si veda al riguardo il d.lgs. n. 28 del 2010 in materia di
mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e
commerciali, così come novellato dal d.l. n. 69/2009 convertito, con
modificazioni, in legge n. 98/2009.
[3] In particolare, il giudice osserva che effettivamente
sin dalle prime segnalazioni da parte dei conduttori, vi è stata piena
disponibilità della locatrice a risolvere il problema delle presunte
infiltrazioni:
fax indirizzato al
difensore dei ricorrenti nel quale si evidenziava come la resistente avesse
cercato vanamente più volte di contattare uno dei conduttori al fine di fissare
un appuntamento per consentire di visionare l’immobile da un proprio operaio di
fiducia;
successiva lettera
che rappresentava come, nonostante numerosi tentativi di contattare il
conduttore, non fosse stato possibile accedere all’immobile con conseguente rischio
di aggravamento delle condizioni dello stesso;
ripetute (e
documentate) richieste della locatrice di fissare un appuntamento per
verificare lo stato dei luoghi rimaste esito.
Peraltro, precisa il Giudice, da un lato, non può ritenersi
sussistente una situazione di pregiudizio irreparabile tale da giustificare il
ricorso alla tutela cautelare (diversamente, “gli odierni ricorrenti avrebbero
dimostrato maggiore disponibilità e solerzia nel rispondere agli inviti della
locatrice”), dall’altro lato, “anche a voler ritenere che nel caso di specie si
sia creata una situazione di pregiudizio irreparabile, a causare tale
situazione è stato, in definitiva, proprio il comportamento scarsamente
collaborativo dei ricorrenti” (che, “anziché consentire l’accesso all’immobile
da essi condotto, hanno preferito agire in giudizio, con conseguente
aggravamento di tempi e costi per la soluzione del problema da essi
lamentato”). Peraltro, ancor più evidente è la mancanza di periculum in mora in
quanto “il fenomeno infiltrativo si manifestava già a pochi mesi dalla stipula
del contratto di locazione (avvenuta nel 2008)”.
Inoltre – aggiunge ancora il giudice – emblematica del
comportamento posto in essere dai ricorrenti, contrario ai doveri di buona fede
contrattuale, è la “circostanza che il ricorso per accertamento tecnico
preventivo è stato depositato il giorno immediatamente successivo alla
trasmissione del fax con il quale la resistente specificamente diffidava i
ricorrenti, a mezzo del proprio legale, a prendere contatti al fine di poter
risolvere il problema dell’accesso all’immobile, stante la persistente
irreperibilità degli stessi”.
[4] Trib. Roma n. 4140/2014.
[5] Nella specie, il giudice osserva che:
il rifiuto da
parte dell’Assicurazione di non onorare il contratto perfezionatosi con
l’arrivo della proposta transattiva sottoscritta e con il dato IBAN non trova
giustificazione;
pretestuosa appare
la scusa avanzata dalla stessa che non si era accorta che l’infortunato non era
il contraente ma la moglie (il significato della scusa dello scambio di persona
non è comprensibile, in quanto che la polizza “Persona OK” è una polizza
cumulativa con cui viene complessivamente assicurato un nucleo famigliare per
una certa somma, quindi anche l’altro contraente, come l’infortunata, erano
titolari di un terzo dei singoli massimali essendo il nucleo famigliare
composto da tre persone);
non è stata
esperita una visita collegiale né richiesta una CTU in corso di causa da parte
dell’amministrazione, essendo stata depositata in giudizio la sola perizia di
parte attorea (redatta dal medico legale incaricato).
[6] Trib. Firenze, 17 marzo 2014.
[7] Opposizione a decreto ingiuntivo le cui eccezioni
sollevate dagli opponenti erano relative anche all’illegittimo e immotivato esercizio
del recesso della Banca ingiungente, alla violazione del principio di buona
fede nell’esecuzione del contratto, nonché all’erronea indicazione
dell’ammontare di interessi anche anatocistici.
[8] Sul punto il giudice ricorda che nell’ipotesi di opposizione
a decreto ingiuntivo – come da costante giurisprudenza della Suprema Corte – è
da ritenersi la parte opposta quale parte attrice in senso sostanziale con
l’esercizio in giudizio dell’azione monitoria, di cui la fase di opposizione
rappresenta mera prosecuzione eventuale.
Divorzio
breve, in arrivo riforma
A
quarant'anni dal referendum sul divorzio, approvata la riforma dello stesso con
l'introduzione del cd. "divorzio breve". Una riforma come questa, che
va a modificare un istituto cardine del nostro ordinamento nazionale, ovvero la
famiglia, perno attorno al quale ruota tutta la struttura del codice civile,
non poteva non essere esito di una concertazione bipartisan con 381 voti a
favore, 30 contrari, 14 astenuti.
Stante
il testo approvato, le novità introdotte da Montecitorio possono essere così
riassunte:
1)
Eliminazione del periodo di separazione di tre anni prima di poter chiedere il
divorzio.
2)
Il termine per chiedere il divorzio decorre dalla notifica del ricorso ed è
pari a 12 mesi in caso di separazione giudiziale e 6 mesi in caso di
consensuale.
3)
Il cd "divorzio breve" sarà applicabile, come ogni reformatio in
melius, anche per i procedimenti in corso.
4)
La comunione dei beni si scioglie quando il giudice autorizza i coniugi a
vivere separati o al momento di sottoscrivere la separazione consensuale.
(Da ilsole24orre.com
del 29.5.2014)