Cass. Sez. III Pen., Sent. 6.5.2014, n.
18698
La
Cassazione ha
stabilito che integra il reato di dichiarazione fraudolenta la deduzione di
costi inesistenti mediante l’utilizzo di schede carburante false, rilasciate
senza un effettivo rifornimento di carburate e dunque senza un effettivo
esborso per il contribuente.
Nel
caso in esame, un imprenditore aveva utilizzato delle schede carburante false
per ottenere una riduzione delle imposte dovute, deducendo costi mai sostenuti,
facendo comparire rifornimenti di carburante anche nei giorni in cui il distributore
indicato era chiuso.
Nella
sentenza della corte del luogo, all’imputato era ascritto il reato di
dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture. L’imputato ricorreva in
cassazione per ottenere una diversa definizione della condotta criminosa contestata.
La
Cassazione si è
espressa sulla distinzione tra il reato di cui all’articolo 2 del Decreto
legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di
imposte sui redditi e sul valore aggiunto) e il successivo articolo 3 del medesimo
decreto.
Il
primo disciplina il reato di “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture
o altri documenti per operazioni inesistenti”, che punisce con la reclusione da
un anno e sei mesi a
sei anni chiunque, al fine di
evadere le imposte sui redditi
o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture
o altri
documenti per operazioni inesistenti, indica in una
delle dichiarazioni annuali
relative a dette imposte elementi
passivi fittizi.
Il
secondo articolo contiene la disciplina del reato di “Dichiarazione fraudolenta
mediante altri artifici” che punisce, con la pena della reclusione nello stesso
quadro edittale del reato ex articolo 2, una categoria più ristretta di
contribuenti, in particolare coloro che sono tenuti a tenere scritture contabili,
prevedendo anche un ambito di applicazione più limitato, essendo configurabile
in caso di superamento di una determinata soglia di valore dell’imposta evasa e
degli elementi attivi sottratti all’imposta.
I
giudici di legittimità hanno escluso che nel caso di specie si potesse
ascrivere all’imputato il reato di cui all’articolo 3, in quanto questo ha
carattere solo residuale, come si comprende facilmente dalla lettera della
norma, applicabile ad una categoria più ristretta di contribuenti, cioè coloro
obbligati a tenere scritture contabili.
La
Suprema Corte ha,
dunque, concluso che la condotta criminosa del reo integra il reato di cui
all’articolo 2 del Decreto Legislativo 74/2000, confermando la sentenza dei
giudici di merito impugnata e rigettando il ricorso della parte ricorrente.
Lorenzo Pispero (da filodiritto.com
del 4.6.2014)