di Elena Abbate
L’inquadramento normativo
In
un periodo risalente, la certificazione di abitabilità non esisteva se non come
mera attestazione di salubrità dell’mmobile, prescritta a norma dell’articolo
221 del Testo Unico delle Leggi Sanitarie (R.D. 27.7.1934 n. 1265). In tale
accezione, la legge utilizzava talora la denominazione di licenza di abitazione
o di agibilità (come in materia edilizia: articolo 41-ter, Legge 1150/42),
talora quella di dichiarazione di abitabilità (come in materia di edilizia
popolare: articolo 18, L.
18.4.1962 n. 167; o in materia sanitaria: articolo 43, R.D.L. 30.11.1910 n.
2318).
Solamente
con l’avvento della Legge 28.2.1985 n. 47 (Norme in materia di controllo
dell’attività urbanistico-edilizia) si istituisce (articolo 52) il vero e
proprio certificato di abitabilità o di agibilità.
Sulla
scia della nuova normativa, il Decreto del Presidente della Repubblica
22.4.1994 n. 425 (Disciplina dei procedimenti di autorizzazione all’abitabilità,
di collaudo statico e di iscrizione al catasto), all’articolo 4, introduceva -
ma solo per le nuove costruzioni ex articolo 220 Testo Unico della Sanità n.
1265/34 - l’obbligo del certificato di abitabilità ai fini dell’utilizzazione
dell’immobile. Finché il Testo Unico dell’Edilizia, Decreto del Presidente
della Repubblica 6.6.2001 n. 380, agli articoli 24-26, abrogando il Decreto del
Presidente della Repubblica 425/94 e rinnovando radicalmente la materia[1], ha
dettagliato la procedura di rilascio e ne ha specificato l’applicabilità nei
casi di interventi di nuova costruzione, ricostruzioni o sopraelevazioni e di
interventi che potessero influire sulle condizioni di igiene, salubrità,
sicurezza e risparmio energetico.
Il
certificato di agibilità riveste un ruolo di primaria importanza anche in
materia di sicurezza, avendo la funzione di “attestare la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici
e degli impianti” (articolo 24, Testo Unico dell’Edilizia, Decreto Legislativo
n. 380/01). E non solo: esso “garantisce l’idoneità dell’immobile ad assolvere
una determinata funzione economico-sociale e, quindi, a soddisfare in concreto
i bisogni che hanno indotto l’acquirente ad effettuare l’acquisto” (Cassazione
Civile, 10 giugno 1991 n. 6576).
Nel
quadro della normativa contrattuale i relativi obblighi di adeguamento sono
posti a carico del locatore, giusta il disposto degli articoli 1575 e 1617 del
codice civile, dovendosi assicurare che il bene sia idoneo all’uso cui è
contrattualmente destinato. A sua volta, l'idoneità all’uso non risente più
della distinzione tra uso abitativo ed uso non abitativo, ma si estende ad
entrambe le fattispecie, atteso l'avvenuto abbandono della distinzione tra agibilità
e abitabilità.
L’inquadramento giurisprudenziale
Da
tempo in giurisprudenza si è andata affermando la tesi che attribuisce al
locatore l’obbligo di procurare il certificato di agibilità dell’immobile,
messo a tutela delle esigenze igieniche e sanitarie attraverso l’accertamento
pubblico dell’esistenza delle condizioni di stabilità e sicurezza
dell’edificio.
Il
definitivo arresto della Suprema Corte si ebbe con Sentenza dell’11 aprile 2006
n. 8409[2], allorchè la
Cassazione riconobbe che rientra nelle obbligazioni del
locatore anche quello di procurare al conduttore il certificato di agibilità
dell'immobile locato: “…la mancanza del certificato”, affermò la Corte, “per non essere stato
il provvedimento ancora richiesto o rilasciato, viene a configurare una
situazione d’inadempimento in ragione dell’iniziale inettitudine della cosa a
soddisfare l’interesse dell’acquirente del diritto reale o di credito sulla
cosa”. Per cui, quand’anche l’inagibilità fosse ab initio nota alle parti
contraenti, “il definitivo diniego del rilascio del certificato” (che assorbe
quindi il caso, pure considerato dalla Corte, in cui il rilascio non sia stato
dal locatore nemmeno richiesto) “legittima il ricorso ai rimedi della
risoluzione del contratto e del risarcimento del danno”.
La Corte si discostò quindi dalla più formalistica tesi che
sempre aveva trovato cultori[3], secondo cui la negoziazione del bene inagibile
determini una responsabilità per avere negoziato un aliud pro alio[4], nel
senso di intravedere, nell’immobile privo del requisito dell'agibilità, un
oggetto radicalmente diverso da quello promesso, non tanto nel senso della
materialità quanto piuttosto per lo stravolgimento della funzione economica che
gli si attribuiva all'atto dell'acquisto. Tuttavia, in ciò stesso il
ragionamento seguito dalla Corte nella pronuncia del 2006 rafforza il principio
della responsabilità, intravedendola non solo nell’ipotesi in cui il rilascio
del certificato venga definitivamente negato dal Comune, ma soprattutto
nell’ipotesi in cui il locatore neppure lo richieda; e ciò indipendentemente
dalla consapevolezza che le parti contraenti potevano averne all'atto della
negoziazione[5].
Inoltre,
nel suo ragionamento la
Suprema Corte aveva inteso evidenziare come vada considerato
superato l'orientamento giurisprudenziale, risalente agli anni ‘80, che
prevedeva un obbligo solo parziale del certificato, ritenendo che, per gli
immobili non abitativi, esistessero adempimenti altrettanto idonei a
salvaguardare le esigenze igienico-sanitarie: in linea con la soppressione
della distinzione fra abitabilità e agibilità, concetti riservati
rispettivamente agli immobili abitativi e a quelli di diverso uso, la Corte aveva finito col
mostrarsi attenta alla funzione pubblica come pure al rilievo privatistico
della certificazione[6], “attenendo questa ad un requisito essenziale della
cosa” (Cassazione Civile, 16 giugno 2008 n. 16216).
Osservava
infine la Corte
che, in presenza di contratto di locazione, il vincolo che impone di procurarsi
il certificato “deve ritenersi incombere (diversamente invero che per le
ipotesi di autorizzazioni amministrative, come ad es. l’iscrizione alla camera
di commercio ovvero di quelle di pubblica sicurezza necessarie all’esercizio di
specifiche attività o per poter adibire l’immobile a pubblici spettacoli,
peraltro di mero rilievo pubblicistico e inidonee a incidere sul rapporto
privatistico: cfr. Cassazione, 19 gennaio 1999 n. 463) al locatore quale
proprietario o comunque titolare del potere di disposizione sulla cosa”.
Con
detta sentenza la Corte
confermava un indirizzo più intransigente che già emergeva da precedenti
pronunce: vedansi, in particolare, Cassazione, 21 dicembre 2004 n. 23695;
Cassazione., 5 novembre 2002 n. 15489; Cassazione, 10 agosto 2001 n. 11055;
Cassazione, 12 settembre 2000 n. 12030; Cassazione, 16 settembre 1996 n.
8285[7].
Ultimamente,
però, la Corte
sembra voler rimodellare l’onere del locatore, chiarendo che, salva sempre
l’ipotesi in cui il locatore abbia espressamente assunto lo specifico obbligo
di ottenere l’agibilità, il suo inadempimento si configurerebbe solo allorché
l’inagibilità attenga a carenze intrinseche o dipenda da caratteristiche
proprie dell’immobile locato, tali da non consentire il lecito esercizio
dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito (Cassazione Civile,
16 giugno 2014 n. 13651[8]). Ora, questa
pronuncia, più attenta alla sostanza che alla forma, merita di non restare
isolata.
Nonostante
quest’ultima “virata” della Corte, rimane comunque affermato il principio che
l’inagibilità dell’immobile incide sul diritto personale insito nel contratto
di locazione, e concreta una responsabilità per inadempimento in capo al
locatore.
Le fattispecie affini
Lo
stesso dicasi, spostandoci su un tema collaterale, per la difforme destinazione
urbanistica cui l’immobile è soggetto per la sua categoria catastale, ove il
disponente non adempia a richiederne il mutamento, nell’obbligo di rendere
l’immobile locato idoneo all’uso contrattualmente convenuto. “Sufficiente a
integrare il vizio de quo”, osserva la Suprema Corte, “deve ritenersi anche il semplice
stato di obiettiva incertezza sulla condizione urbanistica dell’immobile
locato, che può rappresentare, anche da solo, una qualità negativa incidente,
per le difficoltà frapposte dall’autorità amministrativa (allegando la
necessità di licenze, permessi o autorizzazioni), sull’effettiva fruibilità del
bene conformemente all’uso pattuito” (Cassazione Civile, Sezione Terza, 26
novembre 2002 n. 16677[9]).
Sempre
stando su aspetti affini all’agibilità, continua a non sembrare necessario
affermare l’onere del locatore di ottenere le eventuali autorizzazioni
amministrative necessarie per l’uso del bene locato, sempre salvo patto
contrario. Tuttavia, in caso di specifica pattuizione, la particolare
destinazione dell’immobile locato, tale da richiedere che l’immobile stesso sia
dotato di precise caratteristiche e che ottenga specifiche licenze
amministrative, torna a diventare rilevante – quale condizione di efficacia,
quale elemento presupposto e, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal
locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile - in relazione
all’uso convenuto (Cassazione, Sezione Terza, 27 marzo 2009 n. 7550[10];
conformi: Cassazione, Sezione Terza, 8 giugno 2007 n. 13395; Cassazione,
Sezione Terza, 27 marzo 2009 n. 7550; Cassazione, 13 marzo 2007 n. 5836;
Cassazione, 17 gennaio 2007 n. 975; Cassazione, 26 settembre 2006 n. 20831;
Cassazione, 12 novembre 2000 n. 12030; Cassazione, 11 aprile 2000 n. 4398): e,
in ciò, ci sembra di intravedere un allineamento col principio di sostanza
affermato dalla Cassazione con la sopra citata Sentenza n. 13651/2014 in punto
all’agibilità.
Stando
al tema delle autorizzazioni amministrative in genere, è significativo - e
rafforza il principio - che nella specifica ipotesi di locazione di immobile ad
uso di ristorazione, la Corte
di Cassazione abbia evidenziato che il locatore non solo debba garantirne
l’agibilità e l’avvenuto rilascio di concessioni, autorizzazioni e licenze amministrative
relative alla destinazione d’uso, ma debba anche assicurarne il persistere nel
tempo, e ciò in conseguenza dell’obbligo di mantenere la cosa locata in stato
da servire all’uso convenuto(Cassazione, 28 marzo 2006 n. 7081[11]).
Invero,
nel 2011 la Suprema
Corte aveva parzialmente rivisto il proprio indirizzo
laddove, pur ribadendo che la mancanza delle autorizzazioni e delle concessioni
amministrative, ovvero l’impossibilità di ottenerle, costituisca grave
inadempimento del locatore che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi
dell’articolo 1578, tornava a intravedere un’esimente dalla responsabilità nel
caso in cui il conduttore fosse a conoscenza della situazione e l’avesse
consapevolmente accettata (Cassazione Civile, Sezione Terza, 7 giugno 2011 n.
12286[12]). Tuttavia, tale principio deve comunque conformarsi a quanto
affermato dalla stessa Corte, secondo la quale “grava sul conduttore l’onere di
verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente
necessario per lo svolgimento della specifica attività che intende esercitarvi,
nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni” (Cassazione, 25 gennaio
2011 n. 1735; Cassazione, 1 dicembre 2009 n. 25278; Cassazione, 8 giugno 2007
n. 13395; Cassazione, 13 marzo 2007 n. 5836).
In
tutte queste fattispecie affini che abbiamo voluto toccare (agibilità,
destinazione urbanistica, autorizzazioni amministrative), l’inadempimento del
proprietario-locatore – ove riconosciuto in base al diverso atteggiarsi delle
circostanze di volta in volta ravvisate dalla giurisprudenza - giustifica il
recesso anticipato dal contratto da parte del conduttore e legittima
quest’ultimo alla domanda di risarcimento del danno subito.
(Da filodiritto.com del
4.11.2014)
[1] Con il T.U. dell'Edilizia
si abbandona la distinzione tra abitabilità e agibilità e si adotta unicamente
quest'ultima denominazione omnicomprensiva.
[2] Sez. III, est.
Scarano; Cocco c. E.&C. Costruzioni Srl, cassa App. Cagliari, 15 aprile
2002.
[3] TOSCHI VESPASIANI
F., La mancanza del certificato di agibilità e il contratto di locazione
dell’immobile ad uso non abitativo, in Resp. Civ. n. 10/2006, p. 808.
[4] Soprattutto in
materia di vendita di immobile privo del certificato, vedasi da ultimo Cass.
Civ. 14 gennaio 2014 n. 629.
[5] Nella
giurisprudenza di merito, si cita il Foro di chi scrive: qualora l'autorità
amministrativa neghi definitivamente i provvedimenti di sua competenza per
ragioni tecniche o igieniche e l'immobile diventi, conseguentemente inidoneo
all'uso per cui era stato locato, "l'inosservanza dell'adempimento
amministrativo all'agibilità dell'immobile dà luogo alla risoluzione del
contratto" (Pret. Piacenza, Est. Bruno, 31 maggio 1998 n. 160. Conforme:
Trib. Piacenza, Est. Andretta, 6 maggio 2009 n. 326).
[6] Cfr. Cass. Pen., 20
gennaio 1981 n. 3887.
[7] Conformi in
dottrina: DE MARZO G., Contratto di locazione e certificato di abitabilità, in
Urbanistica e Appalti n. 6/2006, p. 683. GUERRESCHI G., Mancanza del
certificato di abitabilità? Risoluzione del contratto e risarcimento del danno,
in Danno e Responsabilità n. 1/2007, p. 52; MAZZEO RINALDI A., Le obbligazioni
del locatore e i vizi del bene locato, in Arch. Locazioni e Condominio n.
6/2008, p. 573; NEGRI G., Il locatore garantisce l'abitabilità, in Il Sole 24
Ore, 29 maggio 2006 n. 145, p. 38. TOSCHI VESPASIANI F., op. cit.
[8] Sez. III, est.
Scrima, L'Arca per l'ambiente Scarl c. Penta Costruzioni Srl.
[9] Est. Perconte
Licatese, Soc. Centrouno Trasporti c. Soc. Lombardini Discount.
[10] Est. Urban,
Loviglio c. Terranova.
[11] In Riv. Giur. Ed.
2007, I, 83, con nota di DE TILLA, Sulla responsabilità del locatore in
relazione alle autorizzazioni amministrative.
[12] Est. Lanzillo.
Confermata da CASS., 29 novembre 2011 n. 25248.