Cass. V Sez. Pen., Sent.
11.11.2015, n. 45184
Nelle
vittime di stalking che già soffrono di uno stato di precarietà psichica per
motivi personali e per particolari contesti familiari al momento dei fatti
incriminati, la loro fragilità non rileva al fine dell’esclusione del reato,
anzi, specie se nota al reo, rende la vittima meritevole di maggiore tutela. Ha
così statuito la Corte di Cassazione in una recente pronuncia che riguarda il
caso di un uomo, condannato per atti persecutori o stalking ai danni della
figlia dell’amante della propria moglie. Il soggetto si rivolge alla Corte di
Cassazione deducendo che le corti territoriali, nelle pronunce di condanna, non
avevano tenuto conto dello stato
psicologico in cui versava la vittima precedentemente ai fatti criminosi: la
giovane, infatti, già orfana di madre, aveva da poco perso anche il padre.
Secondo
il ricorrente quindi la fragilità della ragazza era dovuta agli eventi
spiacevoli che aveva vissuto e quindi il “perdurante e grave stato di ansia e
di paura”, che, a norma di legge, deve prodursi perché si realizzi il reato di
stalking, non poteva specificatamente essere riconosciuto come conseguenza
diretta delle condotte incriminate.
Pertanto l’uomo lamentava l’inconsistenza delle prove presentate a suo
carico e una erronea applicazione dell’articolo 612 bis del Codice Penale. La
Suprema Corte si sofferma ad analizzare la norma sopracitata e, basandosi anche
sui precedenti giurisprudenziali propri e costituzionali, conferma che non sia
essenziale che la persona offesa modifichi le proprie abitudini di vita, purché
la condotta persecutoria determini come conseguenza un turbamento della
“serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima”. Tale destabilizzazione
si può provare tramite un’accurata osservazione del comportamento del soggetto
e delle sue dichiarazioni e dalle sue condizioni.
Nelle
sentenze di merito oggetto di ricorso, nota la Cassazione, si dà ampio spazio
al racconto della giovane, la quale riportava di aver subito minacce,
strattonamenti, e che le venivano rivolte frasi piene di disprezzo, che spesso
evocavano la prematura morte del genitore, per il quale non era celato di certo
il risentimento dovuto alla relazione extra-coniugale intrattenuta con la
moglie dell’imputato. Un soggetto già fragile, come la giovane vittima del caso
di specie, secondo la Cassazione merita maggiore tutela rispetto alle condotte
qualificabili come atti persecutori, “dove gli eventi indotti ben possono
costituire aggravamenti di un’ansia od un timore pre-esistenti, ed altrimenti
provocati”.
Pertanto
la Cassazione, ritenendo legittime le conclusioni della Corte territoriale per
cui lo stato psicologico pregresso della vittima non esclude la sussistenza del
reato, rigetta il ricorso e conferma la condanna del ricorrente.
Maria Anna Cappelleri (da
filodiritto.com del 15.1.2016)